La solitudine delle vite nascoste
di Lauro Zanchi
Francesco Brioschi Editore, ottobre 2022
pp. 270
€ 18,00 (cartaceo)
€ 3,49 (e-book)
Un piccolo lembo di terra, adagiato proprio a metà della Pianura Padana, nel giro di pochi giorni, all'inizio del tremendo 2020, è stato teatro di due avvenimenti che, già presi singolarmente, sarebbero bastati per passare alla Storia. Soprattutto in un contesto pacifico, tranquillo e, tutto sommato, anonimo quale il quadrilatero tra Lodi, Codogno, Crema e Cremona. Stiamo parlando del deragliamento del Freccia Rossa, avvenuto a Livraga, a due passi da Lodi, e della scoperta del paziente numero 1 del Covid all'ospedale di Codogno. Due accadimenti che hanno portato queste piccole cittadine sulle prime pagine dei giornali, su tutti i siti internet e sulle aperture dei telegiornali di tutta Italia, e non solo.
E se questi due eventi fossero in qualche modo collegati?
E' ciò che immagina lo scrittore Lauro Zanchi (cremasco doc, quindi "testimonial" delle terre toccate dal passaggio della Storia in questa strana coincidenza di fatti). Zanchi, con la sua seconda opera, dopo l'esordio con La dissolvenza della memoria (qui la nostra recensione), torna a quei momenti che hanno fatto precipitare nell'incubo del Coronavirus quella manciata di paesi nei dintorni di Codogno, giusto un po' prima che la paura si espandesse in tutta Italia,
Ma partiamo con la cronaca. Il 6 febbraio 2020, alle 5.34 del mattino, il treno Frecciarossa 9595, partito da Milano Centrale e diretto a Salerno con 33 persone a bordo, all'altezza di Livraga deraglia, alla velocità di 298 chilometri orari, a causa del posizionamento errato di un deviatoio. La prima carrozza si stacca e si schianta contro un edificio di servizio provocando, purtroppo, la morte dei due macchinisti. Nel resto del treno altri 31 saranno i feriti, trasportati nei vari ospedali del territorio.
La solitudine delle vite nascoste si apre proprio con questa tragedia, mentre il lettore fa la conoscenza del primo personaggio del romanzo, Nicola, ingegnere milanese, da poco tornato dalla Cina, che ha preso il Frecciarossa a Milano per andare a un incontro al ministero dell'Ambiente. Da qualche giorno Nicola è affetto da un fastidioso raffreddore, ma, si sa, chi è sempre in giro per lavoro è soggetto a malanni di stagione. Salito al calduccio, Nicola si accomoda sulla poltrona, chiude gli occhi, si rilassa e cade in un sonno profondo. Dal quale di lì a poco, lo avrebbe strappato un tremendo scossone del treno.
Antonia, alle 5.55 dello stesso mattino, sta per finire il turno come medico di guardia all'ospedale di Codogno. Già pregusta il ritorno a casa, quando la caposala l'avvisa che a causa di un'emergenza nessuno può lasciare l'ospedale, pare che un treno sia uscito dai binari. Nel giro di pochi minuti il cielo del mattino è squarciato dal blu delle ambulanze che si precipitano sul luogo del disastro.
"Il sei febbraio 2020 è un giorno che queste terre e questo ospedale ricorderanno a vita", dice fra sé la dottoressa Bonetti. (p. 22)
Quanto si sbaglia Antonia... Nemmeno il tempo che questo evento passi in secondo piano nei titoli dei tg che il 20 febbraio 2020 una giovane dottoressa dello stesso ospedale ha un'intuizione: provare, contro il protocollo allora vigente, a sottoporre a tampone antiCovid un giovane paziente ricoverato all'ospedale di Codogno con una rara polmonite bilaterale interstiziale, refrattaria a qualsiasi cura. Il risultato del tampone è positivo. E il resto è storia.
Lauro Zanchi ha dato altri nomi e altri volti alle persone vere, trasportando la realtà nella narrazione. E ipotizzando (puro topos narrativo) un legame tra i due eventi, il deragliamento del Frecciarossa e il dilagare del Covid. Quale? Al lettore la scoperta.
Il resto del romanzo è la raffigurazione di quei giorni sospesi che hanno stretto in una morsa il nostro territorio (momenti durissimi che io, da cremonese, ricordo con dolore), tra zone rosse, divieti di uscire di casa, pattuglie agli angoli di strada, paure di contatto, ricostruzione di spostamenti e incontri, notizie di chiusure dei territori, treni stracolmi di gente in fuga, supermercati presi d'assalto, mascherine introvabili... e primi decessi da Covid. Un prequel, se così si può dire, di quanto poi toccato con mano da tutti, chi prima chi dopo, nelle drammatiche fasi di espansione del Covid-19.
Il resto del romanzo è la raffigurazione di quei giorni sospesi che hanno stretto in una morsa il nostro territorio (momenti durissimi che io, da cremonese, ricordo con dolore), tra zone rosse, divieti di uscire di casa, pattuglie agli angoli di strada, paure di contatto, ricostruzione di spostamenti e incontri, notizie di chiusure dei territori, treni stracolmi di gente in fuga, supermercati presi d'assalto, mascherine introvabili... e primi decessi da Covid. Un prequel, se così si può dire, di quanto poi toccato con mano da tutti, chi prima chi dopo, nelle drammatiche fasi di espansione del Covid-19.
Il romanzo di Zanchi è, probabilmente, uno dei primi tentativi, e forse il primo in assoluto, di rendere in forma narrativa quel periodo, così vicino e non ancora definitivamente consegnato alla Storia. Soltanto chi in quel momento era presente in quei luoghi poteva rendere in maniera così plastica e realistica ciò che questi paesi hanno passato in quei primi giorni. Giorni in cui nulla si sapeva, nulla si poteva prevedere e tutto poteva accadere.
