Viaggio al centro della Recherche: i "Saggi su Proust" di Bernard De Fallois


Saggi su Proust
di Bernard De Fallois
traduzione di Viviana Agostini-Ouafi e Fabrizio Ascari
La nave di Teseo, 2022

pp. 544
€ 26,00 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)

Tremila pagine. Centinaia di personaggi. Quarant'anni. Le dimensioni sono impressionanti. Proust ha davvero concepito un'opera "gigantesca", e lui stesso, cercando a cosa paragonarla, dirà che gli faceva pensare alle Memorie di Saint-Simon o alle Mille e una notte, cioè a libri "inesauribili". Nel campo del romanzo, un solo scrittore prima di lui aveva tentato di abbracciare una totalità così vasta: Balzac. (p. 284).

Nel centenario della morte di Marcel Proust, La nave di Teseo pubblica i Saggi su Proust di Bernard De Fallois, critico ed editore, nonché scopritore negli anni Cinquanta di due inediti proustiani: Jean Santeuil e Contre Sainte-Beuve. La conoscenza che De Fallois ha dell'opera proustiana non è solamente capillare e analitica, ma è irrorata da una vibrante passione, che rende la lettura di questi saggi - per la prima volta raccolti in lingua italiana - avvincente e leggera.

Il volume raccoglie le Sette conferenze su Marcel Proust, che ci consentono di "ascoltare" dalla voce ammaliante e autorevole di uno dei maestri dell'esegesi proustiana, sette percorsi critici, i cui titoli ci rivelano immediatamente l'interesse dell'approccio di De Fallois: La vita di Proust è poi così tanto interessante (prima conferenza), in cui De Fallois fa proprio il monito dello stesso Proust di non confondere l'io narrante con lo scrittore in carne ed ossa e, quindi, di non sovrapporre senza esitazione il Marcel della Recherche con Marcel Proust. Tuttavia i proustiani DOC non hanno seguito le indicazioni del loro amato e si sono forsennatamente affaccendati a trovare i segreti, i pettegolezzi, i particolari più o meno rilevanti della biografia di Proust. De Falois ha il merito di aggredire fin da subito l'immagine stereotipata che molti critici e molti appassionati lettori hanno creato di Marcel Proust: 

Mi veniva presentata la vita di un giovane ozioso, molto dotato, molto colto, ma che aveva passato tutta la prima parte della sua esistenza fino all'età di trentainque anni senza far nient'altro che frequentare i salotti letterari o mondani, prima di lanciarsi, un bel giorno, nella redazione di un'opera immensa. E io mi domandavo: come è possibile una cosa simile? Cosa mi si nasconde? Dov'è il segreto? Questa leggenda mi suona falsa. Insomma, avevo voglia di scoprire qualcosa, ma non era la vita di Proust che volevo scoprire Avevo appassionatamente voglia di sapere non il giorno in cui aveva incontrato Robert de Montesquiou ma il giorno in cui aveva incontrato Swann, Charlus e Albertine. (p. 50).

Questo ci porta alla seconda conferenza: Come ha composto Proust il suo romanzo? De Fallois Le costruisce la leggenda dell'uomo che ha passato metà della sua vita a perdere tempo come se fosse stato toccato dalla passione della scrittura in tarda età punto assolutamente falso: la seconda conferenza mostra come la vocazione di Proust alla scrittura è stata molto precoce e che tante pagine,  idee della Recherche si trovano in nuce in alcune opere giovanili quali Les Plaisirs et le Jours e Jean Santeuil. Nella terza conferenza,  intitolata I personaggi di Proust  sono vecchi e superati?, De Fallois smonta una delle critiche  rivolte più spesso ai personaggi proustiani, considerati vanesi,  superficiali e ormai antiquati. In  merito le prime due critiche,  lo stesso Proust  aveva ironizzato sulle proprie creature,  facendo dire a Bloch: “ Confesso  che la raffigurazione di questi esseri inutili mi lascia notevolmente indifferente”.  In tal modo, direi con genialità, Proust risponde in anticipo alle critiche che accolsero il suo libro. Nella sterminata galleria di personaggi della Recherche, se ne contano centinaia, De Fallois fornisce un utilissimo "sistema di personaggi", che può essere graficamente rappresentato in cerchi concentrici. Il centro di tale cerchio è ovviamente l'Io narrante, lambito dalla nonna, l'unico personaggio che si trova nel primo cerchio, per una prossimità (possiamo dire edipica, dato che nella nonna Proust trasferisce il suo amore per la madre) con la dimensione più intima dell'io. Nel secondo cerchio

