Oblio e perdono
di Robert Harris
Mondadori, 2022
Traduzione di Annamaria Raffo
pp. 437€ 22 ( cartaceo)
€ 11,99 ( ebook)
«“Atteso che Carlo Stuart re d’Inghilterra è privato dei suoi poteri ed è stato giudicato colpevole di alto tradimento e di altri gravi crimini, il sabato ultimo scorso questa corte lo ha condannato a morte mediante decapitazione, […] imponiamo pertanto di provvedere a eseguire la suddetta sentenza in mezzo alla strada davanti a Whitehall […]”». (p. 26)
Londra, 1660. L’Inghilterra torna alla Monarchia dopo undici anni di Repubblica; infatti, poco più di dieci anni prima, quello che era il sovrano regnante, Carlo I, viene condannato a morte dopo la sentenza del tribunale. Siamo di fronte a una condanna capitale, che fa entrare l’Inghilterra in un periodo storico tumultuoso. Ecco, a metà del diciassettesimo secolo, la Monarchia fa di nuovo la comparsa sulla scena inglese, nella persona dell’erede naturale del re assassinato, Carlo II. Il nuovo re deve però affrontare questioni spinose: come comportarsi con i sudditi che hanno fatto uccidere il padre? Perdonarli o condannarli? La risposta sarà l’Act of Oblivon (titolo originale dell’opera di Robert Harris): un atto che promette di dimenticare e perdonare i crimini durante la rivolta contro Carlo I, con la sola eccezione di quelli commessi direttamente contro il Re. E non è importante in che misura e il grado di partecipazione: chi ha contributo in modo diretto o indiretto, deve morire. Istituita una speciale commissione governativa, rintracciano tutti i colpevoli, tranne due: Edward Whalley e suo genero William Goffe. Entrambi sono stati direttamente coinvolti nella sentenza ed esecuzione di Carlo I e quindi devono essere giustiziati, ma, poco prima dell’emanazione dell’Act of Oblivion, riescono a scappare.
Dall’Inghilterra all’America: i due colonnelli si rifugiano
nel nuovo continente, sperando di trovare la salvezza nelle nuove colonie, ma
hanno fatto male i loro conti. Sulle loro tracce, il governo mette un uomo
assetato di vendetta politica, ma, soprattutto, personale: Richard Nayler. Da
qui inizierà la più grande e rocambolesca caccia all’uomo inglese e non ci sarà
pace per i due esuli, perché Nayler non darà loro tregua, essendo lui stesso,
per caso o per sfortuna, legato in modo viscerale ai due fuggiaschi. Li
inseguirà come un segugio tra le praterie e i paesaggi americani, i due quindi
non possono fare altro che scappare e affidarsi alla bontà degli abitanti delle
nuove colonie e delle tribù indiane, fondamentali per trovare rifugio.
Com’era possibile scoprire due uomini determinati a nascondersi in una terra così selvaggia, silenziosa e disabitata? Ma dal secondo giorno iniziò a vederla con un occhio diverso, non tanto come una terra ma come un oceano, disseminato di minuscoli insediamenti: isole di civiltà circondate dalla natura ostile. (p. 198)
Quello che leggiamo nel primo romanzo storico di Robert
Harris, autore prolifico ed eclettico, è la ricostruzione di un fatto realmente
accaduto ma ancora oggi, anche negli ambienti culturali inglesi, poco noto:
forse perché è difficile considerare l’idea che per un certo periodo
l’Inghilterra sia stata repubblicana o forse, e più probabile, è complicato accettare l’uccisione
del proprio re, essendo la Monarchia insita nella cultura anglosassone. La ricostruzione
storica, curata nei dettagli, ci permette di tracciare un quadro più ampio sia
della situazione politica inglese negli anni finali del Seicento sia dei
protagonisti di questa caccia. I personaggi, infatti, di Walley e Goffe sono
realmente esistiti e non si può non notare, e apprezzare, l’accurata e
certosina documentazione che l’autore ha sfruttato per raccontarli: dal
vestiario agli spostamenti fino agli atteggiamenti, i due personaggi chiave
sono calati nella misura della realtà storica. D’altra parte suocero e genero
condividono molto e non solo la grande fuga. Gli animi dei due uomini sono,
infatti, complementari: i dubbi pensati, le incertezze vissute e l’incrollabile
fede in Dio appartengono a entrambi.
D’altronde è nelle pagine del romanzo che si è immersi nel
clima teso e ansiogeno di questa caccia che ben si ritrova anche nel
personaggio di Nayler. Sebbene sia frutto dell’immaginazione dello scrittore,
si percepisce come l’autore abbia voluto
donarci un uomo complesso e di difficile inquadramento. Nayler lascia dubbi
etici e morali che trovano qualche risposta nelle pagine del diario che lui
stesso scrive: tra l’altro, anche un importante e scaltro escamotage che permette
all’autore di illuminarci sui fatti politici e personali precedenti
all’omicidio di Carlo I.
Quei periodici attacchi di prostrazione lo affliggevano fin dalla giovinezza. Talvolta duravano settimane: una malinconia plumbea e disperata che nessuna delle cure consigliate […] riusciva a dissipare. (p. 125)
Oblio e perdono è
un romanzo storico che non lascia dunque respirare il lettore, il quale sarà
preso come da una sorta di bramosia conoscitiva. Non deve scoraggiare la mole del romanzo,
quasi cinquecento pagine, perché la domanda, che percorrerà la mente del
lettore, sarà: ce la faranno i due fuggiaschi a salvarsi?
Non vi svelo come
andrà a finire questa imponente e convulsa caccia all’uomo, ma quello che posso
anticiparvi che alla fine il risultato sarà ben poca cosa rispetto alle
sensazioni provate durante la lettura. Tanto è avvincente e incisiva la
scrittura di Harris che sembrerà di entrare tra quelle pagine: a volte insieme
a Whalley e Goffe intenti a scappare, altre volte insieme a Nayler pronti ad
arrestare i due esuli. L’autore dunque non dà niente per scontato e non
tralascia nessun dettaglio utile alla narrazione: dai paesaggi inglesi a quelli americani fino all’accuratezza
storica, Oblio e Perdono vi riporterà
nel Diciassettesimo secolo.
Giada Marzocchi