Per Sandro Pagliarani tornare a Rimini vuol dire ritrovare gli amici della sua adolescenza, l'estate che «esiste solo a marina e le strade servono giusto per arrivare alla spiaggia» (p. 46), un bombolone prima dell'alba, una passeggiata al mare prima del tramonto, i gabbiani che sovrastano qualsiasi pensiero. Soprattutto, però, Rimini significa tornare a casa. Una casa che Sandro continua a considerare tale, benché la sua famiglia sia ormai ridotta a suo padre Nando e i non detti risuonino in un silenzio fatto di incomprensioni e delusioni. Suo padre Nando, dopo essere rimasto vedovo, ha trovato un nuovo equilibrio, fatto di orto, cibo semplice da preparare, orari scanditi, televisione e la sua straordinaria passione per il ballo, che ha sempre coltivato con la moglie Caterina. Lui, che ha saputo reinventarsi, lavorando sui bus turistici, poi come ferroviere e dietro al banco del bar America di sua proprietà, ha accettato il fallimento, si è tenuto a galla e si è adattato alla vita, cercando di danzarci sopra, leggero e, al tempo stesso, senza inciampare, provando a prevedere le sequenze di passi che sarebbero seguite. Certo, senza Caterina niente è più uguale e le chiamate tra Sandro e il padre non hanno più lo stesso sapore, ma la visita di Sandro offre l'occasione di provare a parlarsi davvero.
Tornare da Nando, in una casa rimasta immutata dopo la scomparsa di Caterina, è difficile per Sandro, che soppesa quelle pareti pensando che, se le cose dovessero andare male a Milano, se il fido non gli venisse accordato, tonerebbe a vivere lì, «in quella provincia che dimentica sempre» (p. 46). Quel che Sandro, i suoi amici e suo padre cercano di ricacciare nel fondo dello stomaco ogni volta che si guardano è un nome: Bruni. A causa sua Sandro ha iniziato a giocare, fino a perdere parte dei suoi risparmi e dei fondi dei genitori. Con l'ansia di avere tutto nel minor tempo possibile, sfidando la sorte, le carte, le proprie capacità di bluffare, le strategie di gioco, Sandro ha provato il brivido di anni in cui il richiamo di un tavolo ha superato tutto («Tutti in una nebulosa. E là da parte, nitidissimi, il tavolo e noi altri. I giocatori», p. 94). E per avere tutto Sandro ha rischiato di perdere tutto, persino i suoi affetti più cari, un lavoro stabile, una convivenza. Cosa è successo poi? E cosa accadrà, ora che Sandro è a Rimini?
Nel corso del romanzo Sandro avrà modo di scoprire più da vicino Nando, non solo come padre ma anche come uomo, quel padre che in parte gli è ancora estraneo («è davvero mio padre, quest'uomo con i fianchi da farfalla?», p. 50), da cui desidera prendere le distanze ma a cui si sente profondamente legato. Sono due adulti, ormai, Sandro e Nando e il confronto non può che essere quello alla pari di chi si racconta, si svela, si mette a nudo senza più schermi. La domanda “dove vuoi essere con un milione di euro in più e cinquant'anni in meno” si insinua tra di loro già a pagina 10 e dà avvio a un gioco che, oltre all'immaginazione, mette in circolo riflessioni di ben altro spessore. Al di là della domanda estemporanea, che di tanto in tanto riaffiora, l'occasione per avvicinarsi è però un evento che nessuno avrebbe potuto né voluto prevedere. Se Sandro è sempre stato il più fragile, colui che più volte si è appoggiato ai genitori con qualche senso di colpa di facciata, ora gli toccherà crescere, farsi carico di alcune responsabilità tra le più spaventose per qualsiasi essere umano. Tanto più, per qualsiasi figlio.
Tra passato e presente, segnati da sobri ma sostanziali spazi bianchi, scopriamo quanto possono essere lievi i dialoghi tra chi si ritrova, quanto pesanti i silenzi tra i giocatori attorno a un tavolo. Viviamo da vicino il cavalcare la fortuna di Sandro, sentiamo con lui cosa significa stringere carte favorevoli e cosa perdere tutto. Intanto avvertiamo l'apprensione di chi per anni ha cercato di proteggere Sandro dal suo vizio, la delusione di chi ha rinunciato a combattere per lui, le sincere raccomandazioni di chi sa bene che il gioco è un mostro che può restare in letargo per del tempo prima di risvegliarsi.
C'è tanta umanità, in questo nuovo romanzo di Marco Missiroli, che si muove toccando temi difficili da trattare quanto da rendere appetibili a un lettore. Ma Missiroli dimostra, anche stavolta, che un bravo scrittore può raccontare tutto ciò che vuole e ottenere la totale attenzione dei lettori con la sincerità di una prosa netta, in cui la sintassi non si impone mai quale sovrastruttura, ma, anzi, nella sua sobrietà ospita talvolta frasi iconiche. Al di là dello stile, già di per sé ammirevole, Avere tutto conquista per i contenuti: pur trattando aspetti problematici dell'esistenza, ci sono episodi che sanno regalarci la bellezza e la poesia di un ricordo, il tepore di una speranza per il futuro, il calore di piccole grandi attenzioni. E in fondo il romanzo ci lascia la sensazione che avere tutto non è solo sognare l'impossibile (avere un milione di euro in più e molti anni in meno), ma è anche e soprattutto realizzare chi si è, trovare una forma autentica dentro la propria famiglia.
GMGhioni
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