di Silvia Bottani
SEM, gennaio 2023
pp. 240
€ 18,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
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Cosa definisce la storia della nostra vita? In prima battuta potremmo rispondere: le emozioni che si susseguono l’un l’altra, gli incontri, i profumi, le sorprese, le illusioni, tutti gli eventi che impastano i nostri giorni e tessono la trama del vissuto. A pensarci bene, però, quando pensiamo a un evento della nostra vita facciamo una cosa molto semplice: raccontiamo una storia. Che sia ad altri o a noi stessi, non cambia la sostanza. La nostra vita vissuta coincide con dei ricordi, la memoria è sorella della narrativa, l’intera esistenza ha a che fare con una storia e la chiave di lettura che si sceglie per raccontarla è decisiva per il bilancio finale di quello che è stato. Il titolo del nuovo romanzo di Silvia Bottani, Un altro finale per la nostra storia, suggerisce qualcosa in tal senso. Se ogni vita è una storia, viene meno il senso di ineluttabilità per cui l’esistenza ci cade addosso contro il nostro volere, e allora, forse, ci si può permettere il lusso di rivedere il finale. O magari ritoccare l’intera sceneggiatura, come fa il protagonista di questo bellissimo romanzo.
Mauro è un uomo di mezza età con una grande dote: la memoria. I capitoli del libro rappresentano ciascuno una delle prove di memoria che il protagonista sta affrontando in un’importante gara alla quale partecipano atleti mentali provenienti da tutto il mondo. Per affrontare ogni prova, Mauro utilizza un metodo ben preciso: associa gli elementi da ricordare ad alcuni episodi della sua vita. Questo delicato esercizio mentale ruota attorno a una figura ben precisa, quella di Bianca, la sorella del suo migliore amico Fabio scomparso misteriosamente ancora adolescente. Lo svolgimento della gara si intreccia così alle vicende di Mauro e Bianca, che dopo anni si ritrovano per cercare di fare chiarezza su quanto accaduto a Fabio. Scopriranno presto che ciò che stanno cercando non è la soltanto la verità su Fabio, quanto i frammenti di sé andati perduti nel marasma della memoria, quello straordinario meccanismo che deforma per illudere e inganna per proteggere. Il rapporto con Bianca, o quello che ne rimane nella memoria stupefacente e insieme labile di Mauro, è il biglietto per un viaggio caotico dai contorni evanescenti, al termine del quale emerge la possibilità di una vita diversa che forse non è ancora tardi per realizzare.
A rendere prezioso e avvincente questo viaggio è la straordinaria, lucida esattezza con la quale vengono definiti i personaggi, in primis il protagonista. Mauro, narratore in prima persona, non si fa scrupoli ad ammettere di aver sempre vissuto nelle pieghe della propria vita, in un processo di progressivo rimpicciolimento volto a ridurre al minimo le possibilità di disordine emotivo e pratico:
«Non sopportavo più niente e avevo cominciato a coltivare vaghe idee di fuga, con un atteggiamento capriccioso e insoddisfatto che mi accomunava alla maggior parte dei miei coetanei e che mi faceva sentire banale, privo di orizzonti e destinato a una sempre più papabile maturità disseccata dall’insoddisfazione.» (p. 70).
Con dignitosa lucidità, Mauro racconta la sua esperienza di vita volontariamente dimessa e votata alla malinconia, eppure concepisce anche l’ipotesi di un rovescio della medaglia, un’illuminazione inattesa, un’opportunità. Lo stato di esaltazione provocato dalla presenza di Bianca conduce il protagonista alla conoscenza intuitiva di una verità chiarissima: questa donna è la sua ultima occasione. L’ultima occasione per non rimanere in stasi ma recuperare la tensione e la forza di un sentimento travolgente che lo restituisca a sé stesso, ridurre la distanza tra sé e l’annichilimento, alzare la testa e affermare il proprio essere ed esistere nel mondo.
Nel mezzo, tanti episodi che costituiscono interessanti spunti di riflessione; pensiamo ad esempio all’incontro di Bianca e Mauro con l’eccentrico zio di lei, un uomo con ambigue tendenze esoteriche che ha cercato tutta la vita di superarsi e «lasciare indietro questo io piccino e tremolante che ci appartiene» (p. 148). Lo zio di Bianca, pur non lasciando trapelare alcuna verità sulla scomparsa di Fabio, afferma di interpretarla come un atto di autodeterminazione per sfuggire ai limiti dell’esistenza, una scelta di conoscenza spirituale che poteva trovare compimento soltanto in un atto radicale, come la fuga. A mio parere, è forse il passaggio più illuminante all’interno del libro, dove il dramma della scomparsa non si esaurisce nel lutto e nel mistero, ma acquisisce una connotazione nuova che accoglie anche il conforto. «L’esperienza tragica del mondo contiene in sé la propria consolazione» (p. 143), ed è qualcosa legato alla pace chiara e abissale che segue un grande dolore, una sorta di visione nitida generata dalla sofferenza e destinata però a essere fugace e presto dimenticata. Rimane, tuttavia, un senso di comprensione autentica che, nel caso dello zio, rende il dolore accettabile. Diversa, naturalmente, è la posizione di Bianca, che accusa lo zio di speculazioni assurde riguardo la scomparsa di un ragazzo che aveva solo 17 anni e poca consapevolezza per compiere un percorso del genere.
Al termine del libro le domande sono tante, ma l’aspetto curioso è che viene meno l’interesse per quella che sembrava la questione principale, ossia la scomparsa di Fabio. La mente vaga verso altri orizzonti, dove il confine tra realtà e immaginazione riporta alla domanda posta in apertura di questo articolo: quando ci guardiamo indietro e pensiamo alla storia della nostra vita, di cosa parliamo? Siamo certi che i fatti realmente accaduti meritino di posarsi sul trono dell’oggettività? L’impressione è che Silvia Bottani intenda restituirci un piccolo incoraggiamento. Non si può controllare il corso degli eventi, ma ciascuno di noi può esercitare il potere dell’immaginazione al sicuro nella propria stanza, arredare a proprio piacimento il palazzo della memoria e costruire da sé il finale della propria storia, che è poi l’unico conforto che ci rimane nel momento in cui ce ne andiamo.
Alessia Martoni