Oliena. Ritratto di
una comunità nelle fotografie di Marianne Sin- Pfältzer
A cura di Giacomo Daniele Fragapane e Salvatore
Novellu
Ilisso, 2022
Testi in lingua
italiana e inglese.
pp. 163
€ 49,00 (cartaceo)
Conosce la Sardegna nel 1950, quando vi arriva
con un incarico di governante. Nonostante non abbia ancora studiato fotografia
in modo sistematico, pur avendone assorbito i rudimenti dalla madre, che ha un
piccolo atelier dedicato alla ritrattistica, Marianne rimane molto suggestionata dai paesaggi e dalle persone,
realizzando i suoi primi scatti sull’isola.
Nel profilo biografico realizzato per il volume
Ilisso, Salvatore Novellu osserva come, dopo tanto viaggiare, l’artista abbia
trovato “la sua Itaca proprio in
Sardegna, luogo primigenio che nell’inverno della vita sceglierà per risiedervi
stabilmente” (p. 20). A differenza di Ulisse, però, le andate e i ritorni di Marianne sono frequenti, paralleli a un più
ampio girovagare, mosso da quella curiosità per il mondo e i suoi abitanti che
la caratterizza. Si nota anzi che, nonostante il progetto fotografico su cui si
focalizza l’opera edita da Ilisso sia incentrato su Oliena, peraltro prima tappa del suo primo ritorno del 1955 e luogo
di grande attaccamento per l’artista, in realtà anche la sua storia sarda sia improntata
al movimento: dal primo tour itinerante, accompagnata dall’editore
Fossataro, alla scelta di scattare fin da subito sia in bianco e nero che a
colori, tutto rivela l’opera tranne che un senso di staticità.
Come per l’Ulisse dantesco, del resto, il viaggio è per Marianne strumento di conoscenza, modo per
penetrare nel tessuto complesso delle tradizioni isolane. Lo fa grazie alle
fotografie, che diventano una forma di
linguaggio e consentono una comunicazione non verbale, ma ben più
immediata, con la gente del luogo, che la accoglie, spesso la ospita, si presta
ai suoi scatti. Le fotografie diventano anche il modo per marcare il passaggio del tempo, un cambiamento in atto di cui la Sardegna stessa sembra essere
consapevole.
Nella sua rivalutazione dell’opera di Sin-Pfältzer,
Giacomo Daniele Fragapane nota che la cifra
di “inattualità” delle immagini,
rivista nell’ottica della contemporaneità che tutto travolge, si fa elemento
positivo: “il fatto che le sue immagini,
anche per come sono costruite, sembrino provenire da un tempo perduto, oggi è
più una qualità che un limite” (p. 9). L’introduzione al volume,
estremamente tecnica, indaga il rapporto
tra moderno e antico nella fotografia, non solo nel ciclo di Oliena,
mettendone in rilievo la dimensione dialettica, di continua implicazione e
interconnessione reciproca.
La visione che l’artista dà dell’isola è quella
di un luogo strappato al flusso
divorante del mondo delle tecnologie, dell’immagine, della fretta, della
reificazione. Un luogo che mantiene una sua dimensione mitica, e come tale immediata, nel senso letterale di
non mediata, nonostante l’inevitabile filtro rappresentato dall’obiettivo e
dallo sguardo della fotografa. La Sardegna di Sin-Pfältzer è fitta di echi letterari, radicati nel profondo
del tessuto culturale, sociale, e naturale dell’isola, alla cui corruzione
hanno in parte contribuito. Per lo stesso motivo, spiega Fragapane, Marianne
sceglie di eludere la storia mineraria pur viva e presente, il tentativo –
politicizzato e presto naufragato – di un’industrializzazione forzata che
rimane ferita aperta e contraddittoria.
Se, come diceva anche Meneghello, le parole sono funzionali alla conservazione della memoria
delle cose perdute, nell’opera di
Sin-Pfältzer anche la fotografia riveste la stessa funzione. Al tempo stesso,
rispetto ad altri fotografi che hanno tentato un’opera analoga, Sin-Pfältzer
non vuole lavorare sul consolidamento di stereotipi, ma cerca un incontro diretto, aperto con i suoi
soggetti, ottenuto attraverso una “prossimità”
di lunga data e una “fiducia” (p. 14)
conquistata sul campo:
Non vi è distinzione, ad esempio, tra lavoro professionale, ricerca personale, esperienza relazionale. Le immagini transitano fra i diversi piani e spesso è proprio questo transitare a far scaturire nuove occasioni e nuovi incontri. Non si avverte mai la volontà di giudicare o ricondurre il mondo osservato a una tesi: le immagini appaiono come il residuo di un’esperienza vissuta, la loro interrogazione non è mai fine a se stessa. (p. 15)
Il critico mette anche in evidenza alcuni elementi ricorrenti, che dipendono
dallo strumento utilizzato per gli scatti, ma che diventano anche cifra espressiva, precisa volontà
stilistica: il formato quadrato, una prospettiva spesso dal basso,
l’attenzione diversa riservata ad anziani, donne e bambini, spesso implicati
direttamente, in uno sguardo scambiato direttamente con la fotocamera.
Sfogliando la sezione del volume dedicata agli
scatti, corredata da un dettagliato apparato didascalico curato ancora una
volta da Novellu, si nota proprio la ricerca
di tagli che rifuggano dalla mera descrizione e si mantengano però profondamente naturali.
Il formato
quadrato di cui sopra, riesumato anche di recente da alcuni social come
strumento di cattura dell’istante
elevato ad arte, racconta in verità nelle foto di Sin-Pfältzer una storia di lungo corso: una storia
di luoghi e di individui, quindi la storia di una comunità. L’armonia
e la simpatia che l’artista dichiara
di aver trovato in Sardegna, a tal punto da iniziare a considerarla casa,
vengono restituite in forma potenziata dalle immagini in una doppia prospettiva:
sia quella dei soggetti, che accolgono uno sguardo esterno sul proprio vivere,
sia quella della fotografia, che diventa omaggio,
dono, forma estrema di riconoscimento.
E se le immagini in bianco e nero maggiormente
valorizzano lo sguardo dell’artista, riportando a quella dimensione mitica e
quindi universale cui già si faceva cenno, l’accostamento con quelle a colori
ci riporta al fluire delle stagioni, alla concretezza di una società comunque
calata in un momento preciso del tempo, della storia, e destinata a evolversi,
con tutto ciò che di arricchimento e di
perdita inevitabilmente ne deriva. Del resto la serena meticolosità, la
fermezza e la compostezza con cui i soggetti ritratti continuano a compiere le
azioni a cui sono chiamati, foss’anche semplicemente l’indugiare un momento
davanti all’obiettivo, rivelano la dignità di chi, con questo tempo che scorre,
con questo cambiamento, non ha paura di fare i conti.
Carolina Pernigo
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