di Claire Keegan
Einaudi, novembre 2022
Traduzione di Monica Pareschi
pp. 104
€ 13 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Non sono affatto piccole cose da nulla quelle evocate da Claire Keegan in questo romanzo breve, da poco in libreria per Einaudi nella traduzione di Monica Pareschi. Quella che ho trovato tra le pagine è una storia stratificata dietro l’apparente semplicità della trama e dei personaggi, in cui l’invenzione letteraria si mescola abilmente alla realtà. Ambientata in un piccolo borgo irlandese nelle settimane che precedono il Natale del 1985, è una storia senza tempo, acclamata da pubblico e critica internazionale per l’intensità dei sentimenti evocati e, aggiungo, la capacità di indagare una pagina molto controversa della storia nazionale.
Dietro lo scorrere regolare della vita quotidiana, infatti, si cela una realtà di abusi e maltrattamenti istituzionalizzati, che timore e consuetudine tendono a ignorare: per quieto vivere si finge di non notare certi segnali e ciò che avviene dietro l’alto muro del convento gestito dalle suore del Buon Pastore.
Tutto intorno la vita è quella di un paese qualunque della campagna irlandese di fine Novecento, tra lavoro, piccoli guai domestici e innocui pettegolezzi, il chiacchiericcio e la messa domenicale; basta osservare meglio però e si notano le file sempre più lunghe per il sussidio di disoccupazione, gli echi dei tumulti sociali che stanno sconvolgendo l’Irlanda.
Sarebbe stata la cosa più facile del mondo perdere tutto, Furlong lo sapeva. Anche se non andava chissà dove, un po’ si spostava anche lui, e di disgraziati ne aveva visti parecchi in giro per la città e sulle strade di campagna. Le file per il sussidio di disoccupazione erano sempre più lunghe […]. (p. 14)
Ogni cosa è osservata e filtrata dallo sguardo del protagonista, Bill Furlong, commerciante di carbone e legname: un uomo solido, una brava persona che si è fatto strada onestamente e contando solo sulle proprie forze, una moglie e cinque figlie da mantenere. Cresciuto da una madre non sposata, non ha mai conosciuto il padre, di cui ignora l’identità, una mancanza che ha pesato molto sulla sua infanzia e l’uomo che sarebbe diventato. Ma tra le stanze eleganti della signora presso cui sua madre era servizio, Bill è stato bambino e poi ragazzo rispettoso, in un certo modo accudito e cresciuto da chi aveva avuto cuore di proteggere la giovane madre da un destino tutt’altro che facile per coloro che si trovavano nella sua posizione.
È da adulto, soprattutto in quelle settimane di dicembre e in seguito a un evento che scombina l’equilibrio precario su cui si muove, che Bill riflette sul proprio passato, sul significato di certi gesti, sulla premura della signora Wilson.
Interrogarsi su certe questioni significa fare i conti con il dolore del passato, ma anche abbattere il muro di omertà vicino cui fino a quel momento tutti loro hanno vissuto.
In meno di cento pagine Keegan racconta tutte queste “piccole cose da nulla”: la quotidianità, la famiglia, gli interrogativi che talvolta non ci danno pace, il disagio di fronte alla sofferenza.
Ma è proprio lì che il meccanismo della vita che Furlong ha condotto fino a quel momento si inceppa ed è sempre lì che apre il dialogo con il lettore:
[…] si ritrovò a domandarsi che senso aveva essere vivi se non ci si aiutava l’un l’altro. Era possibile tirare avanti per anni, decenni, una vita intera senza avere per una volta il coraggio di andare contro le cose com’erano e continuare a dirsi cristiani, a guardarsi allo specchio? (p. 89)
Come possiamo definirci brave persone se siamo consapevoli della sofferenza, dell’ingiustizia altrui e non facciamo nulla per cambiare le cose? Bill Furlong è una di queste brave persone, si prende cura della propria famiglia, tratta bene i suoi dipendenti, viene incontro ai clienti in difficoltà, conosce la maldicenza e la fatica di farsi strada senza un nome su cui appoggiarsi; eppure anche lui si è voltato dall’altra parte molte volte, ha scelto di non vedere, si è dato risposte comode.
Quanti di noi sono come Bill? Siamo brave persone, abbiamo a cuore coloro che amiamo, magari dimostriamo il nostro sostegno a questioni ideologiche che riteniamo giuste; ma poi, nella pratica, nel quotidiano, quali ingiustizie scegliamo di ignorare? È qui che si innesta la riflessione più interessante di questo piccolo, potente, libro: la necessità di prendere posizione, di agire, anche quando il resto della comunità non lo fa, anche quando è rischioso. Qualcuno, molti anni prima, ha avuto il coraggio di aiutare sua madre e solo ora si rende conto fino a che punto l’abbia salvata, quale direzione abbia dato alla vita della madre e con lei del figlio.
Non è una favola di Natale e nemmeno a mio avviso un romanzo dagli echi dickensiani come in qualche occasione mi è capitato di leggere: è una storia minuscola ma potente che nello spazio breve entro cui si sviluppa riesce a instaurare un dialogo profondo col lettore, ponendo interrogativi con cui non è facile confrontarsi e illuminando una pagina oscura del passato recente.
Una piccola cosa da nulla insomma.
Di Debora Lambruschini