Il diamante del Rajà e altri racconti
di Robert L. Stevenson
Alter Ego Edizioni, ottobre 2022
Traduzione di Carlo Linati
Prefazione di Alessandro Romanello
pp. 120
€ 7,90 (cartaceo)
Se quel Rajà di Kashgar, un principe, a quanto dicono, assai illuminato, avesse voluto pigliarsi vendetta dell'Europa tutta quanta, certo non sarebbe riuscito meglio nel suo intento che gettando tra noi quel pomo della discordia. Non c'è robustezza d'onesta che resista a seduzioni di quel genere. Io stesso, che pure godo di una quantità di diritti e di privilegi, io stesso, Vandeleur, se mi capitasse tra le mani quel diabolico cristallo, non mi salverei. (p. 40)
Il sesto diamante più grande e bello del mondo è stato donato al generale inglese Vandeleur, ma la moglie, donna avida e ricoperta di debiti, cerca di venderlo per coprire le sue perdite con l'ingenuo aiuto del suo valletto. Il diamante viene recuperato da un ecclesiastico che sembra smarrire le sue virtù nei cangianti riflessi della pietra. Infine, giunge nelle mani del principe Florizel di Boemia che si troverà con la responsabilità di eliminare questa pietra che induce chiunque in tentazione.
Un giovane cavaliere, sul finire del Quindicesimo secolo, si trova per errore in una casa dove gli verrà offerta una scelta: sposare una giovane sconosciuta o penzolare dall'alto di una forza.
Un poeta da quattro soldi, arguto e abile borsaiolo, chiede ospitalità in una casa per sfuggire alle conseguenze di una rissa dove intratterrà un complicato botta e risposta con un vecchio militare su cosa sia la morale e su come condurre con onore la propria vita.
Questi tre racconti che oscillano tra le fascinazioni dell'Oriente, l'opera morale e i tocchi del gotico portano il lettore alla scoperta di un Robert Louis Stevenson prima che componesse Dr. Jekyll e Mr. Hyde, quando esplorava le potenzialità delle sue personali Mille e una notte.
Qui – dice il mio autore arabo – ha termine la deplorevole istoria dello scatolone da nastri. Ma, per lo sventurato segretario, il difficile era avviarsi a una vita nuova e più dignitosa. (p. 33)
Robert Louis Stevenson pubblicò in due volumi nel 1882 la sua raccolta di racconti New Arabian Nights, le Nuove Mille e una Notte. Il diamante del Raja e altri racconti comprende sia il racconto eponimo tratto dal primo volume che Un alloggio per la notte e Il sire della porta di Malétroit tratti dal secondo. Questi racconti arrivarono in Italia negli anni Venti con la traduzione a cura di Carlo Linati. Alter Ego ha scelto di mantenere, con alcuni ammodernamenti, questa raffinata traduzione che, pur presentando momenti in cui la lettura diventa laboriosa, mantiene il registro e l'atmosfera dell'inglese originale.
Stevenson utilizza l'espediente narrativo, che oggi definiremmo "classico", del manoscritto ritrovato in cui l'ignoto autore arabo narra le vicende del diamante del Raja, la pietra dalla straordinaria bellezza in grado di tentare il cuore di ogni uomo e condurlo alla rovina. Anche chi è ben intenzionato sul principio finisce per subirne il fascino e, in qualche modo, pagare le conseguenze del contatto con l'oggetto. Come poi sarebbe stato ampiamente affrontato nei testi successivi, ogni uomo presenta un doppio dentro di sé, una parte più oscura con cui deve capire se convivere, tenere sotto controllo oppure lasciarsi controllare. Anche il dispensatore di giustizia, il principe Florizel di Boemia, che percorre le pagine del racconto incrociando tutti quelli che toccano il diamante, non è esente da una sorta di vendetta e di rovescio di fortuna per aver toccato la pietra.
Dai contorni più gotici è invece il racconto Il sire della porta di Malétroit.
L'interno di quell'oratorio aveva una certa ricercatezza architettonica. Una leggera cordonata si spiccava dalla cima di sei grosse colonne e veniva a raccogliersi nel mezzo della volta donde pendevano due ornamenti. Dietro l'altare la cappella si chiudeva in uno spazio emicicloidale, le cui pareti erano tutt'a bozze e scavi, sovraccarica di ornati in rilievo, e forata da molte finestrelle a forma di stella, di trifoglio, di ruota. Queste finestre erano male invetriate, e l'aria della notte entrava e si aggirava liberamente per la cappella strapazzando senza misericordia le fiamme di una cinquantina di candele posate sull'altare: onde la luce passava, per fasi graduali, dallo splendore più brillante a una penombra d'eclissi. Sui gradini, davanti all'altare, stava inginocchiata una giovane donna riccamente abbigliata, in abito di nozze. (p. 85)
Un equivoco porta un giovane cavaliere a essere scambiato per chi ha disonorato la nipote del signore di Malétroit ed egli ha due ore di tempo per convolare a nozze oppure essere impiccato. Il racconto, con la figura spaventosa del signore del castello dall'espressione "non propriamente umana", la fanciulla dal nome parlante di Bianca obbligata al matrimonio e rinchiusa in camera sua fino al momento di andare all'altare, mescola il gotico con l'atmosfera e le prove da superare tipiche della favola e si mostra come un degno erede delle affabulanti storie di Sherazade.
Infine, Un alloggio per la notte romanza una serata piuttosto movimentata nella vita di un poeta realmente esistito, François Villon, poeta francese "maledetto" e dalle attività criminali. L'ombra della forca che gli fa scorrere brividi lungo la schiena è un elegante rimando alla sua opera più famosa La ballata degli appesi. La discussione con il vecchio signore che lo ospita mostra due posizioni nettamente diverse su cosa sia l'onore, ma ciascuna giusta e sostenibile a modo suo in uno scambio squisitamente sofista.
Fin dalla mia gioventù ho appreso che un gentiluomo ha da vivere cavallerescamente nell'amore di Dio, del suo re e della sua donna. [...]Vedete che mi ci vorrebbe a mettervi in un batter d'occhio là disteso per terra con la mia lama nello stomaco e fuggirmene con una bella bracciata delle vostre tazze d'argento? [...] E poi dite che non ho senso dell'onore? Dio mi fulmini. (pp. 116-117)
Sono racconti dai molteplici livelli di lettura, dalle semplici favole, al racconto d'avventura, al richiamo metaletterario fino alla riflessione morale e psicologica. Piccole gemme che vanno ricordate al pari dei testi più famosi del "Tusitala", il narratore di storie, così come Stevenson veniva chiamato nelle isole Samoa dove visse – e dove poi morì – a partire dal 1891.
Giulia Pretta