ci sono due personaggi più importanti degli altri, che spiccano rispetto alla moltitudine di tutti gli altri, a essi l'autore ha dato un'importanza e un significato più grandi. Prima di tutto Swann, poi il barone di Charlus. [...] Sono stati incaricati da Proust di avere un ruolo molto più importante delle altre persone. Essi sono ciò che Proust avrebbe potuto essere, sono quello che Proust sarebbe stato se non fosse stato Proust, cioè se non avesse dedicato la vita a fare un'opera. Sarebbe stato un dilettante pieno di fascino e di delicatezza, di cultura artistica, seducente, commovente, come Swann. Sarebbe stato un omosessuale mezzo folle, che frequentava le case d'appuntamenti, capace di sfuriate degne di Giove per insultare i giovani che si prendono gioco di lui, che ricorre ai protettori, ed è tenuto sotto controllo dalla polizia. Ma non è stato né l'uno né l'altro, e tuttavia è stato entrambi. Swann e Charlus sono rimasti ai bordi dell'arte. Non ci sono entrati. Proust li chiama due "scapoli dell'arte". Domineranno, ciascuno di loro, una delle due parti del romanzo. . Swann sarà l'eroe della prima metà. A partire da Sodome et Gomorrhe, cederà il posto a Charlus. (pp. 100-101).

Nel terzo cerchiamo troviamo i personaggi che Proust ha conosciuto o dalla parte di Swann, quindi Odette, Gilberte, Mme Verdurin e suo marito, Cottard, Eltsir o dalla parte di Guermantes (cioè di Charlus): tutta la famiglia Guermantes, soprattutto la sfavillante Oriane, Robert de Saint-Loup, Mme de Villeparisis, Norpois. E poi gli esseri amati: Albertine e Morel. 

Non solo De Fallois dona un ordine ed una logica a tanti volti e, tante voci, ma si domanda in modo radicale cosa rende un personaggio un personaggio proustiano. La risposta è : il linguaggio. Proust riesce a fare parlare ogni personaggio con una lingua, un'inflessione, un lessico solo suo. Noi riconosciamo ad ogni battuta chi la sta pronunciando. Basta che i personaggi aprano bocca che il lettore li riconosce. Ma li riconosce non tanto per la loro unicità, ma perché ognuno è un prototipo, un'idea alla moda, impersona un "si dice", e perfino lo svolgimento temporale non porta un vero cambiamento nell'essenza dei personaggi; se cambiano il loro modo di pensare molti (ad esempio Mme Verdurin) non è perché hanno subito un'evoluzione, ma perché le idee che incarnavano trent'anni prima non sono più di moda. Quindi nella loro essenza, molti personaggi proustiani rimangono "uguali" pur cambiando masvhere, perché restano sempre personaggi alla moda. Quindi se la critica che si rivolge a Proust è di avere fatto un affresco di uomini e donne mondani, frivoli, ciò non toglie che attraverso questi "inutili" personaggi, Proust insegni ai suoi lettori tante profondità dell'essere umano e, soprattutto, la cosa più importante: non credere alle apparenze, guardare sotto la patina luccicante delle mode e dei cliché. Ma, e questo finalmente qualcuno doveva dirlo e con  decisione, De Fallois mostra come questa operazione di smascheramento delle illusioni, Proust la fa ridendo ed insegnando a ridere di questo spettacolo grottesco e bugiardo che è la società umana. Quindi, abbattiamo Definitivamente idea di Proust come uomo disperato rifugiatosi nella solitudine che maledice la vita e detesta gli uomini pur essendo un grande pessimista, Proust non è un misantropo.  altrimenti non si spiegherebbe il brio, con cui sbeffeggia i suoi personaggi. Ciò ci porta alla quarta conferenza, intitolata Proust è il vero autore della Comédie humaine? Ancor più di quella di Balzac, è l'opera proustiana ad essere una "commedia umana". Mentre, infatti, noi non ridiamo di Papà Goriot o del terribile Vautrin, noi non riusciamo a non farci beffa di François o di Cottard.

Dall'inizio alla fine di quest'immenso racconto, che si estende su più di quarant'anni, non smettiamo di ridere, di attraversare tutte le sfumature del riso, dal sorriso commosso all'incontenibile ridarella, senza mai stancarcene (p.118).

