A dispetto di coloro che pensano che la cultura antica sia qualcosa di lontano che non può più comunicare con noi, o peggio, che non abbia nulla da insegnarci, il professor Bettini, con la sua trattazione chiara, ben argomentata e convincente, ci dimostra che invece faremmo un gran bene all’umanità se prendessimo esempio dagli antichi, soprattutto in ambito religioso.
La cultura antica - dimostra Bettini - vive in quella contemporanea, è sempre attuale, non solo nei programmi scolastici e universitari, ma nella vita quotidiana.
La religione è un prodotto culturale, che lo si voglia ammettere o no, e ciò era vero anche presso gli antichi greci e romani, solamente che il monoteismo esclusivo del cristianesimo ha relegato la religione antica nei dipartimenti universitari, perché considerata “falsa”, “errata”.
Il monoteismo ebraico si presenta come una “contro religione”, che in quanto tale nega ogni legittimità a tutte le altre religioni e con esse alle divinità che vi sono onorate. Questa visione del divino trova espressione nel racconto dell’Esodo, sotto forma del distacco del popolo di Israele, guidato da Mosé, dagli Egizi. Attraverso Mosé viene stabilita un’alleanza con Dio, a patto che il popolo di Israele accetti di averlo come dio unico ed esclusivo e rifiuti di onorare le immagini di qualsiasi altra divinità. (p. 41)
Il politeismo, se l’avessimo conservato, si sarebbe certamente rivelato una risorsa, non inteso soltanto come tesoro di cultura, ma nel senso più “civico” del termine.
Gli antichi popoli praticavano la tolleranza religiosa. In che modo?
Con la solita argomentazione cristallina, corredata da esempi tratti da episodi di cronaca contemporanea (ad esempio, l’iniziativa di togliere il presepio nelle scuole come forma di rispetto verso coloro che non sono cattolici) , il professor Bettini ci illustra in che modo le divinità di un popolo venissero accolte ed “integrate” nel pantheon di un altro popolo. Ci spiega la “tra-duzione” e la “inter-pretatio” degli dei da una religione all’altra: ci spiega inoltre la consuetudine dell’evocatio, ossia evocazione, della divinità protettrice di una città appena conquistata.
La cerimonia, che prevedeva un rituale piuttosto complesso, consisteva nel “chiamar fuori”la divinità tutelare della città assediata garantendole che a Roma avrebbe ricevuto onori uguali o superiori a quelli di cui godeva presso i nemici. (p. 89)
Nell’antichità ogni nuova divinità era la benvenuta, veniva subito inserita nel pantheon di riferimento sia identificandola in una preesistente (esempio Zeus-Giove, Hera-Giunone, etc.) , sia integrandola col nome originario. Interessante il capitoletto dedicato al presepio e alle sue statuette: il professore ha provato a collegare questa consuetudine che è una delle più amate nella nostra cultura alle usanze del larario, dei sigillaria dell’antica Roma.
Il saggio è ricco di autentiche chicche curiosissime sui paradossi della grammatica, sulle interpretazioni grossolane che hanno deciso le sorti delle altre religioni agli occhi dei cristiani.
Mentre a Roma le divinità si chiamano Iuppiter, Iuno o Mars - allo stesso modo cioè in cui nella società degli uomini ci si chiama Velleius, Gaia o Marcus - nelle religioni monoteistiche il dio si chiama «Dio», «il Dio». (p. 59)
Ma il nostro monoteismo esclusivo, che non integra, non accoglie altre divinità e altri credo, potrebbe essere un politeismo mascherato. Perché? Basti pensare ai tanti santi canonizzati anno dopo anno, il culto delle varie Madonne, etc…
Il politeismo, però, non è semplicemente credere in più divinità.
Essere politeisti significa pensare insieme e contemporaneamente a divinità diverse tra loro, senza che l’una escluda l’altra, senza che l’una tolga legittimità all’altra; essere politeisti significa essere inclusivi e non esclusivi nei confronti delle altre religioni.
Un saggio illuminante, piacevole, che arricchisce e che fa riflettere sul valore del politeismo come quadro mentale che permette di giudicare popoli e persone, non in base alla religione che professano o ai loro tratti somatici, ma “da una proiezione verso una comune appartenenza civica”. Sì, perché per gli antichi la religione apparteneva alla cittadinanza.
Utilizzando il concetto di cash value di W.James, Bettini afferma che il politeismo antico potrebbe aiutare la società e i singoli individui a «far fronte, a sostenerli nella propria pratica ed effettiva esperienza». (p. 14)
Marianna Inserra
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