Due settimane in settembre
di R.C. Sherriff
Fazi, settembre 2022
Traduzione di Silvia Castoldi
pp. 352
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
È alle parole piene di ammirazione del premio Nobel Kazuo Ishiguro che dobbiamo la riscoperta – e in Italia la prima pubblicazione – di questo delizioso libretto, Due settimane in settembre, dello scrittore inglese R.C. Sherriff; è il suo gusto di lettore e una storia riletta nel 2020, in piena pandemia mondiale, che gli ha fatto dire:
Non riesco a pensare a un romanzo che più di questo sia in grado di risollevare il morale. La bellezza della dignità che si trova nella vita di tutti i giorni è stata raramente catturata in modo più delicato.
Io lo leggo due anni dopo, appena pubblicato in Italia da Fazi editore nella curatissima traduzione di Silvia Castoldi e il caso vuole lo abbia fatto proprio dal mio borgo di mare, alla fine di settembre, costretta a casa per una forma leggera di Covid. Il dato personale serve solo per meglio inquadrare i sentimenti che molti aspetti di questa lettura – il setting, il parere di Ishiguro, la coincidenza di periodo della storia e della lettura – hanno significato e l’hanno resa ancora una volta un fatto tanto personale, intimo. Ha pienamente ragione Ishiguro quando dice che il romanzo di Sherriff ci ricorda la «bellezza della dignità» del quotidiano, un aspetto centrale nella storia e intorno a cui si è intrecciata anche la mia riflessione, mentre sulla sua capacità di «risollevare il morale» mi trovo invece meno d’accordo con la lettura del grande autore inglese; no, Due settimane in settembre a mio avviso non mira a risollevarci il morale, anzi, per certi versi alcune delle considerazioni e degli spunti possono produrre l’effetto contrario, almeno all’inizio; non è la lettura leggera da cui ci si aspetta consolazione, un perfetto happy ending, sentimenti semplici e qualche perla buonista; non è nemmeno il tipo di libro che mi risolleva il morale, per un verso o per l’altro. Ma è, concordo in pieno con Ishiguro, un piccolo gioiello che sa raccontare perfettamente il quotidiano di una famiglia, le sue abitudini e ruoli consolidati nel tempo, i piccoli malumori celati, la dignità di vite semplici e ugualmente piene di significato.
Da qualunque lato lo si osservi, quindi, Due settimane in settembre è un romanzo da riscoprire, ma con attenzione, non limitandosi a scalfirne la superficie. Certo è una lettura ideale per salutare settembre e gli ultimi scampoli d’estate, ma la sua storia piccola, priva di drammi urlati è ben più stratificata di quanto potrebbe apparire e offre al lettore molti spunti su cui interrogarsi.
La vicenda che seguiamo da vicinissimo si svolge nell’arco di un paio di settimane, quei quindici giorni di vacanza annuali che la famiglia Stevens trascorre sempre nello stesso luogo di villeggiatura, a Bognor, nella contea del West Sussex, località di mare a un centinaio di chilometri da casa. Anno dopo anno, fin dalla luna di miele, è qui che prendono in affitto le camere della pensione Vistamare e seguono un programma studiato nel dettaglio, per trascorrere tutti insieme – il signor Stevens e signora, i tre figli – una vacanza tra spiaggia, passeggiate serali sul lungomare, brevi selezionati momenti di autonomia e solitudine, pasti in famiglia. Al mare, a Bognor, Sherriff dedica pennellate vivide e attente:
Perché il signor Stevens e i suoi figli amavano il mare in tutti i suoi stati d’animo: lo amavano quando giaceva calmo durante la marea calante, mormorando nel sonno, e quando si svegliava e increspandosi invadeva le sabbie; lo amavano al culmine dell’alta marea, in una sera tranquilla, quando sciabordava pigramente contro i ciottoli. Ma più di tutto lo amavano com’era quel giorno, quando ruggiva selvaggio attorno ai moli guardiani, rimbombava e sospirava nei vuoti cavernosi sotto il pontile, quando si abbatteva con fragore contro il muraglione e li inondava di schiuma. Ognuno dei suoi migliaia di richiami aveva una nota diversa, ogni suono era un grido di libertà. (p. 140)
Pubblicato per la prima volta nel 1931, Due settimane in settembre nasce dall’osservazione diretta di quelle famiglie in villeggiatura, il tempo dilatato delle vacanze, la consuetudine di ritrovarsi insieme in un posto conosciuto, le attività semplici di ogni giorno. Ma immaginando anche tutta la vita che si cela dentro quell’ora solitaria, nel tempo esteso e libero dagli obblighi lavorativi e quotidiani, nei piccoli piaceri semplici e inaspettati. Rivelando, ancora una volta, una notevole stratificazione dietro l'apparente semplicità.
