Quali immagini associate alla parola “salina”? Alla mia mente sopraggiungono immediatamente i colori delle vasche, che virano verso il rosso quando compare l’alga Dunaliella, i fenicotteri rosa che increspano la superficie dell’acqua, in un mescolarsi di colori e linee, prima che torni la quiete. Un’immagine romantica, se vogliamo, che d’altra parte non smette di affascinare gli uomini da migliaia di anni. Sì, perché il commercio del sale si è affermato nell’economia della Roma imperiale, ma già da cinque o seimila anni fa l’uomo ha avvertito l’importanza del sale nella dieta. E da allora le tecniche per l’estrazione si sono affinate, la tecnologia ha portato un alleviamento della fatica, ma sostanzialmente il processo di evaporazione, concentrazione e cristallizzazione è rimasto (e rimarrà) lo stesso.
Inoltre, anche la storia è stata fortemente influenzata dal sale, perché attorno ai suoi scambi, alle sue vendite e a trasbordi su mezzi spesso di fortuna si sono sviluppati interessi economici, diatribe tra città e regni, floridi mercati,… Ma cosa ha fatto sì che il sale fosse ribattezzato “oro bianco”, diventando sinonimo di una ricchezza reale? E quali realtà nella nostra penisola sono state particolarmente significative? Quali lo sono tutt’ora?
Per rispondere a questi e ad altri interrogativi, vi suggerisco in primis la lettura di Andare per saline del giornalista e scrittore Roberto Carvelli (Il Mulino, 2022), libro che appartiene alla brillante e agile collana “Ritrovare l’Italia”. In questa recente pubblicazione, l’autore ci consente di viaggiare attraverso i suoi studi su e giù per l’Italia, tracciando un percorso inusuale: avreste mai pensato, in effetti, di costruirvi un itinerario di saline da visitare?
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Mappa riprodotta con l'autorizzazione della casa editrice Il Mulino |
Se la risposta è no e siete scettici, considerate che potreste ricredervi, perché tra le mete possibili figurano veri paradisi paesaggistici. Per citarne alcune, non in ordine, Salsomaggiore, Venezia, Trieste, Senigallia, Volterra, Portoferraio, Margherita di Savoia, Punta della Contessa, Marzamemi, Stintino, Cagliari, Carloforte, Sant’Antioco,… Non vi ho ancora convinto?
Allora date un'occhiata alla mappa qui affianco e lasciate che sia Roberto Carvelli ad attraversare le vicende di queste e di altre saline famose, che hanno riscritto il paesaggio, nonché influenzato più o meno significativamente la storia e l'economia della nostra penisola. Equilibri e giochi politici, tasse (come la famosa gabella sul sale), interessi economici (come l’accrescere a dismisura della richiesta sull’offerta del sale) hanno fatto sì che l’oro bianco decretasse alleanze commerciali o competizione, ricchezza o povertà di una salina e, di conseguenza, della sua manodopera. E quando quest’ultima non sarà più sufficiente, si arriverà ad arruolare persino i condannati ai lavori forzati, perché una cosa è certa: senza sale non si può stare. Né per la propria salute, né per la conservazione dei cibi e, più avanti, anche le industrie chimiche chiederanno crescenti quantitativi di sale. Attualmente, infatti, contrariamente a quanto potremmo pensare, solo un quarto del sale raccolto (è bene non usare il termine “prodotto”) serve all’alimentazione; tre quinti vanno alle industrie chimiche e un quarto viene sparso sulle strade, per evitare la formazione del ghiaccio nella stagione invernale.
