Aniko
di Anna Nerkagi
Utopia Editore, settembre 2022
Traduzione di Nadia Cigognini
€18,00 (cartaceo)
€9,99 (ebook)
Com’è la vita, se non si nasce in una grande città ma in una comunità di cacciatori nella tundra russa? Una domanda che non di frequente si trova affrontata dalla letteratura di larga circolazione. Anna Nerkagi, invece, ha dedicato la sua vita e la sua carriera letteraria alla sensibilizzazione su questo tema. Nata nella penisola di Jamal, in Siberia, nel clan dei nenec, è stata separata dalla famiglia dalle autorità sovietiche: ha vissuto così in collegio, ha imparato il russo e si è laureata in geologia. L’allontanamento dalla comunità di origine ha comportato la perdita della lingua, dei costumi e dello stile di vita: reintegrarsi, poi, non è stato semplice.
Questa è anche la storia di Aniko: figlia di Seberuj e Nekoči, nata in un čum – una sorta di capanna rivestita di strati di pelliccia, abitazione tipica dei nenec – a sette anni è stata ceduta dal padre a un uomo russo venuto a cavallo. Da allora nella sua comunità non si hanno più notizie di lei: e mentre la vita nel clan scorre sempre uguale, cacciando volpi, difendendosi dai lupi e preparando tè speziati intorno ai falò, Aniko cresce in una realtà molto diversa, fatta di studio, comodità domestiche, prospettive lavorative promettenti. Solo dopo una disgrazia gli abitanti del villaggio nenec cercheranno di richiamare Aniko a casa:
Si era abituata all’idea di avere un padre e una madre che, seppure lontani, continuavano comunque a vivere per lei. E ciò significava che dopo la laurea Aniko sarebbe potuta tornare a trovarli e avrebbe potuto amarli come un tempo, perdonarli. (p. 47)
Nessuna delle due parti ha però calcolato che il contatto tra due realtà divenute così diverse avrebbe prospettato delle difficoltà di comprensione: in primis linguistica, perché chi viene portato via da bambino apprende un’altra lingua, quella di coloro che lo educano, e perde quella della famiglia; poi, mancherà comprensione delle rispettive abitudini, di come l’uno persista in una serie di pratiche quasi tribali mentre l’altro inneggi alla civilizzazione e alla modernità.
In quel momento a stupire Aniko non era tanto la somiglianza delle persone ai loro idoli, quanto l’aura di grandezza e dignità che le accomunava a quelle divinità di pietra. Le persone che le sedevano davanti sembravano conoscere aspetti fondamentali, imprescindibili della vita, che lei ignorava […]. (p. 70)
Si vedrà che i nenec sono favorevoli a inviare i propri figli a studiare negli istituti russi, ma coltivano in sottofondo la speranza che questi giovani facciano poi ritorno, più istruiti e ben organizzati, per dare una mano alla propria comunità in senso pratico: costruire scuole locali, praticare la medicina, creare nuove abitazioni in grado di resistere meglio al gelo della tundra.
Il conflitto che si delinea è, in fondo, anche generazionale, ed è chiaramente comprensibile da qualunque prospettiva sociale o geografica si legga il libro: i ragazzi che studiano fuori dall'ambiente in cui sono cresciuti – soprattutto se è un ambiente provinciale, o rurale – raramente desiderano tornare, e preferiscono mettere a frutto le competenze acquisite in luoghi che offrano più opportunità.
«Quindi vorresti vivere in un appartamento pieno di comodità e lasciare che le altre donne nenec continuino a restare in eterno davanti al focolare? Sei una persona istruita, impegnati per migliorare le loro condizioni di vita». (p. 81)
Anna Nerkagi, però, non è una di questi ragazzi: al contrario, appartiene a quanti hanno messo la propria cultura al servizio di queste minoranze e, dopo essere ritornata a vivere tra i nenec, ha aperto diverse scuole per istruire i bambini sul posto.
Per questo motivo la sua testimonianza letteraria è unica, precisa, insostituibile: il libro, pur essendo molto godibile – ha quasi il ritmo di una fiaba del nord Europa, la prosa di Nerkagi conserva un che di leggendario, di primitivo – presenta i dettagli della vita dei nenec come si trattasse di un documentario ben realizzato. Così il lettore impara a familiarizzare con parte del lessico locale: chorej è il bastone usato dai pastori di renne, savak una sorta di pelliccia usata per scaldarsi, mukadanzi il foro in cima alla tenda-abitazione, dal quale, durante le tempeste, entra la neve. Non solo: assiste a una giornata tipica in un villaggio nenec, apprende quali sono i mestieri degli uomini, quali i compiti delle donne, la gerarchia sociale che regna nel popolo e lo svolgimento dei riti funebri. Soprattutto, il lettore occidentale rimarrà colpito dal rapporto che si instaura tra gli uomini e gli animali con i quali condividono lo spazio abitativo: le renne, allevate per trainare le slitte e fornire pellame, i cani, animali da compagnia e compagni di caccia, e infine i lupi, principali nemici di ogni creatura della tundra.
A un lupo in particolare, chiamato Diavolo zoppo, l’autrice dedica svariati capitoli: le sue vicende si alternano a quelle degli abitanti del villaggio, e il rapporto che si instaura tra lui e i cacciatori è fatto di paura e odio, ma anche grandissimo rispetto. Nerkagi rende il lupo in maniera quasi antropomorfa, almeno dal punto di vista emotivo, e le pagine dedicate al lupo e alla sua sensibilità sono le più originali del romanzo:
Diavolo zoppo fu sopraffatto dalla nostalgia, una nostalgia densa come il sangue di una giovane renna, che lo costringeva a ululare nelle notti bianche. Ripensò al tempo in cui se ne stava disteso all’ingresso della sua tana, insieme a dei buffi e caldi batuffoli di pelo che gli si strofinavano addosso… Per loro avrebbe azzannato le gole di un intero branco. (p. 110)
La trama del romanzo è poi accuratamente collocata nella storia della Russia di metà Novecento: la comunità nenec ha assistito all'avvento del potere sovietico e alcuni suoi membri hanno partecipato alla Seconda Guerra Mondiale. La vita nella comunità dei nenec, per quanto geograficamente lontana dai centri del potere economico e politico, non è immune ai processi della Storia.
Anna Nerkagi è la prima romanziera nenec a essere tradotta in italiano: l’operazione di Utopia, che ha iniziato la pubblicazione dei suoi libri già tradotti all’estero, è una scommessa riuscita su di un’autrice eccellente.
Michela La Grotteria
Social Network