L’uomo in vacanza diventava l’uomo che avrebbe potuto essere, l’uomo che avrebbe potuto diventare se le cose fossero andate in maniera un po’ diversa. Tutti gli uomini sono uguali in vacanza: tutti libero di fare castelli in aria senza preoccuparsi delle spese, e senza possedere competenze da architetto. Sogni fatti di una materia così impalpabile devono essere coltivati con venerazione e tenuti lontani dalla luce violenta della settimana seguente. (p. 37)
Nulla può restare sempre uguale, non nella vita vera, e dietro la consuetudine dei gesti e dei programmi si avverte fin da principio un certo senso di cambiamento. È l’infanzia di Mary e Dick, i due figli maggiori, che cede il passo all’età adulta e che nelle consuete stanze notano i segni dell’usura, della povertà:
Perché Dick e Mary, una volta tornati nelle loro vecchie e ormai ben note camerette, si erano chiesti con un tuffo al cuore come avessero fatto negli anni passati a non accorgersi del loro spaventoso squallore e della loro terribile povertà. Si trattava di un crescente desiderio di cose migliori? Oppure all’improvviso quelle stanzette si erano rattrappite, erano diventate più buie, quasi miserabili? (p. 151)
Le loro riflessioni, che si svelano a poco a poco al lettore, i timori della signora Stevens, i piccoli piaceri e i guai di lui, fanno si che ognuno si elevi dal rango di personaggio per farsi persona, non stereotipato, mutevole e complesso per natura umana. E fanno si che osserviamo questa famiglia, questa storia, tra la spensieratezza e la malinconia, ricordando pure noi un tempo perfetto che avremmo voluto fissare per sempre in un istante, ma già consapevoli che niente resta immobile e immutabile.
Mediante punto di vista molteplice, entriamo nella storia da angolature differenti ed è attraverso questa molteplicità di sguardi che ne possiamo cogliere maggiori dettagli e implicazioni, tra ricordi e presente. Di fronte a noi si mette in scena la vita, la storia di una famiglia con i suoi alti e bassi, il lavoro non sempre soddisfacente e l’ambizione, i primi sentimenti romantici e il loro ricordo, le delusioni e le timidezze.
Quelle due settimane di villeggiatura paiono essere anche il momento ideale per riflettere con calma sulla propria vita e le decisioni da prendere, tesi fra desideri personali e il timore di uno strappo famigliare:
Si vergognava del suo lavoro, della sua vecchia scuola, e quel lavoro e quella scuola erano i successi ottenuti con orgoglio da suo padre nella vita. Era sleale: sapeva che era quello il nucleo fondamentale della sua infelicità. Se voleva evitare di essere solo ed emarginato doveva fingere per tutta la vita di essere orgoglioso di ciò che in fondo al cuore segretamente disprezzava, di ciò che sapeva essere di seconda categoria, di qualità inferiore. (p. 209)
Ecco, è proprio qui, in queste increspature sulla superficie, che si trova la storia. Nei timori di Dick e nelle attese di Mary per il futuro, nello slancio verso la vita adulta che inevitabilmente significa mettere via per sempre l’infanzia. Non sapremo quali strade ognuno di loro intraprenderà, né quali nuove dinamiche famigliari regoleranno la vita dei signori Stevens: abbiamo solo il tempo ancora di queste due settimane in settembre, il sale sulla pelle asciugata al sole, la musica della banda la sera sul lungomare.
Debora Lambruschini
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