Notturno cileno
di Roberto Bolaño
Adelphi, novembre 2022
Adelphi, novembre 2022
pp. 123
€ 12 (cartaceo)
€ 12 (cartaceo)
L'ultima edizione di "Nocturno de Chile", sempre tradotta dalla mitica Ilide Carmignani, famosissima traduttrice di Bolaño e Sepúlveda, è datata 2016 e pubblicata sempre da Adelphi, casa editrice che possiede ben sedici titoli dello scrittore cileno. Essendo io quasi ossessionata per la sua scrittura, reduce da letture ripetute di "Puttane assassine" e "I detective selvaggi", non potevo non recuperare anche questo meraviglioso lungo racconto.
Si tratta del penultimo titolo pubblicato dall'autore ancora in vita (l'ultimo è "Anversa", pubblicato nel 2002 in lingua originale col titolo "Amberes", poi in italiano nel 2007) e ha una struttura senza struttura, non ci sono capitoli né capoversi né suddivisioni, è un lungo flusso in prima persona narrato dal protagonista, Sebastian Urrutia Lacroix, un prelato dell'Opus Dei, alle prese con i rimorsi di coscienza prima della morte e con le accuse di un certo "giovane invecchiato", che altri non è che il se stesso giovane dal quale riceve rimproveri per le scelte compiute e i comportamenti tenuti in vita. Una sorta di specchio quindi allucinato, giudicante ma silenzioso.
Si tratta del penultimo titolo pubblicato dall'autore ancora in vita (l'ultimo è "Anversa", pubblicato nel 2002 in lingua originale col titolo "Amberes", poi in italiano nel 2007) e ha una struttura senza struttura, non ci sono capitoli né capoversi né suddivisioni, è un lungo flusso in prima persona narrato dal protagonista, Sebastian Urrutia Lacroix, un prelato dell'Opus Dei, alle prese con i rimorsi di coscienza prima della morte e con le accuse di un certo "giovane invecchiato", che altri non è che il se stesso giovane dal quale riceve rimproveri per le scelte compiute e i comportamenti tenuti in vita. Una sorta di specchio quindi allucinato, giudicante ma silenzioso.
Ma non ho ancora la forza di ricordare e di rispondere alle offese di quel giovane invecchiato che all'improvviso si è presentato alla porta di casa mia e senza la minima provocazione e del tutto inopinatamente mi ha coperto di insulti. (p. 12)
Sebastian è un prete sì, ma "colto", per di più inviato in missione in Europa per valutare lo stato delle innumerevoli case di Dio e annotare tutte gli espedienti e le astuzie che i preti del Vecchio Continente impiegano per tenerle in ordine (cosa che in Cile sembra non importare a nessuno, e qui già abbiamo una sottile polemica dell'autore contro l'impassibilità delle gerarchie ecclesiastiche nei confronti del regime). Nel suo racconto autobiografico, frammentato e dimenticato, ci illustra tutti gli uomini importanti che ha conosciuto, come Neruda, Jünger e Farewell, cercando di convincerci e di convincersi di essere stato un uomo tutto sommato pio, e invece sottotraccia capiamo quanto abbia incarnato quel classico atteggiamento alla "Ponzio Pilato".
Ci parla di moralità, di poesia, di rapporti ambigui (quello tra lui e Farewell, ad esempio), di politica, addirittura di Pinochet, ammettendo di aver dato lezioni di marxismo a lui e ai membri della sua giunta, e di ricordi, descritti per metafore, per ripetizioni continue, senza dialoghi diretti, senza spazi per respirare.
Ci parla di moralità, di poesia, di rapporti ambigui (quello tra lui e Farewell, ad esempio), di politica, addirittura di Pinochet, ammettendo di aver dato lezioni di marxismo a lui e ai membri della sua giunta, e di ricordi, descritti per metafore, per ripetizioni continue, senza dialoghi diretti, senza spazi per respirare.
Bolaño sceglie volontariamente un personaggio di questo tipo, un prete, per di più invischiato in brutte faccende, come denuncia nei confronti di quelle cariche, ma anche dei singoli, che invece di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, e "persino dei propri silenzi", preferiscono voltare il viso e convincersi di essere nel giusto, perché non accusabili di aver agito. Ma anche il non agire è una colpa, e il nostro protagonista è proprio uno di questi inetti.[...] e se ne andò con la contessa o duchessa o principessa italiana attraversando di nuovo saloni collegati come la rosa mistica che apre i suoi petali verso una rosa mistica che apre i suoi petali verso un'altra rosa mistica e così via fino alla fine dei tempi [...] (p. 34)
In questo canto del cigno l'autore però non giudica, non critica, ma espone i fatti, sottolineando la reale necessità di possedere una coscienza civica, e lasciandoci nel nebuloso spazio del libero arbitrio.
La lettura è vorticosa: le pagine si susseguono senza pietà, proprio come se fosse il lungo racconto di un uomo morente che ha bisogno di buttare tutto fuori prima di crepare, di liberarsi e redimersi, e lo fa con velocità, con passione, ma senza empatia. Non è facile da seguire: più di cento pagine di soliloquio, per di più bolaniane, immerse in sovrapposizioni, metafore incredibili e geniali, in fantasmi, vagamente surreali, tanto che a un certo punto non è più chiaro cosa sia vero e cosa no.
Un testo bellissimo e responsabile, che, sono sicura, potrà essere apprezzato anche da chi non ha familiarità con l'autore cileno.
Deborah D'Addetta