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Un argine da costruire e una vita da ricostruire: "Nina sull'argine" di Veronica Galletta

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Nina sull'argine

di Veronica Galletta
Minimum Fax, ottobre 2021

pp. 219
€ 15,20 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)


«Buongiorno Signora.
Ingegnere.
Signora mi sembrava più gentile.
Non siamo qui per scambiarci gentilezze.
Ha ragione sa? E' giusto tenere al proprio titolo.
Non è un titolo nobiliare. E' il lavoro che faccio. Ingegnere.
Sapete che noi qui abbiamo un castello? Guardate là, sulla collina.
A parte che i titoli nobiliari sono stati aboliti.
Preferisce ingegnera? Sapete che quando è venuto il Soprintendente, per il nostro castello, è sceso di macchina, era una donna!» (p.12)
Nel 2005 nessuno avrebbe mai utilizzato il termine ingegnera: nell'immaginario comune il direttore dei lavori difficilmente avrebbe potuto avere un nome femminile. 
E invece proprio a Caterina Formica viene affidata la gestione del cantiere per la costruzione dell'argine di Spina, un piccolo comune disperso della pianura padana: un incarico scomodo, «che nessun altro collega ha voluto», caduto dal cielo (il titolo del primo capitolo) dopo che nell'ufficio pubblico dove lavora sono rimasti in pochi a essere scampati all'indagine per corruzione.
Nina è impreparata ad affrontare un cantiere verodove tutto è polvere e fango e dove alla responsabilità dell'andamento dei lavori e della vita degli operai si somma la necessità di districarsi in un complesso e delicato labirinto di relazioni umane.

Parallelamente alla costruzione dell'argine, Nina dovrà affrontare la ricostruzione della sua vita personale: Pietro è andato via «un paio di giorni da un amico per riflettere» e non è più tornato, lasciando ad attenderla a casa solo la gatta Nerina.
Nonostante le notti insonni, Nina non può permettersi di essere fragile e guida per ore per raggiungere lo scavo: l'argine è la priorita, ma l'immagine di Pietro seduto sul vecchio gardrail o riflesso nella vetrina dell'unico bar del paese non smetterà di ossessionarla durante la giornata.

Lo scavo diventa anche unica occasione di relazione con altri essere umani, ma si rivelerà presto un incontro di solitudini: i personaggi che lo popolano, tutti decisamente ben caratterizzati, restano isolati, vittime del proprio ruolo stereotipato.
C'è il geometra Bernini, che nonostante il «passo falso su signora e ingegnere» e una situazione familiare delicata è lavoratore dedito e instancabile; l'assessore, sempre pronto a svolgere opera di mediazione proponendo pranzi aggregativi a base di coregone e altri piatti di cucina locale; il rappresentante del Comitato Fiume Libero, che con la sua cartellina sotto braccio è sempre pronto a ricordare a Nina la prescrizione ambientale e il rispetto dell'avifauna; l'architetto Lovecchio che rappresenta proprio "quelli della macchinetta del caffè" che lei teme di poter rappresentare.
E poi c'è l'uomo nella buca, l'anziano operaio Antonio a cui sono dedicati quattro capitoli in corsivo intitolati Novembre che intervallano il racconto.
Siciliano come Nina, la riporterà con la mente a quella terra dove lei, che «è una che ha scelto», ha deciso di non lasciare niente.
«Li odia questi meridionali. Li odia tutti. Odia le loro usanze, questo loro chiamare casa un posto nel quale tornano da vent'anni per tre volte l'anno. Casa? Ma che casa? Natale, Pasqua, ferie estive. Scendono e risalgono, carichi di barattoli, di conserve e di racconti di nipoti grassi e malvestiti. Lei no, lei non è come loro. Lei è una che ha scelto, è una che ha viaggiato. Non ha lasciato niente giù. Né vestiti, né libri, né ricordi.» (p. 55)
L'uomo darà suggerimenti a Nina, ma poi scomparirà misteriosamente, come una visione onirica, come quell'istrice e quel cervo che le si pareranno davanti nel buio della notte, come l'immagine di Pietro.

E' stanca Caterina, ma sarà il cantiere stesso, l'altro vero indiscusso protagonista del racconto, a darle gli strumenti per reagire e ricostruirsi: specchio della sua esistenza, è un luogo dove niente è prevedibile, dove occorre scendere a compromessi e «accettare misure imperfette» (p. 38).

Caterina imparerà che non basta cambiare la disposizione dei mobili e distruggere libri e piante di chi ti ha ferito per esorcizzare il dolore, ma occorre affrontare i fantasmi del passato con la stessa tenacia che riesce a trovare per imporre il proprio ruolo in un mondo del lavoro culturalmente declinato al maschile.
«Costruire un argine è una cosa complessa. Bisogna calibrare bene la quantità di terra fin dall’inizio, evitare le corde molli, prevenire i dilavamenti. Perché se si forma una breccia, puoi anche riparare, ma qualcosa rimane. Perché non basta ridipingere la casa e spostare tutti i mobili. Chiudere le fotografie di prima in un cassetto. Anche con la casa tinta e bianca come la sua vita adesso. Pulita, ordinata, lineare. Una traccia rimane. L’argine lo sa. La memoria rimane.» (p. 137)
Siciliana d'origine e livornese di adozione, Veronica Galletta non è un nome nuovo nel panorama della letteratura contemporanea: con Le isole di Norman si è aggiundicata il Premio Campiello Opera Prima 2020.

Galletta è un'ingegnera e ha lavorato vent'anni in un ufficio pubblico: in Nina sull'argine ha scritto di quello che sa.
Già nella rosa dei romanzi finalisti del Premio Strega 2022, questo suo secondo romanzo è stato appena proclamato vincitore della seconda edizione del Premio Letteratura d'Impresa nell'ambito del Festival città d'impresa di Bergamo. 

Le minuziose descrizioni tecniche dei lavori sono sicuramente poco scorrevoli ma in fondo necessarie per proiettare il lettore in un contesto lavorativo verosimile e sconosciuto ai più e per trasmettere la complessità delle scelte, la potenza della natura e la drammaticità dell'impatto dell'opera dell'uomo su di essa.
La focalizzazione è fissa sulla protagonista, ma Galletta, attraverso una scrittura in terza persona asciutta e priva di fronzoli (e di virgolette nei dialoghi, anch'essi secchi e brevi), non ne fa una vera introspezione psicologica, lasciando al lettore delinearne il profilo: Nina è un'antieroina, un personaggio fragile che sa essere feroce e questo racconto di formazione non è una storia di emancipazione femminile, ma un percorso verso la consapevolezza che per andare avanti bisogna scendere a compromessi con se stessi in primis, forse anche un pò tradirsi.
«Forse è questo, crescere: capire che i fenomeni non sono reversibili, che ogni traccia lascia un’impronta. Che esiste una fatica, come nei materiali, e la fatica è un fenomeno pericoloso, dal quale bisogna preservarsi. Lo stesso materiale, sottoposto a carichi variabili nel tempo può arrivare a rottura, a cedimento per fatica, pur restando all’interno del suo limite di elasticità.» (p. 212)
Elisa Pardi