di Miyazawa Kenji
Marsilio, 2022
pp. 253
€ 16 (cartaceo)
Una dimensione onirica, quasi sospesa, e arricchita da una prosa delicata e densa di significati simbolici, accompagna questi racconti dello scrittore giapponese. Oltre a quello che dà il nome alla raccolta, nel volume sono contenuti i racconti che illustrano i temi della poetica di Miyazawa: l'amore per la natura, il rapporto con il divino, la rielaborazione delle suggestioni buddhiste. Si tratta di nove scritti, in cui è evidente l’ispirazione legata alle favole per bambini, i cosiddetti dōwa, di cui lo scrittore fu prolifico creatore.
La figura di Miyazawa Kenji è molto interessante. Si occupò di scienze e di musica, fu agronomo e pittore, oltre che fervente buddista. Cercò di coniugare alla scienza la filosofia e la religione, suscitando grande incomprensione tra i suoi contemporanei. Fu ispirato, a tal proposito, dal Sutra del Loto, uno dei testi più importanti della letteratura del Buddhismo Mahāyāna, che però lo fece entrare direttamente in conflitto col padre, che seguiva un’altra dottrina. A questo episodio sarebbero legati le vicende di Homoi, il coniglio protagonista del racconto Il fuoco della conchiglia, che quindi assumerebbe anche una vena autobiografica. Il coniglio che non esita a salvare un piccolo di allodola riceve in dono la pietra che contiene il fuoco della conchiglia e nel finale, dopo aver frainteso il potere di tale dono, anche per i consigli sbagliati dei genitori, resterà cieco.
Gli occhi di Homoi erano diventati bianchi e torbidi quanto il fuoco della conchiglia, e non riuscivano più a distinguere nulla. (p. 144)
A partire dalla metà degli anni Venti si dedicò strenuamente anche a migliorare le condizioni di vita dei contadini della natia prefettura di Iwate. Lasciò quindi l'insegnamento per fondare l'associazione Rasu chijin kyōkai, con sede in una casa di campagna della famiglia, dove prese ad insegnare agronomia, lettere e musica ai figli dei contadini, coinvolgendoli anche in numerose attività culturali e naturalistiche. Tra i racconti presenti nel libro, ’Matasaburō del vento' del 1924, è uno dei più noti e narra le vicende di un ragazzino, Takada Saburó, che arriva nella sua nuova scuola e che viene subito associato ad una divinità, per i suoi capelli rossi e per la strana coincidenza che lo porta ad essere sempre accompagnato dal vento. La sua scomparsa improvvisa, per una partenza della sua famigli ammaltò repentina, convincerà i suoi compagni di classe di aver avuto ragione sul suo conto.
Accadde tutto proprio come negli antichi racconti. Davanti agli occhi di Kasuke, Matasaburō guardava il cielo in silenzio, le gambe distese. Sopra alla sua solita giacca grigio topo aveva indossato chissà quando un mantello di vetro. (p. 97)
In diversi racconti, come ad esempio La notte del querceto, pone l’accento sul rapporto uomo e natura (tema trattato anche in La foresta dei lupi e la foresta dei colini di bambù, la foresta dei ladri).
La tematica ambientale, il rispetto per la vita e la morte, il linguaggio assolutamente innovativo e ricco di sperimentazioni, pongono questo straordinario scrittore tra le figure più strabilianti del panorama mondiale.
Samantha Viva