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Condividere un destino comune, appartenersi: "Stupore", il nuovo romanzo di Zeruya Shalev

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Stupore
di Zeruya Shalev
Feltrinelli, settembre 2022

Traduzione di Elena Loewenthal

pp. 320
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (cartaceo)

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Pensare che ha talmente tanto da darle, nel poco tempo che resta. Potrebbe esserle di conforto proprio per quella loro totale comunanza di destino: ha già vissuto tutto ciò che Atara ha perduto. E nulla sarà stato invano se potrà affidarlo a lei [...] Lascia perdere, figlia mia, lascia perdere le domande sterili, le risposte tormentose, lascia perdere la rabbia. Non con il dolore della domanda ma con quello della rinuncia troveremo consolazione. Forse. (p. 297)

Di Zeruya Shalev si dice sempre che è una scrittrice formidabile nel raccontare i traumi come componente della vita. È vero.
Non a caso Dolore, uno dei suoi più celebri romanzi, parte proprio da questo: dalle ferite e da tutto ciò che da esse nel tempo riaffiora colpendoci. Stupore, nuova opera dell'autrice israeliana attesissima in questi giorni in Italia per il Festivaletteratura 2022, ha ancora una volta al nucleo qualcosa che riemerge da una ferita, anzi da più ferite: quelle dei personaggi e quelle d'Israele. 

Due donne, Atara e Rachel, si incontrano. La prima è un'architetta di cinquant'anni dalla vita e dal passato familiare complicati. Ha un marito con il quale si attivano continue tensioni, un figlio soldato che è tornato a casa per rifugiarsi nei propri misteriosi silenzi, un'altra figlia che vive lontano, in America. Ha l'abitudine di procrastinare e la tentazione di costruire sempre qualcosa di nuovo su strutture architettoniche che altri hanno lasciato. Per rivoluzionarle, sovrascriverle lasciando un proprio segno. 
La seconda ha quasi cento anni, vive in una casa con il salotto rivolto a est, ha un passato pieno di memorie e di non detti, due figli che ama ma che poco sanno di lei, di chi è stata davvero. 
Non c'è nulla che a prima vista unisca i due personaggi.
Ma a un certo punto il trait d'union si rivela: il defunto padre di Atara è stato il primo marito di Rachel molti anni prima. Insieme hanno militato nella Resistenza israeliana contro gli inglesi, prima della nascita dello Stato d'Israele. C'è stato un tempo in cui si sono amati e in cui hanno sofferto, pianto, lottato. E c'è stato un momento in cui qualcosa di più grande di loro li ha divisi. Atara si mette alla ricerca dell'anziana donna perché sa che il suo padre ombroso e distante le ha lasciato del dolore e anche qualcosa che è come un mistero da risolvere. Rachel è il primo degli indizi, il più decisivo e profondo, il punto di inizio della sua ricerca. 

Nell'incontrarsi i traumi si riattivano come ferite epidermiche che ricominciano a tirare. Ognuna delle due ha qualcosa che la tormenta; Atara vuole sapere, Rachel vuole (apparentemente) solo dimenticare. Ma dal momento in cui si ritrovano faccia a faccia sfuggirsi è quasi impossibile: le due donne, in qualche modo che sembra loro assurdo, si appartengono
Stupore parla dell'intima sorpresa che si prova le rare volte in cui ci si ritrova di fronte a qualcuno che ha un destino intrecciato al nostro e dello stupore dell'abbandonarvisi senza difese. 
Incontrando Rachel Atara scoprirà di chi porta il nome (che è uno dei simboli più potenti che portiamo addosso) e capirà il senso profondo della propria origine. Unirà tanti punti che le riguardano in un disegno più grande di cui fanno parte anche altri, in primis i figli e i mariti. 

Come spesso accade nella letteratura, in quella israeliana in particolar modo, il destino dei personaggi diventa un tutt'uno con quello di una nazione perennemente in bilico tra orgoglio e pena, tra rinascita e inabissamento con traumi che è impossibile cancellare.
Nel lavoro di Atara e nella sua ricerca di case da (ri)costruire c'è il senso della ricerca di una costruzione di senso collettivo: capire quello che è stato, condividerlo, edificarvi sopra qualcosa di solido. 
Quello della Resistenza anti inglese è un capitolo tormentato e tormentoso della storia del paese, qui raccontato talvolta con una certa retorica. È la vicenda di un gruppo di giovani che provarono a liberare quel paese "con la forza della volontà e dell'intelligenza":
Le racconterà che avevano dato la vita senza esitazione per questa terra. Era carne della loro carne, un po' madre e un po' figlia, un po' compagna, nel suo suolo hanno sepolto i loro cuori. Ne ripete di nuovo i nomi: Boaz Aryeh Israel Uri Elchanan Shlomo Ghedalya Yzvi Chaiim Uzi Yosef Dov Ariela Dror Amnon Arnon Amatzia Avraham Uzi Shemesh Shmuel Chemda Rut, quasi tutti li ricorda con i nomi di battaglia della Resistenza armata [...] È tutta la vita che sente le loro ombre infisse nella sua anima come chiodi. Ragazzi e ragazze con l'acciaio nell'animo, che il fuoco tempra ma non scioglie. (pp. 101-102)

Shalev scrive con un ritmo che è un continuo affastellarsi di pensieri. I discorsi diretti entrano dentro il sentire dei personaggi, il sentire è materia dei discorsi. Strutturalmente i capitoli alternano le voci di Atara e Rachel, scelta che in certi libri ingenera nel lettore una certa stanchezza.
In realtà il loro controcanto è più profondo ed è continuo: l'una è nel pensare e nell'agire dell'altra, e viceversa, e la scrittura esprime questo flusso, lo registra. È la storia di due cuori combattuti e assediati che si consegnano l'uno all'altro.
L'autrice ribadisce con questo romanzo qualcosa che tanta letteratura, in fondo, ci ha detto nei secoli ma che non smette mai di emozionare: è solo nell'incontro con l'altro che avviene il cambiamento. È qui, in questo spazio enigmatico che pare di pochi centimetri e a volte sono chilometri, che stanno tutte le sfumature possibili di stupore, di stupito dolore e di stupito amore. 

 

Claudia Consoli