George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair - e il fatto che scriva con un nome fittizio la dice già lunga - colpisce sempre il lettore per i suoi scritti di una attualità sorprendente e talvolta spaventosa, ma autentica.
Inglese nato in India, dopo aver lavorato presso la polizia imperiale indiana, esperienza questa che gli darà la possibilità di conoscere da vicino i soprusi e le violenze ai danni della popolazione autoctona, decide di tornare in Inghilterra e di dedicarsi alla scrittura impegnata collaborando con la BBC e adottando un nuovo nome.
Fervente e attivo socialista riflette in ogni suo scritto sulla deriva dei totalitarismi, soprattutto in seguito alla missione giornalistica nella Spagna di Francisco Franco.
I cinque brevi saggi che compongono la raccolta Fascismo e democrazia, sono stati scritti tra il 1940 e il 1942, tranne uno risalente al 1945, e quindi sono quasi tutti antecedenti ai due più famosi romanzi dell’autore, La fattoria degli animali e 1984, rispettivamente pubblicati nel 1944 e nel 1948.
Il filo rosso che attraversa i cinque scritti riconduce al concetto di libertà in tutte le sue forme: libertà intellettuale, di stampa, di pensiero, politica.
Laddove manca l’opinione pubblica, sostiene Orwell, langue la vivacità nel dibattito intellettuale e questa apatia rafforza i regimi totalitari. Per ovviare a tutto questo basta la democrazia? In fondo la democrazia, ovvero il popolo che governa attraverso i suoi rappresentanti, non dovrebbe garantire la libertà e la felicità di un popolo?
Sembra proprio di no.
Nel primo scritto, la democrazia è sotto attacco. Secondo l’autore, anche uno studente delle scuole superiori sarebbe in grado di individuare tutte le falle del sistema democratico alla luce degli eventi di attualità sotto ai suoi occhi: nazismo, fascismo e comunismo sono il frutto del fallimento della democrazia nei sistemi politici mondiali, non soltanto europei. La democrazia è «una frode, nient’altro che una copertura per il governo di un ristretto gruppo di uomini ricchi» (p.9) che non garantisce l’uguaglianza economica tra i cittadini, né una piena libertà di circolazione delle idee.
Orwell, con lucida e disincantata analisi, parte da esempi tratti dalla attualità inglese dove la libertà di pensiero e di stampa non è del tutto falsa, per lanciare un appello accorato al socialismo democratico, unico rimedio, a suo dire, all’estremo male dei totalitarismi, ma tuttavia non ancora raggiunto:
Quello che l’Inghilterra non ha mai avuto è un partito socialista che facesse sul serio e tenesse conto delle realtà contemporanee. Quali che siano stati i programmi del partito laburista, negli ultimi dieci anni è stato difficile credere che i suoi leader si aspettassero di vedere o addirittura volessero un cambiamento fondamentale nel corso della loro vita. Di conseguenza, il sentimento rivoluzionario che esisteva nel movimento di sinistra si è disperso in diversi vicoli ciechi, tra i quali quello comunista è stato il più importante. (p.22)
Le “epurazioni”comuniste, le deportazioni sono un male la cui natura non si può più ignorare e nonostante tutto si ripetono nella storia: in un paese ricco e prospero non dovrebbero esistere, secondo Orwell, non solo le disuguaglianze sociali ed economiche, ma anche il ricorso alla violenza e all’esercito. Questi ultimi sono pericolosi indizi di propensione al totalitarismo.
Nel secondo scritto Letteratura e totalitarismo, Orwell parla del rapporto ormai, diventato sempre più stretto, tra letteratura e politica, sostenendo che, rispetto al secolo XIX, la seconda abbia completamente invaso la prima, svilendo e annullando lo spirito critico e l’onestà intellettuale.
Viviamo in un’epoca in cui l’individuo autonomo sta smettendo di esistere. O meglio, in cui l’individuo sta smettendo di avere l’illusione di essere autonomo. (…) La prima cosa che chiediamo ad uno scrittore è che non menta, che dica ciò che pensa e sente davvero. Il giudizio peggiore che possiamo esprimere su un’opera d’arte è che è in sincera. (p. 30)
L’evidente connessione tra l’infelicità personale e la prontezza a credere l’incredibile è la scoperta più interessante. Commenti come : «Tutto nel mondo è così sconvolto che potrebbe succedere qualsiasi cosa», oppure: «A patto che morissimo tutti, andava tutto bene», sono sorprendentemente comuni tra le risposte al questionario. Persone che sono state senza lavoro o sull’orlo della bancarotta per dieci anni possono in effetti sentirsi sollevate apprendendo che la fine della civiltà è vicina. È quello lo stato d’animo che ha indotto intere nazioni a gettarsi tra le braccia di un Salvatore.
Questi scritti di cui si è cercato di offrire solo un piccolo assaggio e l’ultimo, Visioni di un futuro totalitario pubblicato nel 1942, rappresentano probabilmente per l’autore anche una sorta di laboratorio delle idee che verranno sviluppate poi nei suoi due romanzi più famosi - due distopici tra i più celebri della letteratura di ogni tempo - ma per il lettore attento e curioso sono testimonianza illustre, lucida e intelligente di un’epoca probabilmente mai superata che continua a parlare all’attualità e che chiede prepotentemente all’umanità di non commettere gli stessi errori.
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