di Simona Lo Iacono
Neri Pozza, 2022
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
A scuola ci vado volentieri perché si dicono parole in continuazione, parole di storia, di geografia, di letteratura. La letteratura è la mia materia preferita e nell'antologia ho scoperto moltissimi scrittori e artisti. Io ogni volta che leggo cose di artisti, tutta mi mescolo in una commozione. Ed è per questo che da lei, signora Anna, vorrei sapere come si diventa poeti, se è una cosa di natura come il brutto carattere, o se si può addestrare come la ginnastica. Potrebbe anche essere che è un po' e un po', e che uno poeta ci nasce, ma pure ci diventa, o potrebbe anche darsi che uno rinasce ogni volta che diventa poeta. Non lo so. Io la mia unica poesia l'ho scritta di nascosto e l'ho dedicata a un cane, era un cane povero e lì ho capito che mi attraevano tutte le cose tralasciate dagli altri. (p.17)
Anna viene scelta e sale su un treno che da Siracusa la porterà a Milano, accompagnata dalla propria maestra. Il viaggio in treno è costellato dalle riflessioni poetiche di Anna, dalle sue osservazioni su ciò che vede, sulle grandi domande dell'esistenza, ma anche sulla letteratura, con una fresca profondità che riesce a mettere in crisi la povera maestra:
Ma la maestra mi ha detto: no, il compito della letteratura per una bambina come te è intrattenere, fare passare il tempo, e io ho replicato: ma, maestra, intrattenere è poco, a me mi pare che la letteratura ha a che fare con l'ignoto e col mistero, pure col mistero che c'è dentro di noi. E quella: basta, Cannavò Anna, "a me mi" non si dice. (p. 28)
Nel 1968 uscì Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante e il libro di Simona Lo Iacono sembra davvero donare la magia dello sguardo limpido e incantato che può salvare il mondo. La stessa prosa de Il mistero di Anna ha una misteriosa grazia nel dire cose immense, problemi estetici e metafisici che da secoli tengono impegnati le menti più eccelse, con il linguaggio aurorale del bambino. A questo io narrante semplice, e proprio per questo coinvolgente, si alternano capitoli nei quali il romanzo diviene un romanzo epistolare. Inizialmente coglievo quasi con fastidio la pausa imposta alla voce di Anna e non intendevo il senso - che a torto mi appariva quasi didascalico - delle lettere fra Anna Maria Ortese e una misteriosa signora R. Mi sembrava forse un pretesto per illustrare al lettore la vicenda esistenziale e artistica di Anna Maria Ortese. Alla fine del romanzo, invece, si coglie che queste lettere, lungi dall'essere meramente un interludio, hanno un un ruolo importante nell'intreccio e nel suo svolgimento.
Arrivata a Milano, la piccola Anna condivide sette giorni con Anna Maria Ortese e con sua sorella Maria e con la loro gatta cieca. Incontriamo così l'ombrosità della scrittrice, interrotta dalle passeggiate con la bambina, e lo spaesamento di Maria, dolcemente immersa in un mondo di ricordi e nostalgia. Il tempo trascorso con Anna Maria Ortese è per Anna l'accesso a un mondo per il quale aveva sempre sentito la vocazione, ma del quale forse metteva anche in dubbio l'esistenza. E lì, a Milano, in quella casa silenziosa e in quelle abitudini austere, Anna ha il coraggio di chiedere:
E io a cosa venni chiamata?
Tu sei chiamata alla bellezza, perché cercare la bellezza è emergere dal male. E perché la scuola della bellezza non è altro che disciplina. La disciplina dello straordinario. (p. 120)
Forse la bellezza salverà il mondo (come in realtà lo stesso Dostoevskij non ha propriamente fatto dire al suo Idiota) o forse no, però la sua ricerca ci fa emergere dal male. Su questo la vita di Anna e quella di Anna Maria, fraintesa la sua volontà di narrare anche il male della sua Napoli per salvarne la bellezza, coincidono. Per entrambe la scrittura è l'unico modo per sopravvivere, per enumerare tutto ciò che nel mistero della vita si muove. In questa Anna, a cui i genitori non vogliono far continuare gli studi dopo la licenza elementare, in questo dibattersi fra la necessità dell'esistente e le ali dell'immaginario, è impossibile non identificarsi e non amarla.
Allo stesso tempo, Il mistero di Anna accende un faro e lo punta su una scrittrice forse non ricordata come meriterebbe, obliata da tanti programmi scolastici e contributi accademici. Simona Lo Iacono ha avuto la bella intuizione di non renderla protagonista del suo romanzo, ma proprio questo suo essere narrata da una voce vergine, affamata di cultura e parole, regala un profilo e uno spessore che lasciano al lettore la voglia di scoprirla o tornare a rileggerla.
Ti capita spesso di rimanere colpita dalle parole?
Spesso? Signorina Anna, io non faccio altro che restare colpita da tutte le parole, quelle libere e quelle oppresse. E da quelle poetiche, soprattutto, che riconosco per il semplice fatto che mi danno una sensazione di caldo, qui, ma anche di dolore. Oppure le riconosco perché invece di farmi proseguire mi fanno fermare, o perché sono dolci ma hanno pure un certo sapore di inferno. Io mi sono ammalata di parole poetiche, signorina Anna, e sono dispiaciuta di non conoscerle tutte, perché mi sono detta che - forse - a conoscerle davvero tutte, le parole, capivo meglio il mondo, ma non lo dite al direttore scolastico, vi prego, tenetevelo per voi che siete scrittrice. (pp. 72-73).
Poche volte ho letto un elogio così vibrante e spoglio di retorica nei confronti della letteratura. In modo lieve e quasi con passo di danza, il libro di Simona Lo Iacono riporta a casa le parole, l'unica vera casa riconosciuta dalla girovaga Ortese, svela e poi subito vela di nuovo il mistero portentoso della poesia.
Deborah Donato
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