La mia morte
gloriosa col botto
di Jenny
Jägerfeld
Iperborea, 2021
Traduzione di Laura Cangemi
pp. 350
€ 16,50 (cartaceo)
Non ho tema di affermare, e
con sicurezza, che La mia vita dorata da
re (recensito qui) è stata una delle letture che ho più apprezzato nel
2021, e non limitatamente al novero della letteratura per ragazzi. Ho amato la
capacità di Jenny Jägerfeld di toccare
temi forti con levità, in un romanzo che si mantiene positivo, e strappa qualche schietta
risata, mentre parla degli effetti del bullismo in un’ottica di
ricostruzione e speranza. Ecco perché aspettavo con entusiasmo La mia morte gloriosa col botto, secondo
volume di quella che sarà una trilogia
dedicata a Sigge e alla sua strampalata famiglia.
Come in quel caso, anche qui
la narrazione è scandita da un conto
alla rovescia: quello che dei giorni che separano i protagonisti da una
recita di Natale, da tutti attesa, ma con sentimenti contrastanti. Majken,
sempre spassosissima, determinata e grande urlatrice, è trepidante, perché è
riuscita a convincere il maestro e farle fare la parte di Gesù nella
rappresentazione della Natività: poco propensa ad accettare un ruolo
silenzioso, la bambina si crea un copione tutto suo, che riscrive la storia
sacra in maniera del tutto personale (dai “due fidanzati” di Maria alla
presenza nella trinità, dopo il Padre e il Figlio, dello Spirontosauro). Sigge,
invece, è sempre più spaventato man mano che la data si fa più prossima: da quando
i due gemelli Sixten e Karl-Johan, tra i più popolari della classe, lo hanno
fatto entrare nella loro crew di
hip-hop, la sua vita è stata un vortice di emozioni nuove.
Da un lato infatti la prospettiva di una inedita popolarità
lo lusinga, dall’altro però sono emersi problemi
imprevisti, come la difficoltà a dividere equamente il tempo tra i due
amici e Juno, che frattanto lo vuole coinvolgere nella realizzazione di una app
per animali (e cuori) solitari, o il piccolo, insignificante dettaglio che lui
non indossa i vestiti giusti, non possiede uno skateboard e, soprattutto, non
sa rappare e soffre di ansia da palcoscenico.
Se
si conta poi che, dopo aver tanto insistito per partecipare allo spettacolo
natalizio, i gemelli hanno rivelato di non aver pronta neanche una canzone, si
capisce come sul palcoscenico, alla nascita divina di Gesù, si potrebbe molto
facilmente accostare “la morte gloriosa col botto” del povero Sigge:
“Questi pezzi che avete…” dissi lentamente. “Insomma… a che punto sono? Avete scritto dei testi? […] Li avete nel computer o scritti da qualche parte? Dove li tenete?” […]Mi sorrisero con aria furba. Poi Karl-Johan si batté l’indice sulla tempia e disse:“In testa!”“Il cervello è il posto più sicuro”, aggiunse Sixten.“Quindi non avete scritto niente?”“Neanche una riga” (p. 91)
Collocato idealmente pochi mesi dopo la conclusione del volume precedente, il
nuovo romanzo ci mostra il protagonista inserito in un contesto decisamente
migliore rispetto a quello in cui si trovava quando viveva a Stoccolma, ma
sempre impegnato a cercare di fare i
conti con se stesso. Accettarsi per quello che si è è un processo lungo,
fatto di continui aggiustamenti, e in questo caso si scontra con il desiderio, fortissimo in Sigge, di non
deludere gli altri, in particolare i nuovi amici, anche se questo a volte
rischia di fargli tradire i suoi
desideri, di indurlo a comportarsi in un modo che non lo rappresenta.
L’autrice rivela ancora una
volta la sua delicatezza nell’esplorare
tutte le sfumature interiori di questa lacerazione, mostrando anche i
tentativi del ragazzo di rimetterne insieme i lembi, di trovare un equilibrio
che soddisfi tutti, ma senza dimenticare se stesso.
Non si sa se ad alleggerire
o a complicare le cose pensano i famigliari, pittoreschi e unici, protagonisti
di scene imbarazzanti, ma anche fondamentali pilastri affettivi. È a loro che
si legano i momenti più esilaranti del romanzo: a Krille Meringa e alle sue
difficoltà a immedesimarsi nei suoi ruoli attoriali, a Charlotte (solo
circonstanzialmente “nonna”) con i suoi slanci educativi anticonvenzionali,
alla piccola Bobo con l’orrendo pinguino impagliato Pingopongo, infine a Majken
con le sue idee creative e potenzialmente catastrofiche (basti solo dire che
una implica cento palloncini gonfiati ad elio e due malcapitati porcellini
d’India).
Mentre si destreggia tra un
guaio e l’altro, Sigge impara a conoscersi
meglio e a farsi delle domande
più precise su ciò che vuole e ciò che prova (ed è assolutamente bella la
naturalezza con cui arriva, al momento giusto, a darsi delle risposte).
La
mia morte gloriosa col botto non
richiede necessariamente una lettura del precedente volume per poter essere
apprezzato, ma viene sicuramente valorizzato se si rispetta la sequenza
immaginata dall’autrice. Forse più che nel precedente si avverte la distanza tra la società nord europea
rappresentata e quella italiana, ma i sentimenti
di Sigge sono tanto universali da
innescare una immediata scintilla di riconoscimento (non solo nel lettore
dodicenne, suo coetaneo). Allo stesso modo in cui, dopo aver letto Una vita dorata da re, non si poteva far
altro che restare in uno stato di sospensione in attesa del secondo episodio,
così anche in questo caso ci si congeda dalla lettura nutrendo la viva speranza
che Jenny Jägerfeld si muova a scrivere il terzo (e Iperborea,
conseguentemente, a tradurlo).
Carolina Pernigo