Il processo fuori scena: gli abissi dell'ossessione ne "Il dubbio" di Matsumoto Seichō




Il dubbio
di Matsumoto Seichō
Adelphi, 2022

Traduzione di Gala Maria Follaco

pp. 133 
€ 16,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

 
Bastano poche pagine per chiarire il quadro processuale in cui è coinvolta Onizuka Kumako: donna volitiva, collerica e umorale, nessuno ha dubbi sulla sua colpevolezza, un po’ perché nel suo nome riecheggia quello del demonio, un po’ perché la sua storia sembra un copione già scritto. Ex intrattenitrice di Tokyo, Onizuka ha sedotto un uomo ricco e molto più anziano, l’ha indotto a sposarla e ha stipulato una cospicua assicurazione sulla vita di lui. Dopo circa sei mesi, in un incidente dalle dinamiche che sembrano fin troppo chiare, la macchina è finita in mare e l’uomo è annegato. Da allora la donna si professa innocente, ma la stampa, aizzata ad arte da un giornalista ambizioso, Akitani Moichi, ricostruisce con minuzia uno scenario di delitto (“Se il giudice non aveva ancora emesso una sentenza, di certo il suo giornale l’aveva già condannata per l’omicidio del marito”, p. 57), e l’opinione pubblica ha già deciso (“Gli abitanti della città di T. concordavano tutti con la versione della procura”, p. 46).
Neppure il suo avvocato, del resto, nonostante le sue dichiarazioni, pare certo delle proprie possibilità di vittoria, e forse anche a questo pensiero inconfessato si deve il tentativo di coinvolgere un famoso avvocato penalista di Tokyo ad affiancarlo nella difesa.
La trama, come sempre nell’opera di Matsumoto Seichō, è rarefatta: tutta l’azione si colloca prima dell’inizio della narrazione. Ciò che conta non sono tanto gli eventi, quando il contraccolpo che suscitano sui personaggi coinvolti. Procedendo con la lettura, si iniziano anche ad avere dubbi su chi sia il vero protagonista: è davvero Onizuka? La donna, detenuta nel carcere di T., non compare mai in scena, se non attraverso le parole – già gravate di pregiudizio – di chi la circonda. E a dominare la narrazione è sempre di più l’ossessione del giornalista Akitani, ansioso che la donna venga condannata per paura della sua possibile vendetta in caso di assoluzione. L’immagine della donna, deformata dalla sua paura, si presenta sempre più spaventosa ai suoi incubi:
Akitani li fissava assente. I suoi occhi immobili vedevano soltanto Onizuka Kumako che gli piombava in casa […]. Era una donna enorme. Il suo bel viso, quando l’espressione si faceva severa, assumeva un’aria spaventosa. La vedeva voltarsi e indicare qualcosa con il mento ai due yakuza, che subito si alzavano. Ciascuno brandiva una spada di legno e la casa diventava un campo di battaglia. Le grida della bambina che correva in giardino si trasformarono nelle urla disperate dell’intera famiglia che cercava di fuggire. Il tintinnio di stoviglie che produceva sua moglie in cucina divenne il rumore della devastazione, di masserizie e ceramiche che andavano in frantumi. (p. 72-73)
Non aiuta il fatto che l’inchiesta si protragga per tre anni e che un nuovo, inaspettatamente abile, avvocato d’ufficio rischi di rovesciare ancora una volta la prospettiva sul caso.
Matsumoto Seichō, in questo breve romanzo uscito per la prima volta all’inizio degli anni ‘80, mette in campo tutte le ambiguità di una vicenda processuale che è diventata un caso mediatico, in cui la realtà non vale mai quanto l’opinione comune e la storia che, mormorio dopo mormorio, edizione speciale dopo edizione speciale, vi si ricama intorno.
Per il pubblico poco conta la ricostruzione precisa degli eventi: Onizuka è una donna dal carattere terribile e dai subitanei accessi di rabbia, per nulla accomodante e a tratti schiettamente violenta; una donna che incarna poco il modello del femminile virtuoso e raccomandabile, e in quanto tale è colpevole a prescindere, e deve pertanto essere condannata, rimossa da quella società di cui rischia, con il suo solo esistere, di compromettere gli equilibri. Per lo stesso meccanismo d’infamia, rischiano peraltro di cadere con lei tutti coloro che la difendono. E risulta particolarmente straniante che, per l’intera durata del volume, a difendere un’istanza di verità che vada oltre la superficialità della prima impressione sia proprio lei, la “demonessa”, che, al di là della sua implicazione (ancora dubbia) nella morte del marito, certo si è macchiata in precedenza di diversi reati riconosciuti:
La sua è una convinzione vicina alla fede religiosa. […] A mio parere, Onizuka Kumako ritiene che, a dispetto dell’idea che la corte e il giudice potrebbero farsi di lei, di fronte alla verità costoro non potranno far altro che accettarla. Lei ha fede in una divinità che porta il nome di Verità. […] La verità è una sola e nessuno può profanarla. Sacra e inviolabile, è una divinità assoluta. Questo è ciò in cui lei crede, secondo me. (p. 88, 89)
Mano a mano che nel racconto il ritmo si fa più teso e si inizia a chiarire lo scenario dei fatti, aumentano le domande indirettamente sollevate nel lettore: è in lui, prima che nei personaggi coinvolti, che inizia a serpeggiare il dubbio, quello che aiuta quella diversione della trama e delle aspettative in cui Seichō è un maestro. A fungere da fondale, ma anche da motore scatenante dell’azione, sono le contraddizioni e i non detti della società giapponese, ancora una volta messa a nudo e rivelata, non però frontalmente, ma di taglio, attraverso spiragli che rivelano anche gli abissi oscuri della meschinità umana.

 
Carolina Pernigo