Se a questo punto volete scoprire più da vicino una realtà virtuosa, che si è distinta per la sua esemplarità, sappiate che è uscito quest’anno per Ilisso il volume Le saline Conti-Vecchi. Storia di una grande impresa nella Cagliari del ‘900, un volume collettaneo che raccoglie interventi mirati e ben documentati, corredati da fotografie, riproduzione di progetti e altri documenti d’epoca. La sfida della famiglia Conti-Vecchi di trasformare negli anni Venti Santa Gilla in qualcosa di diverso da una zona segnata da malaria, disordini idrici, produzioni di sale e pesca disorganici ha risultati insperati. Certo, non si tratta di un cammino lineare, né privo di contrasti. Tuttavia, la creazione di una grande e moderna salina è un’impresa che tradisce la volontà di portare Cagliari a essere riconosciuta come una realtà industriale competitiva. E d’altra parte, fin da tempi antichi Cagliari era ricordata per il suo sale: lo attestano i Fenici, che probabilmente già commerciavano l’oro bianco per conto della città, mentre i Cartaginesi lasceranno testimonianze sulle saline cagliaritane già attorno al 150 a.C. La fortuna del sale sardo si è poi affermata ulteriormente nel XIV secolo, perché rendeva più gustoso il pesce, a dispetto dell’offerta europea, che faceva troppo amare le pietanze.
Dunque, l’opera della famiglia Conti-Vecchi si inserisce in una fortuna già tracciata, ma le innovazioni si susseguono, con grande lungimiranza: oltre a garantire impiego a moltissime persone, viene presto creato un cosiddetto “villaggio del sale” a Macchiareddu. Qui, gli alloggi, costruiti senza differenze di status sociale, utilizzando le materie prime del territorio, nel rispetto degli equilibri dell’ecosistema, costituiscono un singolare esempio di bioarchitettura ante-litteram. E così l’attività di estrazione, dopo una prima raccolta sperimentale del 1927, procede spedita, in un ambiente che garantisce ai lavoratori benessere e serenità. Non ci vuole molto perché si realizzi un progetto di architettura industriale illuminata, che preveda per gli operai e le loro famiglie assistenza sanitaria, istruzione per i bambini e molto altro, tra cui la promessa di un’occupazione per quando i figli saranno cresciuti.
Cosa, allora, ha incrinato una catena tanto virtuosa? I dissidi interni alla famiglia Conti-Vecchi, che hanno portato nel dopoguerra, già messo alla prova dalla crisi durante la Seconda guerra mondiale, un tormento continuo.
A farne le spese non è tanto l’attività di estrazione, quanto lo spirito di comunità prima tanto presente, forte elemento di coesione. Neanche gli stretti rapporti con l’azienda chimica della Rumianca negli anni ’60 basteranno a riportare la situazione della Conti-Vecchi all’armonia pregressa, tant’è che, tra varie traversie, nel 1984 l’azienda passerà al gruppo ENI, attuale proprietario.
Va però ricordato che la storia delle saline Conti-Vecchi quanto la sua popolazione faunistica, la bellezza paesaggistica, le tante altre realtà culturali che sono dipese o perlomeno sono state influenzate da questa azienda vengono conservati e documentati da una fondazione culturale legata al FAI, che, dal 2017, si occupa di valorizzare questo considerevole patrimonio. A nobilitare ulteriormente tale operazione di recupero, testimoniata dal volume in oggetto, vi sono le fotografie (molte fatte scattare da fotografi ingaggiati dai Conti-Vecchi fin dall'inizio delle attività) e i tanti documenti conservati, che hanno reso possibile costruire un racconto dettagliato.
Ad abbracciare i testi ben curati e anche molto dettagliati arrivano le foto, che ci portano dal bianco e nero delle prime pellicole ai colori del digitale: cambiano le storie, cambiano i volti degli uomini che lavorano alla Conti-Vecchi, ma resta imperituro il fascino di saline che, con i loro colori in netto contrasto con il biancore puro del sale, continuano a disegnare e a caratterizzare un territorio.
GMGhioni
La riproduzione delle foto di © G. Crisponi presenti nell'articolo è stata autorizzata dalla casa editrice Ilisso. La riproduzione della mappa delle saline è stata autorizzata dalla casa editrice Il Mulino.
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