di Giovanni Bottiroli
Feltrinelli, 2022
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Esiste uno stile Guermantes, perfettamente incarnato da Oriane ma anche dal suo amico Charles Swann, e il cui segreto sembra consistere nella leggerezza: d'altronde, l'eleganza non si esprime forse nell'assenza di peso, nella fluidità di chi non appartiene mai completamente al luogo e all'ambiente in cui si trova anche quando una costrizione effimera tende a trattenerlo? (p. 37)
L'eleganza, la fluidità dello stile - dove per fluidità si intende proprio un sistema di inferenza non rigido e non codificato in modo definito come nella logica delle parole - è la possibilità che la letteratura dà alla lingua per illuminarci, per sconfinare in un altro orizzonte. Una delle esperienze di "sconfinamento" più importante, e note anche a chi non è un fedele proustiano, è quella che consente ad alcuni eventi (come il sapore della madeleine o i ciottoli disuguali del battistero di San Marco) di risvegliare quanto l'oblio aveva sepolto nella nostra memoria.
Il loro effetto è immediato e travolgente: il narratore si sente sopraffatto. Ciò non implica però che egli si ritrovi chiuso nel presente, poiché sono proprio i confini del tempo-ora a venire spezzati. Il soggetto vive un'esperienza estatica (ek-stasis, essere fuori di sé). (p. 69).
Nel secondo capitolo, Bottiroli parla della narrazione dell'amore in Proust, un'esperienza indissolubilmente legata all'ignoto, ad una realtà misteriosa in cui si desidera penetrare. L'amore di Swann per Odette funziona da archetipo di tutti gli altri amori della Recherche, in primis quello di Marcel per Albertine. In realtà non è chiaro se Proust abbia mai parlato d'amore e non piuttosto di innamoramento; di quest'ultimo traccia una genealogia - o meglio un'anamnesi, dato che l'amore assume i caratteri della malattia - perfetta. All'ombra delle fanciulle in fiore è il momento aurorale del desiderio, quello in cui il soggetto ne viene investito e lo percepisce in modo ancora nebuloso e diffuso. Marcel ama tutte le fanciulle in fiore, come rappresentazione del desiderio, del mondo a cui lui non è ammesso. Poi, pian piano, da questo insieme indistinto spicca la figura di Albertine, che tuttavia appare sempre irriducibile ad una unità, infinita moltiplicazione e metamorfosi, poiché l'amore è «possibilità che si apre un varco attraverso l'impossibilità». (p. 147)
Se l'amore dischiude il soggetto verso una molteplicità di esseri, la decadenza del tempo è il processo che porta gli individui a perdere i loro tratti individuali e a trasformarsi in un tipo.
Dunque, la decadenza di un individuo non consiste in un'orientamento sessuale che la società può condannare ma, indipendentemente da tale orientamento, nella perdita di sé come singolarità. Charlus è la prima delle maschere che incontriamo nel Tempo ritrovato, e che vedremo riempire i saloni di palazzo Guemantes: a produrre quelle trasformazioni è l'invecchiamento. Qui, invece, l'effetto de-singolarizzante deriva da ciò che abbiamo chiamato, nel capitolo precedente, il regredire del desiderio alla pulsione: il primo reca l'impronta della singolarità, la seconda è una forza anonima. (p. 151)
La celebre scena della matinée Guermantes è raffigurata come un ballo in maschera in cui i partecipanti sono burattini che rendono visibile il tempo, lo indossano, per così dire. Ciò porta Bottiroli a leggere anche il percorso che va dal Tempo perduto al Tempo ritrovato come un percorso di ripensamento dell'identità; dialogando con Hegel e Lacan, il saggio porta anche la Recherche nell'alveo di un ripensamento del principio d'identità attraverso la temporalità e l'alterità. Per Marcel, l'identità è anche identificazione, cioè adeguamenti consapevoli o inconsapevoli a modelli.
Il cerchio si chiude, non solo nell'immane opera proustiana, ma anche nel saggio di Bottiroli, perché alla fine la spiegazione del significato ek-statico della coincidenza dei due istanti (passato obliato/presente) riporta alla logica non separativa da cui avevamo iniziato il nostro percorso nell'esegesi della Recherche. Una lettura segnata, come del resto l'intero percorso da studioso di Bottiroli, dall'intersecarsi di filosofia, psicoanalisi, semiologia. L'impressione, a volte, è che tanti schemi (come anche i grafici di fine saggio sul "cono di Bergson" e il "vortice di Proust") piuttosto che disvelare la potenza inesauribile della parola proustiana, la imbriglino e ne mutilino proprio la logica indivisa che pure è stata riconosciuta come fonte dell'arte di Marcel Proust.
Deborah Donato
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