La Donna Selvaggia e l’archetipo della natura istintuale femminile: “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estès



Donne che corrono coi lupi
di Clarissa Pinkola Estès
Sperling & Kupfer, 2016

Traduzione di Maura Pizzorno

pp. 571
€15,00 (cartaceo) 


L’intima natura della donna, intesa come una peculiare declinazione dell’essere che le generazioni femminili custodiscono dalla notte dei tempi, è stata oggetto di numerose opere di letteratura e antropologia. Il cosiddetto mistero delle donne, quell’aura di inintelligibilità che spesso avvolge l’universo femminile il quale viene considerato, che sia giusto o meno, inaccessibile da chi non vi appartiene: in tanti hanno parlato di questo. Ma basta scorrere le prime pagine di Donne che corrono coi lupi per capire di avere davanti un libro che va oltre la semplice analisi – per quanto questa sia estremamente importante e condotta con una lucidità sorprendente all’interno dell’opera – per trasmettere i concetti al lettore in un modo originale, efficace perché si tratta di una delle nostre primissime modalità di apprendimento: la narrazione di storie. L’opera di Clarissa Pinkola Estès è infatti una raccolta di storie, miti e fiabe di ogni genere che l’autrice, analista esperta di psicologia junghiana, approfondisce e rielabora alla luce del modello archetipico della Donna Selvaggia.

L’autrice fa riferimento al concetto di Donna Selvaggia ma ribadisce più volte che possiamo chiamarla in molti modi diversi, a partire dal termine Sé. Qualunque sia la forma scelta, non cambia la sostanza. Il filo conduttore dell’opera è l’idea, di matrice junghiana, che esista un archetipo della struttura psichica femminile. Lo testimoniano appunto le storie appartenenti a tradizioni culturali completamente diverse, che nel momento in cui vengono decostruite e scandagliate rivelano tanti punti in comune. Per l’autrice, la Donna Selvaggia è quella scintilla che ciascuna donna porta con sé nel momento stesso in cui viene al mondo per il solo fatto di appartenere all’universo del femminino. Nello specifico, Estès utilizza molto i concetti di intuito e natura istintuale per chiarire il preciso riferimento alla parte del Sé non intaccata dai condizionamenti sociali e culturali, ma limpida proprio perché innata.

Tuttavia, questo concetto è soltanto il punto di partenza e può anzi apparire in contrasto con l’operazione proposta dal libro nel suo complesso. L’opera, infatti, è del tutto sganciata da qualsiasi banalizzazione per la quale “le donne sanno”, per il solo fatto di essere donne e possedere questa misteriosa impronta intuitiva. Non c’è alcuna celebrazione orgogliosa e fine a sé stessa dell’intuito femminile, bensì una trattazione lucida della fatica che comporta scoprirlo e acquisirne consapevolezza. Da questo punto di vista, è molto interessante la parte introduttiva dell’opera, nella quale l’autrice spiega cosa avviene quando non riusciamo a entrare in contatto con la forza selvaggia della psiche: separandosi da questa, la personalità della donna si assottiglia, va in stasi e si fa pallida e spettrale. La donna che non riesce a riunirsi con la propria natura istintuale si lascia trasportare dalla vita e ne paga le conseguenze:
«Sentirsi impotenti, cronicamente in dubbio, vacillanti, bloccate, incapaci di determinazione, di dare la propria vita creativa agli altri, di rischiare nella scelta dei compagni, del lavoro o delle amicizie; sofferenti per quel vivere al di fuori dei propri cicli, iperprotettive nei propri confronti, inerti, incerte, titubanti, incapaci di darsi un ritmo o di porsi dei limiti.» (p. 21).
Ciascuna di noi riceve in dono «una cellula splendente che contiene tutti gli istinti e le conoscenze necessarie alla vita» (p. 23), fa parte del nostro essere, ma l’adesione alla natura intuitiva e selvaggia richiede impegno e coraggio. A cosa servono le storie analizzate nel libro? A mostrare i percorsi impervi della psiche femminile nel tentativo di riconciliarsi con la propria natura profonda. Questi percorsi, le difficoltà che comportano, la paura e l’istinto di scappare di fronte all’ignoto e al non sicuro, ma anche la bellezza di una donna che riesce a completare l’opera e camminare nel mondo a testa alta illuminata dalla luce della consapevolezza, sono riflessioni emergenti in tutte le analisi delle storie raccolte nel libro. In ogni racconto l’autrice mostra il parallelismo tra gli eventi narrati e le fasi della psiche che gli stessi eventi rappresentano. Il parallelismo è molto chiaro, ad esempio, nell’analisi della fiaba tradizionale russa di Vassilissa, spiegata attraverso il collegamento metaforico tra le azioni della protagonista e i “compiti” della psiche nelle varie fasi del percorso verso la consapevolezza e la riconciliazione con la natura selvaggia e istintuale. E così, quando la strega Baba Jaga ordina a Vassilissa di separare il frumento buono dal cattivo e i semi di papavero dalla sporcizia, l’analisi dell’autrice ci riporta all’importanza di saper selezionare e separare una cosa dall’altra con acuto discernimento. La psiche è in salute quando matura la capacità di scegliere e capire cosa davvero vuole:
«Quando siamo collegate al Sé istintuale, all’anima del femminino che è naturale e selvaggia, invece di guardarci in giro per vedere tutto quel che è per caso in mostra, diciamo a noi medesime: Di che cosa ho fame? Senza guardare quanto c’è all’esterno, ci avventuriamo all’interno e ci domandiamo: Che cosa desidero fortemente? oppure: A che cosa aspiro? Per che cosa mi struggo? Di solito la risposta arriva quasi subito: Credo di volere… sì, ecco che cosa voglio veramente.» (p. 99).
Alla fine dei conti, questo libro è un’opera di incoraggiamento. L’autrice lo scrive chiaramente nella parte introduttiva. Per tutte le donne che faticano ogni giorno martoriate da una frustrazione che non sanno descrivere, per chi si sente persa davanti a un dolore che appare insanabile e non scorge la bellezza derivante dal vivere una vita sana, piena, profonda. Ma anche per le donne che abbracciano il bello ma sono ingenue, troppo esposte ai pericoli della passionalità che spesso appanna la vista, mentre noi dobbiamo sempre essere in grado di vedere. Tenere le redini della psiche, sapere di avere dentro tutto ciò che serve per affrontare qualsiasi sfida, coltivare il rapporto con il Sé con amore quotidiano, indagare i desideri sotterranei, liberarsi dalla tossicità di un compagno o un mestiere che soffoca gli istinti creativi. In due parole: prendere in mano la propria vita. Tutte possiamo farlo in virtù del dono che portiamo dentro, che non aspetta altro di essere sbrogliato dall’inconscio per diventare razionalità e aiutarci a vivere un’esistenza coraggiosa. È questo ciò che l’opera tenta di insegnare o perlomeno suggerire, le parole sulla carta urlano a gran voce non rassegnatevi! C’è tanto che possiamo fare. Le finestre che spalancano sui misteri dell’inconscio sono davvero molte: qualcuno sceglie di provare con la terapia, altri con i rimedi della natura e del silenzio, altri ancora con il confronto e l’apertura verso gli altri. Noi crediamo che i libri siano una finestra che affaccia sui panorami più incredibili, e la profondità di quest’opera ce lo conferma.

Alessia Martoni