Illustrate da Quentin Blake
L’ippocampo, 2022
Traduzione di Silvia Bre
pp.
120
€ 29,90
Già
Esopo e Fedro ci insegnavano che il territorio
della favola è l’universale. Lo stesso aggancio a una riflessione
esistenziale senza tempo si ritrova in quelle di La Fontaine, che riprende a piene mani i materiali
dall’antico ma li rende, pur nell’ambito talvolta del noto (si pensi a
testi conosciuti dai bambini di ogni tempo come “La Cicala e la Formica”, “Il
Corvo e la Volpe”, o “La Gallina dalle Uova d’Oro”), qualcosa di sempre nuovo, che ha il sentore dell’inaudito. Le sue
narrazioni poetiche (e che gioia sarebbe poterle leggere in lingua originale,
nonostante l’elegante traduzione di Silvia Bre) sono dotate di una lapidaria incisività, che Quentin Blake
fa diventare anche la cifra costitutiva delle sue illustrazioni.
Quando leggo un testo letterario e provo a pensare a qualche immagine che lo riassuma, cerco di individuare “il momento” da fissare nell’illustrazione. Tutte le Favole mi sono venute incontro: durante la lettura c’è sempre un passaggio che si impone sugli altri e il soggetto del disegno si manifesta nitidamente. Cosa può esserci di più formidabile? (p. 10)
I tratti rapidissimi, espressivi,
con cui vengono tratteggiati umani e animali danno corpo al testo, ne
potenziano l’efficacia, soprattutto nel caso in cui la morale sia satira sferzante rivolta alla società:
ai parolai che sproloquiano quando è il momento di agire (come ne “Il Bimbetto
e il Maestro di scuola”), agli ignoranti e ai materialisti che non sanno
cogliere quali siano le cose veramente preziose (“Il Gallo e la Perla”), ai
poeti tracotanti che perdono il senso della misura (“La Montagna che
partorisce”), a giuristi e medici che si preoccupano più di aver ragione che di
risolver problemi (“I Medici”, o “L’Ostrica e i Litiganti”), agli uomini che
vogliono cambiare la natura (“La Gatta trasformata in Donna”) e alle donne che
vogliono cambiare gli uomini (“L’Uomo di mezza età e le due Spasimanti”)… gli
esempi sarebbero molti di più, ma non si vuole togliere al lettore il piacere dell’esplorazione, della scoperta
di quel colpo di coda finale con cui
le Favole spiazzano tante
aspettative, o disvelano significati inizialmente inavvertiti.
È
un incontro felice quello di Quentin
Blake e La Fontaine, perché ciascuno dei due, ognuno con il proprio
linguaggio, guarda al mondo con pragmatismo,
sagacia e acume critico, e spesso li coniuga al sorriso. I vizi dell’essere
umano vengono delineati e mai giustificati, ma si cerca quando possibile di
contrapporli a un modello positivo, che può essere preso come contrappunto,
esempio da seguire. In alcuni casi, si guarda invece con bonomia a ciò che è connaturato e inestirpabile,
come l’amore per la vita, il desiderio del bene, la speranza nel futuro, anche
quando sembra poco fondata (anche perché poi magari ci pensa la sorte a
rimescolare le carte, come ne “Il Vecchio e i tre ragazzi”). E se è la
collettività intera a sbagliare, a premiare comportamenti errati, allora la denuncia si fa palese, monito
intramontabile e non ha bisogno di correttivi, o attenuanti.
Nella
prefazione, Blake racconta del suo avvicinamento alle Favole e della sua convinzione che La Fontaine “non sia uno scrittore per l’infanzia” (p.
8). Quello che colpisce però ancora di più, lui come il lettore, è proprio come
testi scritti in relazione alla società seicentesca risultino perfettamente
calzanti anche al giorno d’oggi. Questo, oltre alla straordinaria fattura del volume,
è il principale motivo per cui Le Favole di La Fontaine illustrate da Quentin
Blake possono essere un riuscito regalo con cui allietare le vacanze
natalizie di adulti e piccini, che possono trovare nel confronto condiviso
sulle narrazioni e i messaggi che vogliono trasmettere un terreno fertile di
scambio e crescita.
Carolina
Pernigo
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