«Sono lieto di continuare a leggere. La lettura e i libri sono l’unica cosa illimitata del mondo – molto più degli alberi, e di quella parte del mar Tirreno che lambisce dolcemente la mia casa». (p. 230)
Cosa unisce Mozart a Leopardi e a Michelangelo, Manganelli a Cioran? Pietro Citati; scrittore, saggista, critico e letterato, autore d’innumerevoli biografie, da quella su “Goethe” che gli valse il Premio Viareggio all’iconica biografia su Tolstoj con la quale si aggiudicò nel 1984 il Premio Strega. Adelphi pubblica, a pochi mesi dalla sua scomparsa, “La ragazza dagli occhi d’oro” (il cui titolo rappresenta un omaggio al celebre racconto di Balzac): una miscellanea di scritti di Citati, un percorso attraverso l’arte, la musica, la letteratura, la teologia filtrato attraverso lo sguardo raffinato di Citati.
Citati, i cui saggi si leggono con grande piacere tanto da risultare accattivanti e fascinosi proprio come dei romanzi, ha sempre avuto il grande pregio di unire una scrittura raffinata a una chiarezza di contenuti, Appassiona, affabula, ammalia il lettore, contagiandolo e trasmettendogli il desiderio di leggere a sua volta gli autori che gli erano cari. «Per capire un testo bisogna diventare quel testo» sosteneva.
Ne La ragazza dagli occhi d’oro Citati ci consegna dei ritratti che hanno l’eleganza dell’epigramma, la preziosità di un cammeo. Lo sguardo attento a cogliere il particolare del miniaturista si alterna in lui allo sguardo visionario dell’artista vero e proprio. Citati, attraverso una reserche che nella sua vastità e nelle sue domande ha una dimensione metafisica, va alla ricerca delle analogie, delle assonanze, delle misteriose corrispondenze tra autori e artisti lontani nel tempo e nello spazio. La dicotomia bene/male, luce/ombra, felicità/infelicità ha sempre affascinato Citati e rappresenta una delle tante chiavi di lettura di quest’opera.
«Leopardi rinunciò ad ogni tentativo di guarire l’uomo dal suo peccato originale: l’insaziabile ricerca di felicità e di piacere. Continuò a inseguire la felicità egli stesso, sebbene sapesse che era un’impresa disperata. La ricercò sempre, come poteva: sia a Pisa, nella tenue aria di primavera che affiorava tra le luci autunnali del Lung’Arno: sia a Firenze, tra i fiori e le vesti viola di Aspasia: sia tra i gelati e le pasticcerie e i panorami di Napoli; sia nelle “odorate ginestre” sugli aridi deserti del Vesuvio, o nei raggi lunari che inargentavano la campagna». (p. 43)
Citati, con una prosa squisitamente letteraria, intaglia un ritratto dolente e vibrante del poeta di Recanati, seminando nella mente del lettore domande e impressioni che riprenderà, in un dialogo intessuto di assonanze metafisiche, un centinaio di pagine dopo quando servirà al lettore il ritratto di uno dei più bizzarri e stravaganti personaggi della letteratura russa, l’Oblomov di Goncarov.
«Siamo nell’Eden, ma in un Eden di dolcissima pigrizia. Vivere non è agire, lavorare, pensare, muoversi; ma stare seduto accanto a un fiume tranquillo, osservando le acque che scorrono. Oblomov senza darle un volto o un nome, crede nella felicità; si abbandona alle speranze della vita: al sogno luminoso, vivo, poetico. Fantastica: gli piace immaginare di essere un condottiero invincibile, o un grande viaggiatore». (p. 219)
La ricerca della felicità, la definizione di felicità e il modo in cui è stata interpretata, vagheggiata, sognata è una delle molteplici chiavi di lettura con cui accostarsi al saggio di Citati. Un’altra lente con cui filtra e approfondisce la vita interiore dei pittori, dei poeti e degli scrittori da lui indagati è il concetto di male. Se per il pittore fiammingo Bosch, il cui Trittico delle Delizie suscita al contempo negli osservatori repulsione e attrazione, il male ha «una terribile compiacenza, tenta, seduce, corrompe, e il bene si lascia travolgere, contagiare dal male», il truce, beffardo ma non per questo meno fascinoso Heathcliff di Emily Brontë incarna un altro aspetto del male, mentre Dickens amava i buoni, «a patto che fossero ridicoli,» popolando i suoi romanzi di vecchi putti, folletti giocherelloni, divini idioti.
Ne La ragazza dagli occhi d’oro Citati ripercorre anche la sua amicizia con Manganelli e con il filosofo rumeno Emil Cioran, la ritrattistica si alterna a una narrazione diaristica e a riflessioni di carattere personale sul ruolo e sul perché della letteratura, sul valore della lettura che è per Citati un anelito verso l’infinito.
«Se penso alla mia vita e ai miei quasi novant’anni, non posso che esaltare la lettura. Credo di avere trascorso tutta la mia esistenza seduto su una poltrona, che non ho mai abbandonato. (…) Non ho mai smesso di leggere, leggere, leggere; ogni libro che leggevo era una forma dell’infinito, che inseguivo, e inseguivo, e fallivo continuamente nell’inseguire». (pp. 229-230)
È un’opera che consiglio a tutti gli amanti della letteratura, un libro che grazie alla sua frammentarietà può essere letto senza seguire necessariamente un ordine cronologico; un libro da continuare a sfogliare nel corso degli anni come se fosse una piccola enciclopedia; soltanto il tempo ne svelerà le sue tante chiavi e ad ogni rilettura il lettore potrà assaporarne e coglierne un nuovo frammento, un nuovo prezioso tassello attraverso un dialogo vivace e ininterrotto con i grandi del passato che Citati rende vivi.
Guendalina Middei