Eravamo in troppi a occuparci di quel minuscolo rivolo di umana necessità. Così, quando qualcuno se ne andava, non veniva rimpiazzato e il vuoto che restava veniva subito rattoppato, come si puntella un bastone per evitare il crollo definitivo. (p. 16)
Quando arriva la notizia che un giovane medico, Laurence Waters, sta per arrivare a compiere un anno di servizio civile in quell'ospedale scalcinato del Sudafrica, il medico Frank Eloff si stupisce: cosa mai può spingere un neolaureato in un posto da cui tutti se ne stanno andando? Negli anni Frank ha visto partire medici e infermieri e adesso gli addetti alla sala mensa sono in un numero sproporzionato rispetto ai pochissimi dipendenti dell'ospedale: oltre a Frank, io narrante della vicenda, ci sono la dottoressa Ngema, l'infermiere (o presunto tale) Tehogo e una coppia di medici, i Santander, in continuo conflitto tra di loro.
A peggiorare le cose ci si mette la necessità che Frank condivida la stanza con il nuovo arrivato. Lui, ancorato alla sua routine di uomo solitario, prova a rifiutare questa rivoluzione delle sue abitudini, ma la dottoressa Ngema non vede altra soluzione.
E dunque ecco Laurence, pieno di ideali (spesso utopici), in netto contrasto con la situazione di sfascio del loro ospedale. Allo stesso modo, l'apertura di Laurence si scontra con la riservatezza di Frank, geloso delle proprie abitudini e dei propri spazi. Arrivare a un compromesso non è semplice, soprattutto perché Laurence ha una curiosità e una spinta al cambiamento intollerabili agli occhi di Frank, diventato medico forse solo per seguire le orme paterne, ma senza una reale passione. Mentre assistiamo a come si possono adattare «due diverse nature rinchiuse in una scatola» (p. 54), scopriamo come scorre la vita quotidiana in questo ospedale, dove mancano dispositivi sanitari, farmaci, a volte persino l'elettricità e bisogna improvvisare se è in corso un'operazione. I casi più gravi, quando è possibile, non vengono trattati in loco: una volta stabilizzati, i pazienti vengono trasportati in una struttura meglio attrezzata, quella che è riconosciuta da tutti come l'ospedale vero e proprio. Altrimenti, si cerca di operare alla bell'e meglio chi è gravissimo, consci che le possibilità di sopravvivenza saranno poche.
Chi lavora lì si è ormai adattato a essere stato dimenticato dal governo e la rivoluzione portata da Laurence è accolta con fastidio, perché l'idea, ad esempio, di muoversi e di portare un ambulatorio da campo di tanto in tanto nei paesi più isolati comporterebbe più lavoro per tutti. Perché farlo? Eppure Laurence, con la sua determinazione, «serio, interessato, sollecito» dava l'impressione che «tutti fossero importanti per lui» (p. 74) e questo scava lentamente un solco negli animi di chi gli sta accanto. Perlomeno, porta gli altri a farsi un esame di coscienza, tant'è che Frank ammetterà:
Mi misi a setacciare la mia vita alla ricerca di un momento di verità simile al suo. Sentivo che qualcosa, chissà dove e chissà quando, era accaduto per fare di me quello che ero. Ma non riuscivo a ricordarlo.
Poi ricordai. Un giorno qualsiasi mi tornò alla mente, come un lampo improvviso. E avrei voluto dimenticarmelo di nuovo. (p. 74)
Come un tarlo, un'ipotesi strampalata eppure affascinante si fa strada: e se fosse possibile fare ancora qualcosa per sentirsi utili? Frank e il giovane medico imparano a condividere il tempo, in parte per necessità, in parte no:
[...] mi ritrovai a passare molto tempo con Laurence. Per certi versi non avevo scelta: in camera come al lavoro, lui mi era stato assegnato. E tuttavia, anche al di fuori dell'ospedale e quasi senza rendercene conto, cominciammo a farci compagnia. Divenne un rito, per esempio, giocare a ping-pong nella sala ricreativa. Non ci avevo mai passato molto tempo prima; era una stanza triste. Eppure non era spiacevole colpire la pallina di plastica e mandarla da una parte all'altra del tavolo, parlando del più e del meno. La maggior parte delle nostre conversazioni era così: lieve e senza scopo, un passatempo. (p. 60)
Ben più difficile è arrivare a scoprire qualcosa del passato o della vita privata dei due protagonisti: Frank, rassegnato e in attesa delle carte per il divorzio, ha una relazione clandestina con una donna sposata che tiene una piccola bottega nel deserto e che si fa chiamare Maria. Quasi impossibile è comprendere fino in fondo il gorgo di sentimenti che porta Frank a raggiungere di notte Maria, ma una frase emblematica può aiutare a chiarire la natura del loro legame: «Mi prese per mano e mi portò in un tempo morto dove la memoria non fa presa» (p. 36). Anche Laurence non ha una vita sentimentale semplice: la sua ragazza, Zanela, è impegnata in missioni umanitarie che la portano a stare lontana per lunghi periodi. La sua dedizione, tuttavia, è ammirata e quasi imitata da Laurence.
E questo ospedale sudafricano, dove il tempo scorre senza particolari scosse, diventa una sorta di Fortezza Bastiani: come nel Deserto dei tartari si attende un nemico che non arriverà mai, così qui aleggiano le dicerie sul Generale, un dittatore che governava ai tempi dell'apartheid e che si vocifera sia ancora vivo, rintanato da qualche parte. Sarà vero? E come giustificare i tanti soldati che frequentano il locale di Mama, l'unico posto della zona dove si può andare a passare una serata davanti a un bicchiere e semmai affittare una stanza?
In un Sudafrica che ci mostra le tante contraddizioni degli homeland, con Il buon dottore Damon Galgut, vincitore del Man Booker Prize nel 2021, scrive un romanzo potente, tanto più la sua prosa si fa secca e concisa, fortemente dialogica. Pubblicato per la prima volta nel 2003 e adesso disponibile in traduzione italiana a opera di Valeria Raimondi, Il buon dottore mette in scena un romanzo in cui il deserto che isola l'ospedale prova a inaridire chi vi abita. Ma l'umanità va oltre, le pulsioni riemergono, sentimenti quali l'amicizia o la passione si riversano sui personaggi, spesso loro malgrado, risultando particolarmente fulgidi in questa ambientazione tanto scarnificata.
GMGhioni
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