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Non avendo neanche dato l'esame di storia dell'arte all'università (per seguire un piano di studi orientato più filosoficamente), l'unico ricordo che ho dell'insegnamento dell'arte erano certe tristissime ore al Liceo dove un'insegnante troppo giovane e inesperta ci diceva sempre di 'notare l'eleganza del panneggio'. (p. XIII)
Eppure, con o senza panneggio, per capire Eco è necessario partire dalla teoria della formatività del suo maestro Luigi Pareyson e all'interpretazione come momento centrale e fondativo dell'opera d'arte (a questa tematica è dedicato il saggio L'estetica della formatività, pp. 40-57). Eco rielaborerà questa la teoria della formatività nel concetto di opera aperta (nel testo pp.101-202), ossia la presa di coscienza che l'opera d'arte sia un messaggio fondamentalmente ambiguo, una pluralità di significati in un unico significante. La struttura aperta dell'opera d'arte - quella che in un altro saggio Eco definirà la struttura assente - interpella il fruitore. Dal Livre di Mallarmé alla Terza Sonata per pianoforte Pierre Boulez, da Finnegans Wake di Joyce alle opere in movimento
il modello di un'opera aperta non riproduce una presunta struttura oggettiva delle opere, ma la struttura di un rapporto fruitivo; una forma è descrivibile solo in quanto genera l'ordine delle proprie interpretazioni, ed è abbastanza chiaro come così facendo il nostro procedimento si discosti dall'apparente rigore oggettivistico di certo strutturalismo ortodosso, che presume di analizzare delle forme significanti astraendo dal gioco mutevole dei significati che la storia vi fa convergere. (p. 107)
L'attenzione di Eco verso le avanguardie e verso anche le nuove dinamiche della fruizione estetica vengono testimoniate da molti dei saggi qui raccolti: La musica contemporanea e i movimenti d'avanguardia del 1967, Dal cucchiaio alla città del1972, Prospettive di una semiotica delle arti visive del 1978, solo per citare alcuni dei saggi contenuti in questa vera e propria enciclopedia estetica di Umberto Eco. L'attenzione del professore per arti guardate con sospetto dall'accademia, è notoria; fu lui a "sdoganare" i Peanauts e Fantozzi, Superman e l'estetica del kitsch. Sebbene spesso gli sia stato rimproverato un approdo "conservatore" per le sue ultime critiche alle opinioni più disparate diffuse su internet e ad un abuso dei cellulari, personalmente ritengo profondamente lineari queste sue posizioni con quanto aveva già espresso nel suo testo miliare Apocalittici e integrati, ed è prezioso leggere una sua riflessione sull'uso spasmodico di fotografare l'istante, in un saggio del 2010 dall'irresistibile titolo Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato:
Quindi l'eccesso di possibilità fotografica può ledere la nostra memoria, perché la nostra memoria sopravvive quando, in termini fotografici, è grandangolare. Se invece andiamo in giro col telefonino per fotografare tutto quello che pare interessarci, diventa puntuale. Cioè del potenziale grandangolo che potevamo ricordare abbiamo ricordato solo quello che abbiamo scelto in quel momento e ci rimane solo quel documento lì. Anche questa riflessione mi pare profondissima ma non so a che risultati possa portare. (p. 665)
Attraversando questi sessant'anni di saggi, ciò che rimane è anche un gusto dolceamaro, perché ci si rende conto di quanto manchi al nostro presente la voce di Umberto Eco, la sua puntuale conversazione con l'opinione pubblica. Proprio a questo aspetto è dedicata la terza parte del testo, nominata Articoli, note, bustine, in cui convergono i suoi articoli su l'Espresso, la leggendaria rubrica La bustina di Minerva. È un modo anche di avere il polso dei differenti linguaggi di Umberto Eco e della sua capacità di parlare di arte per gli addetti ai lavori (artisti, epistemologi, teorici, semiologi) come nella prima e nella seconda parte dell'opera ma anche in modo più leggero - ma non per questo superficiale - e con un linguaggio giornalistico ad un pubblico più vasto di lettori. Solo una veloce lettura dell'indice e dei titoli di questi brevi interventi giornalistici illuminano di intelligente allegria l'animo dei lettori. Giochi di parole, boutade, provocazioni sempre eleganti. Eco era un maestro della comunicazione. Ad arricchire il libro, alla fine si trovano i ritratti di Tullio Pericoli e i commenti dello stesso su questi ritratti:
Eppure sono sempre e maledettamente io anche a quanto mi dicono gli altri. Cioè: cambio morfologia a seconda delle situazioni, ma la morfologia si flette a servizio della psicologia. Non solo, direi, della psicologia mia ma anche di quella dell'ambiente in cui in quell'attimo mi sto muovendo e dei miei interlocutori. (p, 985)
L'opera è corredata da un imponente apparato critico, che consente di avere una visione globale degli scritti sull'arte di Umberto Eco, un indice dei nomi, delle opere e dei concetti. La raccolta fatta da Vincenzo Trione mi sembra si incammini verso l'importante passaggio di uno studioso dal novero dei "contemporanei" a quello dei "classici" da studiare. Se è vero che lo stesso Eco nel suo testamento ha chiesto di non tenere convegni su di lui per almeno dieci anni dalla sua morte, questa sua richiesta si addice alla sua natura di teorico dell'arte e studioso di filosofia, che ben conosce l'importanza della distanza temporale per giudicare e leggere con occhi vergini qualsiasi opera e qualsiasi figura. A sei anni dalla sua scomparsa, questo testo edito da La nave di Teseo inizia appunto a delineare il profilo di Umberto Eco attraverso quella distanza temporale e ci consente di valutarne in pieno la sua portata.
Deborah Donato
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