La filosofia più aulica e lo scopo dell'arte: il fantasy più famoso di Naomi Mitchison per Fazi Editore


Il Re del Grano e la Regina della Primavera
di Naomi Mitchison
Fazi Editore, novembre 2022

Traduzione di Sabina Terziani

pp. 790
€ 20 (cartaceo)
€ 9,90 (e-book)


Naomi Mitchison è stata una scrittrice britannica, nata nel 1897 e scomparsa nel 1999. Facendo un rapido calcolo, si può dire che sia morta all'età di 101 anni. Quando ne aveva appena trentaquattro scrisse questo romanzo dal titolo "The Corn King and the Spring Queen", inserito nella collana Lainya della casa editrice Fazi che ce lo restituisce tradotto da Sabina Terziani come "Il Re del Grano e la Regina della Primavera".
Se pensate che sia un classicone fantasy alla Tolkien (di cui, tra l'altro, la Mitchison era molto amica al punto che si dice abbia fatto da correttrice di bozze a "La compagnia dell'Anello") vi sbagliate, così come mi sono sbagliata io: la trama potrebbe ingannare, si tratta dopotutto di un fantasy di fatto, ma non di quelli a cui siamo abituati. Può essere d'aiuto pensare che sia stato scritto nel 1931 e quindi parecchi decenni fa, soprattutto in considerazione del fatto che è un testo sì di fiction storica, ma anche profondamente filosofico e politico.
Ci troviamo nella Grecia ellenistica (circa nel 200 a.C.), in un luogo immaginario e barbaro chiamato Marob, un regno piccolissimo sulle rive del Mar Nero in cui esiste la magia. Protagonisti, insieme a moltissimi altri personaggi corollari, sono Erif Der, maga e Regina della Primavera, e Tarrik, Capo di Marob e Re del Grano. Loro compito è proteggere il regno e l'avvicendarsi delle stagioni, favorendone ricchezza e fecondità. Da subito il primo conflitto: Erif odia Tarrik e vuole ucciderlo. Non ci riuscirà ovviamente, ma ne cadrà innamorata, essendo anche ricambiata. Il viaggio, nel vero senso della parola, dei due non si fermerà però solo ai confini natii, ma prenderà piede anche a Sparta, a Delfi e nell'Egitto tolemaico. Ciò che cercheranno sarà un senso di vita, la bellezza, modi di fare arte, modi di governare saggi e illuminati, il significato di etica collettiva contrapposta al puro individualismo. Una ricerca fortemente filosofica, influenzata da un personaggio chiave di nome Sfero, in cui reale e non reale si intrecceranno indissolubilmente.
Varie saranno le crisi esistenziali sia a carico di Erif che di Tarrik, la prima alle prese con la scoperta che la propria magia non funziona sui razionali e stoici greci e con l'esplorazione di se stessa in quanto donna, madre e regina, il secondo alla prese con la ricerca di un senso più aulico della vita, con la sua esplorazione nello stoicismo, il quale non farà altro che indebolirlo e fargli capire che nella sua Marob, dove tutto è interdipendente da tutto, non è possibile portare avanti le idee filosofiche dell'autosufficienza. Sfero insisterà per tutto il romanzo sul necessario uso della ragione, Tarrik capirà che la ragione lo allontana dalla sua natura magica.
Strano come ora lo considerassero chiaramente il Capo dal punto di vista dei suoi poteri di capo dell'esercito e del Consiglio, e non come Re del Grano, dimenticando completamente i problemi e le sfortune che erano accadute alla sua parte magica  e divina. A Sparta non c'erano dèi, comunque non quelli che agivano sulla realtà, ma ombre solo vagamente ricordate, debolmente e formalmente riconosciute. Se c'era qualcos'altro, il popolo di Marob non lo percepiva. (p. 163)
Importantissimo poi sarà l'incontro dei due con Re Cleomene di Sparta e con le sue idee rivoluzionarie per costruire una città-stato diversa, dedita alla Vita Buona, e lontana dallo sfarzo e dalle inutili frivolezze. Lo scontro tra i due Re, a livello psicologico, sarà di fondamentale importanza per l'economia del romanzo.
Vagamente hegeliana, la narrazione (anche fortemente politica, perché di politica si tratta quando degli uomini importanti parlano del proprio Stato e del bene del proprio popolo) mette al primo posto la conoscenza di sé, la coscienza dell'essere umano come uomo e come veicolo per incanalare la divinità. 
Si tratta di un testo apparentemente di facile lettura perché di primo acchito pare un fantasy frivolo e piacevole: in realtà, è un testo che va letto con attenzione e che presenta anche delle parti di difficile ritmo e scorrevolezza, soprattutto quelle in riferimento alle lunghe digressioni sulla religione, sull'individualità, sulla divinità, sull'arte che può trasformare la vita del singolo in qualcosa di universale e per sempre presente. 
Allora è un testo prettamente filosofico? Nemmeno. Si può dire sia un ibrido, neanche troppo preciso nella descrizione di elementi storici realmente esistiti (come fa notare la traduttrice stessa, nelle descrizioni di oggetti e vestiti della vita quotidiana l'autrice non è volutamente accorta) che interseca la filosofia alla cognizione dell'arte e alla dicotomia Io/Collettività.
La trama è avvincente, tantissime saranno le avventure di Erif e Tarrik e tantissimi i personaggi ben definiti e magnetici, come Fililla, una ragazzina di Sparta tra le mie preferite (insieme al fratello di Erif, Berris).
Lo consiglio a chi vuole approcciarsi a un fantasy di spessore, in stile Philip Pullman e Patrick Rothfuss.

Deborah D'Addetta