"L'idea russa - Da Dostoevskij a Putin" di Bengt Jangfeldt: un saggio agile per interpretare il conflitto in Ucraina



L'idea russa - Da Dostoevskij a Putin
di Bengt Jangfeldt
Neri Pozza (collana I colibrì), maggio 2022

Traduzione di Lidia Salvati

pp. 185
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


La Russia storicamente conosce solo un genere di relazione tra governanti e governati: quello verticale. Nel periodo zarista il potere politico era esercitato da un autocrate, in era sovietica da un partito comunista dittatoriale guidato da un segretario generale, in età post-sovietica da un'élite politica ed economica influente e senza scrupoli [...]. A differenza delle democrazie occidentali, la Russia non avuto, se non per brevi intervalli di tempo, fattori di bilanciamento dei poteri quali mezzi di comunicazione liberi, elezioni democratiche, un sistema giudiziario indipendente e via dicendo. (p. 9)

È quasi un anno che purtroppo si combatte una guerra sanguinosa e ingiusta a pochi passi in Ucraina e io, da quel terribile febbraio 2022, ho avvertito forte il bisogno di indagare le ragioni del conflitto.
Cercavo però un testo divulgativo, agile, che mi consentisse di approcciarmi alla questione in maniera diretta, e così sono quasi incappata ne L'idea russa - Da Dostoevskij a Putin, l'ultimo saggio del professore svedese di lingue e cultura slave Bengt Jangfeldt.

La citazione che ho scelto in apertura di questa recensione fa ben comprendere al lettore la concezione egemonica alla base del pensiero della Russia, che rappresenta il cuore della tesi dalla quale l'autore muove: attraverso un excursus storico, infatti, Bengt Jangfeldt enuncia questo pensiero risalente all'incirca a due secoli fa, durante il regno di Nicola I, rafforzatosi poi con il crollo dell'Unione Sovietica, e in particolare nell'era del governo putiniano:

Una di queste idee è che la Russia sia una civiltà sé, non solo diversa ma anche moralmente superiore rispetto a quella occidentale. Formulata circa due secoli fa, all'epoca di Nicola I, dopo il crollo dell'unione Sovietica, e in particolare nell'era di Putin, tale idea ha conosciuto una straordinaria rinascita al punto che, sotto il nome di «patriottismo», è arrivata a sostituire il comunismo come ideologia di Stato. L'«idea russa», la chiamava Dostoevskij. (p.10)

Il titolo originale del saggio, Noi e loro, ci consegna con esattezza la distanza che la Russia ha da sempre posto tra sé stessa e il resto del mondo: già l'imperatore Pietro il Grande (1672-1725) e il filosofo Pētr Čaadaev (1794-1856) descrissero l'identità russa attraverso in opposizione con quella dell'Europa.

La questione sulla quale l'autore pare voler fare riflettere il lettore è la stessa che la Russia si pone da secoli: considerare l'Europa come un esempio, un modello al quale ispirarsi al punto da voler colmare il distacco accumulato nei secoli con essa, oppure rivendicare la divergenza di vedute, inerente soprattutto alla religione?
Scriveva infatti Čaadaev:
Noi non apparteniamo a nessuna delle grandi famiglie del genere umano; non siamo né dell'Occidente né dell'Oriente e non abbiamo le tradizioni né dell'uno né dell'altro. Situati come al di fuori del tempo, l'educazione universale del genere umano non ci ha mai toccati [...] tutto quel che presso gli altri popoli è abitudine e istinto, noi dobbiamo farlo entrare nella nostra testa a colpi di martello [...] da noi non c'è sviluppo interiore, né progresso naturale; le nuove idee spazzano via le vecchie perché non nascano da esse, ma ci giungono da non so dove. (p. 14)

Queste due visioni contrapposte si sono acuite nel corso degli anni fino a dare origine a un dualismo tra occidentalisti e slavofili che è giunto sino ai nostri giorni. In un tale clima la cultura si è spesso "mascherata" da propaganda, da vera e propria pedagogia delle masse.

Su queste dinamiche si è innestata successivamente una corrente di pensiero denominata "Eurasiatismo", in base alla quale non vi è solamente la contrapposizione tra Russia ed Europa, ma anche l'aggiunta dell'Asia. All'interno di questo disegno vi sarebbe l'Eurasia, un territorio in grado di comprendere la Cina occidentale, i Carpazi, l'Ucraina meridionale e orientale, oltre a molti altri Stati.

Forse proprio sulla base di quest'ultima teoria si possono capire gli attuali disegni di natura neo-imperiale del presidente russo Vladimir Putin, consentendo al lettore di comprendere come lo stesso non sia in preda a paranoie né stia semplicemente "reagendo" alle politiche della Nato e dell'intero Occidente. Infatti già 10 anni fa Putin tenne un discorso davanti al Consiglio federale russo nel quale si accostava ad uno degli storici dell'Eurasiatismo, Lev Gumilēv, mentre nel 2013 contrapponeva l'idea di un'Unione Eurasiatica all'Unione Europea.

È forse proprio quello illustrato poco sopra il punto di arrivo della riflessione condotta da Bengt Jangfeldt all'interno del suo saggio: l'esigenza di primeggiare, il bisogno di prevaricare ha probabilmente condotto Vladimir Putin a scatenare una feroce battaglia che vede contrapposta la Russia alla maggior parte del mondo occidentale.

Tentare di trovare una giustificazione a un conflitto che riguarda un Paese vicinissimo all'Europa sarebbe folle, ma credo sia doveroso analizzare le ragioni che hanno condotto non solo allo scoppio, ma anche all'inasprimento delle ostilità per avere la possibilità di porre fine al massacro di civili al quale assistiamo quotidianamente.

L'idea russa è un saggio di agevole lettura che può aiutare chiunque a rapportarsi con un concetto che espresse in maniera ineguagliabile Albert Einstein:

La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire.

Ilaria Pocaforza