Respira
di Joyce Carol Oates
La Nave di Teseo, ottobre 2022
Traduzione di Carlo Prosperi
pp. 432
Un incipit ci conduce, anzi ci fa precipitare disperatamente, dentro la vita di Michaela e Gerald, che sono appena arrivati in New Mexico da Cambridge (Massachusetts) e che stanno dolorosamente affrontando la malattia, improvvisa, devastante, inaspettata di lui.
Con una potenza evocativa maestosa e un ritmo forsennato, la Oates ci porta a vivere quella sensazione di disperazione, ci rende asfittico lo spazio vitale fuori e dentro le pagine, e abbiamo la sensazione di soffocare, catapultandoci dietro ogni parola con un balzo, per provare ad emergere dalla sofferenza. Ogni pagina di questa scrittrice, che dal 1963 ha scritto più di un centinaio di libri, cimentandosi con i generi più diversi, curando il suo stile unico, anno dopo anno, è un pagina che trafigge.
Non c’è tregua nell’amore, non c’è paura, tra le tante provate malessere umano, che sopravviva ad un sentimento così forte; eppure la paura della solitudine, la paura della perdita definitiva e il lutto sono le tematiche centrali di questo intenso racconto nella vita di chi sopravvive all’altro.
Il romanzo è diviso in due parti, che segnano immancabilmente la vicenda nella sua drammaticità, e che ci consegnano le tappe della dolorosa discesa nel baratro della separazione definitiva da parte di Michaela, che vedrà aggravarsi le condizioni di suo marito, fino alla morte.
Ci sono diversi universi in questo libro, in cui fabula e intreccio non coincidono e tra anacronie e analessi, la scrittrice, nonché docente di Scrittura creativa, ci restituisce un esempio concreto del suo stile. Le linee narrative si intrecciano, tra parti descrittive e parti riflessive e provengono da un unico punto di vista, quello del narratore interno.
C’è l’ordine cronologico degli eventi, reale, triste, tagliente e spietato, che nella fabula ci fa presagire, attraverso una potente analessi iniziale, che questo non sarà un viaggio facile; c’è l’intreccio, che si potrebbe definire ritmico, perché ondeggia come i pensieri della protagonista, onirico, intriso di incubi e di presenze, di frasi non dette e di eventi non accaduti, che alimenta quasi un lato da ghost story, con una forte componente mistica, legata a riti e superstizioni.
Il lettore è portato a vivere intensamente questa storia, a sentirla sulla propria pelle quasi fisicamente, riesce a vedere i pensieri di Michaela, a capire il suo ragionamento, spesso illogico, a sperare insieme a lei che Gerald non sia davvero morto, che possa vivere ancora e ancora e infine che la morte del suo amato possa essere uno dei sogni, anzi degli incubi terribili, che la mente della moglie (poi vedova) continua a infliggerle, quasi in un sogno lucido.
Una coazione a ripetere da cui ci si libera solo contrastando l’immobilità delle cure e dell’ospedale, correndo per le strade di Santa Tierra e attraverso i canyon, impegnandosi a mille in varie attività, innamorandosi del proprio lavoro, che nel caso della protagonista è l’insegnamento, scoprendo, con visite o gite, la terra che ha accolto due coniugi desiderosi di nuove avventure e che li ha masticati fino a sputarne via i resti, riducendone uno in cenere e lasciando l’altra indietro, al confine tra ciò che non è più e ciò che non ha la forza di diventare.
Le tematiche del libro partono da un nucleo centrale, caro alla scrittrice, ovvero la famiglia, intesa come luogo dell’elezione esclusiva, dell’amore, come il rifugio. L’individuo si riconosce come tale, solo in riferimento al rapporto con altri, ed è per questo che Michaela si sente orfana, non riesce a costruire amicizie, instaura dei rapporti parziali solo con altri due studenti, una giovane ragazza ferita e a sua volta non compresa dalla propria famiglia e un altro studente adulto e malato, che è in cerca di accudimento.
Anche le tematiche delle origini, della specie e del razzismo trovano posto tra queste pagine così intense. Michaela teme le divinità strane del luogo che li ha accolti, le reputa in qualche modo responsabili della sua condizione, e si sente la “gringa” bianca odiata e giudicata, financo abusata, in un’occasione, che non sappiamo se relegare al mondo della realtà o dell’onirico.
Alla fine, in un modo o nell’altro (entrambi i finali sembrano essere contemplati dalla scrittrice) arriverà la catarsi, l’accettazione, la fine della forsennata corsa, e il “Respira” così tante volte ripetuto tra le pagine, non sarà più una supplica dolorosa, ma un sollievo e una redenzione.
Samantha Viva
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