Lo stesso Proust, fin da adolescente, era un abile imitatore, che faceva ridere tutti e anche la lettura delle sue lettere si rivela divertente grazie alle sue continue battute, giochi di parole, pettegolezzi e racconti leggiadri e ironici. L'uomo fa ridere, secondo Proust, perché è l'unico animale che è dotato di stupidità e questa stupidità si manifesta verbalmente, con  linguaggi artefatti e inappropriati, che vorrebbero mostrare in modo impacciato di essere ciò che non si è. Proust, che anche nella vulgata comune è un terribile snob, rende lo snobismo il punto estremo del comico, proprio perché in esso si manifesta una summa della stupidità e della vanità umana. Ma i personaggi proustiani non sono mossi solo da vanità e problematiche scelte della scarpa giusta da indossare per una soirée, ma sono anche e soprattutto personaggi innamorati. A questo aspetto dell'opera proustiana, è dedicata la quinta conferenza: Proust pro o contro l'amore? Nel ricordare amori più importanti narrati da Proust:  quello provato da Swann per una mantenuta di lusso (Odette),  l'amore del trovatore prima per Gilbert,  poi quello idealizzato per la duchessa di Guermantes, infine quello tragico per Albertine, quello di Saint-Loup per un’attricetta e quello omosessuale di Charlus per Morel, Bernarde De Fallois  ci dice che Proust ha 

preferito dipingerci l'amore ricorrendo al metodo clinico, cioè sedendoci al capezzale del malato. (p. 157).

Non è il desiderio la vera molla dell'amore per Proust, ma il bisogno ansioso che scaturisce da una mancanza, l'angoscia di un'assenza che infrange il potere rassicurante dell'abitudine. È il bisogno ansioso del bacio della buonanotte della mamma, è la malattia di Swann quando ad una serata dai Verdurin non trova Odette, quella donna che fino ad allora, sera dopo sera, per lui era sembrata una delle tante. Nel momento in cui lei manca, nasce in Swann un folle desiderio di trovarla. Ciò che rende il bisogno ansioso follia e malattia è la passione che Proust ha saputo raccontare meglio di qualunque altra: la gelosia. Nel momento in cui essa si manifesta, l'innamorato, cioè il malato, non è più operabile. La prigioniera e Albertine scomparsa sono i due volumi dedicati all'amore atroce, possessivo e annichilente dell'io narrante per Albertine. Amore inspiegabile, Proust non prova neppure a rendere comprensibile a se stesso e al lettore perché ci si innamora di una persona. Anzi, mostra impietosamente la banalità e anche la grettezza delle persone che suscitano questo amore totale. Ciò perché l'amore è la quint'essenza di ciò che Proust vuole dimostrare in ogni pagina della sua opera: non esiste un mondo oggettivo: tutto è un fenomeno soggettivo, senza realtà. Non ha importanza chi sia davvero Albertine (sappiamo peraltro che nella vita di Proust ha una corrispondenza maschile, lo scrittore si è ispirato al suo amore per Agostinelli per descrivere il sentimento per Albertine) ma ciò che Albertine provoca in Marcel. Come accade con la madeleine e con i biancospini. L'amore è il desiderio dell'impossibile che ci fa sognare di non essere soli, ma è anche la potenza che ci separa dalla vita mondana e ci riporta dentro noi stessi. 

La sesta conferenza tratta uno dei temi capitali dell'opera di Proust: L'opera d'arte può vincere la morte? La ricerca del Tempo perduto è in realtà la ricerca di quei momenti - o epifanie- nei quali il Tempo sembra rallentare e poi svanire, in cui non vediamo più le cose ma l'essenza delle cose (l'episodio della madeleine, delle selci sconnesse, il rumore di un cucchiaino su una tazza). Ma l'arte, pur regalandoci attimi di eternità, non vince la morte. Non è questo il suo ruolo, ma è quello di dare accesso alla vera vita. Dopo un'ultima conferenza, dedicata al parallelismo fra Proust e Chateaubriand, il volume raccoglie altri saggi, quali Lettori di Proust, e una impareggiabile introduzione alla Ricerca del tempo perduto. Inoltre, alla fine, sono raccolte delle massime e dei pensieri estratti dall'opera proustiana. 

Se è vero che la Recherche, come ebbe più volte a dire il suo autore, è una cattedrale, cioè una struttura articolata e composita, della quale non si può avere una visione sinottica, ma bisogna girarle intorno, studiarne i particolari, comprendere il gioco degli archi rampanti e delle navate, anche scrivere saggi critici su questa immensa opera letteraria richiede la stessa pazienza dei costruttori delle cattedrali gotiche e, direi, la dedizione di una vita. Di certo Bernard De Fallois le ha avute entrambe e ci consegna un testo che non è solamente una pietra miliare che non può mancare nelle biblioteche dei proustiani incalliti (quale ho l'ardire di considerarmi) ma è anche una lettura semplice e accattivante per chi ancora non ha avuto il coraggio - e sono in tanti - di accostarsi ad un'opera così impegnativa e che a torto spesso viene considerata difficile.  Con semplicità e sconfinato amore, De Fallois ci conduce per mano nei sentieri proustiani, facendoci da guida, ma anche invitandoci a perderci e a girovagare un poco dalla parte di Swann e un poco da quella di Guermantes.

Deborah Donato