di Andrea Pagani
Ronzani editore, maggio 2022
pp. 205
€ 15,00 (cartaceo)
€ 4,00 (ebook)
«Questa sera vorrei presentarvi molte personalità, Monsieur Proust. Abbiamo l'onore di avere, oltre a voi, altri uomini di genio. Ma, in particolare, terrei a farvi conoscere uno scrittore irlandese, un uomo che con la sua opera sta facendo parlare di sé tutta Europa».Oh mon Dieu! Non starà parlando, per caso, di quel tipo stralunato, ubriaco fradicio, seduto da solo, là in disparte, che beve champagne? (p. 90)
Il 18 maggio del 1922, in occasione della prima dello spettacolo Renard di Stravinskij, i coniugi Schiff, mecenati e artisti, organizzarono una soirée come poche se n'erano viste prima. All'hotel Majestic di Parigi radunarono alcune delle figure più importanti del panorama artistico dell'epoca. Picasso, Stravinskij, Bell, appartenenti al Bloomsbury Group... ma gli ospiti più importanti e quelli di cui si aspettava con maggior ansia l'incontro erano Marcel Proust e James Joyce, i due giganti della letteratura. Le aspettative per il loro incontro erano altissime, ma, in retrospettiva, i due scrittori ebbero poco da dirsi e non diedero origine a nessun momento storico o sinergie particolari. Andrea Pagani, nel suo romanzo Il giardino d'acqua, segue la serata quasi minuto per minuto offrendo una carrellata di personaggi e uno scorcio della temperie culturale dell'epoca e che un'attesa spasmodica per un incontro che, alla fine, si ridusse in un nulla di fatto.
Fu allora che Marcel Proust, accavallando le gambe e grattandosi un sopracciglio esordì, in tono quasi allegro:«Vedete, Monsieur Joyce, in un passaggio del mio libro Du côté de chez Swann, che certamente avete letto...».«Per la verità, no, Monsieur» interruppe James Joyce, facendo un piccolo balzo sulla sedia. «Non ho letto il vostro libro». (pp. 118-119)
Ci sono occasioni in cui un evento minimo e all'apparenza banale è destinato a segnare la storia; altre volte, gli eventi più preparati e che sembrano destinati a cambiare il corso degli eventi si risolvono in un nulla di fatto. Di sicuro, la delusione dei coniugi Schiff che tanto avevano investito nell'organizzazione della serata fu alta.
Andrea Pagani, già autore del saggio su Joyce Il cammino di Bloom, intride le pagine del resoconto della serata di una certa malinconia per ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Perché, oltre all'incontro tra i due scrittori, le occasioni di proficuo scambio non sarebbero mancate.
Marcel Proust avvicinò Igor Stravinskij per chiedergli consiglio sulla musica di Beethoven, ma venne seccamente liquidato perché, per il compositore russo, i quartetti per archi erano solo un monstrum polifonico. Pablo Picasso avvicinò Proust nella speranza di convincerlo a posare per lui, ma lo scrittore inorridì all'idea.
E dovrei farmi dipingere da costui? Posare per lui? Come deformerà il mio volto? Un cubo spigoloso e storto? Neanche per sogno. L'arte è un'altra cosa. Non è fissità, immobilismo, congelata ruvidità del disegno. (p. 33)
L'incontro tra i due scrittori, costellato di queste prime, piccole incomunicabilità, rappresenta l'apoteosi della serata. Entrambi in ritardo, forti della loro fama, non trovarono terreno comune d'incontro. Privi di umiltà non si documentarono l'uno sull'opera dell'altro. Joyce trovava lo stile di Proust "elefantiaco", Proust trovava Joyce inadatto all'ambiente e troppo dedito allo champagne e voleva solo tornare nella sua stanza rivestita di sughero dalla fidata domestica Céleste per trovare sollievo dall'asma che lo affliggeva.
La concentrazione di genio e ispirazione presente quella sera avrebbe potuto, chissà, generare idee strabilianti, ma si risolse in un nulla di fatto, quasi come se le menti eccelse, come cime di alte montagne, non possano trovare il modo di comunicare tra loro.
Ma se l'incontro è il nodo di tutto il romanzo, quasi fosse il punto di fuga della prospettiva di un quadro, il contorno è vivace e permette di scoprire nomi che non hanno resistito tanto quando Picasso, Proust, Joyce e Stravinskij , alla prova del tempo. L'autore dedica infatti l'ultima parte del testo a una serie di ritratti, brevi biografie degli artisti presenti quella sera o che, anche se assenti, hanno direzionato e influenzato la conversazione. Da figure celebri quali Virginia Woolf, Alfred Dryfus il cui caso ancora divideva l'opinione, fino ai meno noti. Scopriamo così l'eccezionale figura della pianista Marcelle Meyer, la talentuosa coreografa Bronislava Nijinska che ha combattuto contro l'ombra del fratello per tutta la sua carriera, e la danzatrice Olga Khokhlova per la quale il matrimonio con Picasso fu l'inizio di una decadenza fisica e professionale senza ritorno.
«È molto tardi. Il mio autista sarà lieto di accompagnarvi a casa, Monsieur» mormorò dolcemente Marcel Proust, rivolgendosi a James Joyce, mentre scendeva dalla vettura con gesti cauti e morbidi, e con un languore aggraziato che sembrava partecipare della sfumata ora della notte, digradante verso l'alba.Così, mentre i coniugi Schiff e lo scrittore francese scesero dal taxi, James Joyce, con quella sua espressione da eterno fanciullo, quasi ingenuo, dove s'intrecciavano un rigoglioso entusiasmo con lampi d'acute intuizioni e struggenti abbandoni di malinconia, restò seduto nella vettura, accennando a un triste saluto, e lasciando che l'autista di Marcel Proust lo accompagnasse a casa. (p. 127)
Marcel Proust morì pochi mesi dopo quell'incontro, il 18 novembre 1922, e non ebbe più occasione di incontrare James Joyce che avrebbe iniziato, l'anno successivo, la stesura del Finnegans Wake. Resterà per sempre la malinconica curiosità che aprirebbe lo spazio a una succosa ucronia letteraria: cosa sarebbe successo se i due scrittori si fossero piaciuti?
Giulia Pretta