66thand2nd, 2022
pp. 181
€ 15,20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
"Cos’è la speranza se non una fiammella. Ci metti una cosetta e poi un’altra ancora. È così che viviamo".
Una barchetta da pesca alla deriva nell’immensità dell’oceano, un puntino pressoché invisibile. Uno spazio sterminato eppure una situazione claustrofobica per i due protagonisti di Oltremare, il quarto romanzo di Paul Lynch, con il quale l’autore cambia radicalmente setting, lasciando l’Irlanda fredda e brumosa per l’assolato, torrido e impietoso Pacifico.
Bolivar è un pescatore dalla lunga esperienza e dalla grande abilità, che decide di salpare con la sua minuscola barca nonostante il bollettino marittimo preveda tempesta: deve assolutamente guadagnare il necessario per saldare un debito con la persona sbagliata, che lo sta cercando per riscuotere in un modo preferibilmente evitabile. Bolivar conosce le aree più pescose e non ha paura di spingersi “ai limiti del mondo” per poi rientrare con la barca a pieno carico. Il problema è l’assenza del suo compagno di pesca, Angel, che nessuno sa dove sia finito dopo aver passato una serata insieme a Bolivar della quale lo stesso pescatore non ha che un ricordo confuso e avviluppato da una spessa e impenetrabile nebbia alcolica. Al posto di Angel gli viene quindi affidato Hector, un ragazzotto senza esperienza che accompagna controvoglia l’anziano pescatore sperando di tornare in tempo per giocare una partita di calcio e per uscire con la fidanzata.
La tempesta e la conseguente deriva della barca, senza più motore né GPS, avranno un effetto distruttivo sulla psiche e sul corpo del ragazzo, le cui fragilità emergono immediatamente, mentre Bolivar appare più coriaceo e reattivo, grazie soprattutto all’esperienza. Le vite di questi due individui diversissimi e incompatibili si uniscono nella lotta per sopravvivere in quel mare che è un triste supermercato di rifiuti, grazie ai quali Bolivar riesce a costruirsi qualche rudimentale attrezzo da pesca riciclando gli oggetti più disparati.
L’epilogo della storia non è proprio quello che è umano augurarsi, pur concedendo una tenue luce di speranza. L’oceano non fa sconti e non prova pietà, e il realismo cui Lynch ci ha abituati emerge inesorabilmente dalle pagine di questo libro. Lynch è davvero abile nel giustapporre i due protagonisti e, seguendo due percorsi paralleli, a svilupparne i comportamenti, le riflessioni e i processi mentali agiti: differenti, talvolta opposti, sicuramente diretti verso due destini che ne costituiranno somma e conseguenza.
Ancora una volta, Lynch esprime questa grande capacità di raccontare in modo diretto e brutale, mutando improvvisamente il ritmo narrativo a seconda della necessità descrittiva e restituendo perfettamente clima e sensazioni, il tempo infinito e indefinito in mezzo al nulla, il senso di completa impotenza contro la natura. Come nei lavori precedenti, Lynch narra di vite difficili e di destini ingrati, elementi che però non sempre hanno il sopravvento su chi lotta disperatamente per sopravvivere. Bolivar è uno di questi, che non accetta l’idea di soccombere e si batte anche per quel compagno di sventura non in grado di reagire agli eventi, in un inutile e a tratti maldestro tentativo di cambiare la situazione reale. Diversamente da quanto accade a Hector, la disavventura ha un effetto particolare su Bolivar, che forse per la prima volta si trova a riflettere su se stesso, sui tanti errori fatti e sul modo di ricominciare a vivere, nel caso riesca a rivedere la terraferma.
Oltremare è un romanzo lirico e profondo, dal procedere simile a quello dell’oceano, piatto ma pronto a diventare una tempesta adrenalinica. Lynch ripropone felicemente lo stile narrativo che i lettori di Critica conoscono attraverso i precedenti Cielo rosso al mattino (qui la recensione) e Neve nera (qui). In realtà ne manca uno, Grace, del 2020, altrettanto notevole e degno di recensione sul sito. Si provvederà in merito.
Stefano Crivelli