Appugrundrisse - Tornare a Napoli
di Paolo Mossetti
minimum fax, ottobre 2022
minimum fax, ottobre 2022
pp. 278
€ 16 (cartaceo)
€ 16 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)
Vado dritta al sodo: questo è uno dei migliori libri letti negli ultimi mesi. Si rivolge a tutti? No. Si tratta di un racconto politico. No, non solo. Un romanzo d'inchiesta? Neanche. Un diario? Troppo semplicistico. Forse sarebbe corretto dire che questo libro del napoletanissimo Paolo Mossetti, edito da minimum fax e dal titolo quasi impronunciabile, sia tutto questo in un unico contenitore.
Innegabile il fatto che sia dedicato e si rivolga soprattutto ai napoletani, e benché io non lo sia, ho potuto coglierne le sfumature solo perché vivo a Napoli da molti anni.
Innegabile il fatto che sia dedicato e si rivolga soprattutto ai napoletani, e benché io non lo sia, ho potuto coglierne le sfumature solo perché vivo a Napoli da molti anni.
Il libro di Mossetti prende come spunto lo scoppio della pandemia, le sue conseguenze e i suoi obbrobri per porsi delle domande esistenziali riguardo la politica, lo sviluppo urbanistico, l'evolversi sociale di Napoli, toccando nervi parecchio scoperti come la presenza della camorra, le successioni amministrative a volte inconcludenti, l'assalto dei turisti e la sempre eterna "capacità di arrangiarsi" della classe medio-bassa che ha portato, anzi, che sta portando, la città a diventare caricatura di se stessa.
Io mi sono trasferita a Napoli nel 2007, allo scoppio della seconda ondata dell'emergenza rifiuti, che ovviamente Mossetti tratta nel libro. Non mi era chiaro dove fossi finita esattamente e per innamorarmi della città ci ho messo un po'. La stessa condizione di straniamento ce la descrive l'autore, il quale, tornato a Napoli a causa della pandemia (utilizza un termine ricorrente nel libro per definire quelli come lui: i "ritornanti") si ritrova ad affrontare un luogo familiare eppure alieno, sempre uguale ma lontanissimo dai propri ricordi, o meglio, dai propri desideri. La questione del capitalismo è di primaria importanza, che si parli di politica, di immondizia, di camorra, di food o di abusi edilizi, e forse questo riprende quella parte finale di titolo "Grundrisse", quaderni di critica d'economia politica di Marx scritti tra il 1857 e il 1858.
Mossetti torna anche indietro negli anni '80, ai tempi del grande terremoto, ci spiega gli intrighi politici della giunta Bassolino, poi Iervolino, con una grande parentesi sul mandato di De Magistris. A prescindere dai meriti o dai demeriti, e qui non entro nel dettaglio perché si può essere d'accordo o meno con le idee politiche di Mossetti, ciò che emerge è un'incapacità di governare una città classicamente ingovernabile, una città aberrante.
Il centro si è fatto periferia, è una delle tante litanie che si sentono più spesso. Perché il centro sarebbe stato contagiato dagli stessi mali di ciò che gli sta intorno: carenza di servizi, maleducazione, abbandono, trivialità. La periferia del fuori avrebbe incontrato, amalgamandosi con essa, la periferia del dentro [...] a simboleggiare la carica eversiva di un luogo immusealizzabile. (p. 28)
Uno dei temi più interessanti trattati difatti è la questione della gentrificazione, ché se la città non può diventare museo, allora che diventi un luna park, senza giostre, ma con una fila sterminata di negozi di souvenir da quattro soldi, di friggitorie, di venditori di cornetti portafortuna, di pezzi di cielo ormai adornati ovunque con bandierine e panni stesi finti (sì, perché Napoli vende come città del folklore e della napoletanità verace. Che poi qualcuno deve venirmelo a spiegare perché uno è più napoletano se stende le mutande sulle teste dei turisti).
Il regista Matteo Garrone ha girato uno spot con Kit Harington ed Emilia Clarke in una Napoli festante, in cui donne coi bigodini e pazzerelli improvvisavano balli e spaghettate per strada [...] La città un tempo malata è ora diventata un brand. (p. 70)
Napoli è diventata un brand, è vero. Mi capita sempre più spesso di parlare, per considerazioni di natura affettiva o lavorativa, con persone straniere che dicono Napoli e dicono "cibo", oppure, negli ultimi tre o quattro anni, Sanità. Ora tutti vogliono andare a Sanità, il rione è diventato il nuovo place-to-be. Mossetti non critica però la nuova faccia della città, sempre meglio che andare in onda con servizi che mostravano solo cumuli e cumuli di immondizia per le strade, ma critica il metodo e il risultato. E su questi due punti mi trova d'accordo. Particolarmente interessanti sono le sue pagine dedicate allo stomaco, a questa furia omicida che ha messo in scacco matto la città, per cui ormai Napoli è diventata la capitale del food d'Italia. Come pure illuminante il capitolo dedicato a Materdei, un quartiere sempre un po' di passaggio, e all'evoluzione dei suoi abusi edilizi tirati a lucido per costruirci b&b o case vacanze, e il capitolo chiamato "Richiami" di cui praticamente ho sottolineato ogni parola. Mossetti si propone persino di indicare tre soluzione più o meno concrete per affrontare l'appucundria contemporanea (e qui, il primo pezzo del titolo, ché il libro è fortemente malinconico e amaro).
Se l'appucundria è un sintomo e non una malattia, da dove nasce l'inquietudine? Forse, più di ogni altra cosa, dalla crescente distanza, allo scarto tra la vita che ci era stata promessa e quella che abbiamo. (p. 243)
"Appugrundrisse" è un libro che forse il napoletano un po' più impegnato dovrebbe leggere a prescindere dalla fede politica. Il testo è schietto, colloquiale, sincero. Dipinge la città in modo onesto, a differenza di altri testi su Napoli che si soffermano sempre e solo sulla definizione di "città del sole, città del mare, ammuina" eccetera e che, onestamente, ha fatto venire la nausea.
Napoli è ben più di questo e per capirne davvero il passato e i passi futuri bisogna fare ricerca, com'è stata fatta per questo testo.
Napoli è ben più di questo e per capirne davvero il passato e i passi futuri bisogna fare ricerca, com'è stata fatta per questo testo.
Deborah D'Addetta