L'ospedale di Crema è al collasso. Si sentono solo sirene d'ambulanze provenienti da ogni parte della Lombardia. E le campane a morto, da ogni chiesa del cremasco (p.212)
Antonia, medico con la passione per la scrittura; Beatrice, giovane dottoressa determinata a salvare la vita a Filippo, vigile del fuoco volontario, entrato in terapia intensiva per una polmonite gravissima; la farmacista Ilaria che attende invano, al bar della colazione ogni lunedì, quel ragazzo che le aveva lanciato qualche timido sguardo (ignara che fosse lo stesso Filippo in lotta con quel terribile e nuovo virus); Alberto, manager, incredulo e infastidito dalle restrizioni imposte agli abitanti dei paesi intorno a Codogno; Cico, che adora correre, terrorizzato da una febbre fastidiosa (vuoi mai che a quel meeting di lavoro ci fosse qualcuno con quel virus?). Sono questi i protagonisti del romanzo. Insieme ai medici e agli infermieri che, improvvisamente, si sono visti arrivare addosso una bomba atomica, senza preavviso e senza rimedio. Vite che si incrociano, persone che non avrebbero mai immaginato che un incontro casuale, lo sfiorarsi su un mezzo pubblico, l'abbraccio a un amico avrebbero potuto avere conseguenze devastanti. Eppure, nel flipper della vita, le persone, come le palline lanciate in alto, si toccano, si incontrano, si parlano, si baciano. Il lettore si trova a riflettere su come gesti banalissimi, parte della vita di tutti, un abbraccio, un bacio, una stretta di mano, un caffè con i colleghi, possano invece cambiare di significato. Ed essere proibiti, o fortemente sconsigliati. E in seguito quanto possano mancare...
Non ci sono cali di tensione nel romanzo, che conduce il lettore, ormai onnisciente, a rivedere come in un film, gli ultimi giorni, le ultime ore di normalità prima del diluvio.
La scrittura di Zanchi, rapida, incisiva e accorata, muove questi personaggi con la forza dei dialoghi, intensi e mai banali, che restituiscono appieno la tensione, l'incredulità e la paura del momento. Ma insieme a questi sentimenti di umano sgomento, i protagonisti del libro si fanno portatori di quella forza, di quella determinazione, di quel coraggio che hanno aiutato a superare i primi terribili momenti. Quando sembrava di lottare contro un nemico invisibile, a mani nude contro un'ondata travolgente.
Un'epidemia non la fermi con le mani, e non la fermi chiudendo dieci comuni del lodigiano e lasciando aperto il resto del mondo. Sa che è questione di giorni, forse di ore. Ripensa a Beatrice, al suo coraggio, alla determinazione di quella donna capace di assumersi enormi responsabilità pur di non darla vinta al virus infame. Se dovesse sbagliare, nessuno glielo perdonerà. (p. 169)
"Vinciamo noi!" scrive la dottoressa Beatrice sul biglietto attaccato al letto del paziente numero 1. E ora, quasi tre anni dopo, forse possiamo davvero pensare che sia così...
La solitudine delle vite nascoste è un libro duro, doloroso, niente affatto consolatorio, pagina dopo pagina diventa un percorso, quasi un passaggio catartico: riattraversando il dolore si prova a uscirne. La sofferenza dei protagonisti diventa memoria e patrimonio collettivo, sentire comune. Perché il Covid ha preso a pugni tutti noi. Le lunghe giornate di lockdown, il poter sentire i propri anziani genitori solo per telefono, a scanso che una visita per amore si trasformi in un contagio mortale, i "ne usciremo tutti migliori" (ma quando mai?), i bollettini con i numeri dei morti, dei contagiati e dei guariti, il silenzio delle città vuote, l'ululare delle ambulanze, il papa sofferente che cammina, stanco, in una piazza San Pietro bagnata di pioggia e desolata,... Tutto questo ormai fa parte di noi, della nostra storia, il libro ce lo ricorda con il racconto, forte, dei primi giorni.
La solitudine delle vite nascoste è un libro duro, doloroso, niente affatto consolatorio, pagina dopo pagina diventa un percorso, quasi un passaggio catartico: riattraversando il dolore si prova a uscirne. La sofferenza dei protagonisti diventa memoria e patrimonio collettivo, sentire comune. Perché il Covid ha preso a pugni tutti noi. Le lunghe giornate di lockdown, il poter sentire i propri anziani genitori solo per telefono, a scanso che una visita per amore si trasformi in un contagio mortale, i "ne usciremo tutti migliori" (ma quando mai?), i bollettini con i numeri dei morti, dei contagiati e dei guariti, il silenzio delle città vuote, l'ululare delle ambulanze, il papa sofferente che cammina, stanco, in una piazza San Pietro bagnata di pioggia e desolata,... Tutto questo ormai fa parte di noi, della nostra storia, il libro ce lo ricorda con il racconto, forte, dei primi giorni.
L'unico dubbio è: non sarà un po' troppo presto? La lettura di queste pagine, è innegabile, rimesta dentro di noi ricordi dolorosi ancora troppo freschi, ci costringe a fare i conti subito con ciò che ancora ci fa soffrire. Il confronto a volte può sopraffare e spingere a posare sul comodino il libro per chiudere gli occhi, riprendere fiato e riaprirli su una realtà finalmente diversa. Zanchi ha sentito dentro di sé l'urgenza di raccontare subito, di provare a rendere narrazione la realtà, senza lasciare troppo spazio al tempo. E così La solitudine delle vite nascoste diventa un monito a non dimenticare.
Sabrina Miglio
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