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Suore, femminismo e resistenza durante l’occupazione nazista di Roma: l’incredibile storia raccontata da Ritanna Armeni in "Il secondo piano"

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Ritanna Armeni Il secondo Piano


Il secondo piano
di Ritanna Armeni
Ponte alle Grazie, gennaio 2023

pp. 288
€ 16,05 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

Le suore, nell’immaginario collettivo, sembrano essere l’antitesi del femminismo, dell’indipendenza e del coraggio; o almeno era quello che credevo prima di leggere Il secondo piano di Ritanna Armeni, scrittrice, giornalista per «Il Manifesto» e «L'Unità», conduttrice televisiva, un’autrice che si è imposta all’attenzione del grande pubblico raccontando storie di donne poco indagate dalla narrativa tradizionale.

Il secondo piano è ambientato a Roma negli anni Quaranta, una città scissa in modo drammatico tra coloro che aspettano e sperano nel ritorno del Duce e coloro che invece pregano che gli Alleati giungano finalmente a Roma, liberando la città dall’occupazione nazista. Uno scenario già visto, si potrebbe pensare di primo impatto, ma Armeni sorprende subito il lettore, catapultandolo in un universo narrativo a dir poco inusuale. Protagoniste indiscusse del romanzo sono le monache francescane del piccolo convento di via Poggio Moiano: Suor Lina, Suor Emilia, Suor Elisabetta, la Madre Ignazia, tante sorelle, tante donne apparentemente umili, indifese; ma furono proprio queste donne che nascosero e salvarono una famiglia di ebrei, dando loro ospitalità e proteggendoli dai rastrellamenti.

«Ho parlato con la superiora» racconta Armeni nella postfazione del romanzo, «che mi ha raccontato con una punta di orgoglio la storia delle sorelle che l’avevano preceduta, mi ha portato ‘al secondo piano’ nelle stanze dove un tempo erano nascosti gli ebrei. Ho capito che, ancora una volta, una vicenda straordinaria che riguardava le donne non era stata narrata».

La prima voce s’impone all’attenzione del lettore è di suor Lina, una giovane novizia che nell’ottobre del 1943 assiste a un evento insolito: una famiglia di sette persone chiede asilo. La giovane osserva incuriosita i nuovi arrivati: vede una ragazzina dalle lunghe trecce scure, un bambino che nasconde il viso nel cappotto del padre. Non si tratta di gente qualunque però, ma di ebrei, ed essere ebrei in quegli anni non era qualcosa che potesse essere perdonato. La decisione di dare ospitalità a questa famiglia stravolge la tranquillità della vita del convento: ogni sorella dovrà convivere con il timore di essere scoperta, con le difficoltà materiali causate dalla scarsità di viveri e la curiosità morbosa del sagrestano, nostalgico del Duce e simpatizzante dei nazisti.

«Lui, se avesse saputo qualcosa, avrebbe denunciato alle autorità. No, non voleva il male di nessuno, ma l’ordine andava mantenuto e ognuno doveva fare il proprio dovere». (p. 47)

Un senso incombente di tensione si percepisce in ogni riga del romanzo, ma grazie a una narrazione coinvolgente e scorrevole Ritanna Armeni guida il lettore facendogli sentire i turbamenti, le paure, le inquietudini dei suoi personaggi. La lettura è resa più agevole da piccoli stralci dal taglio saggistico che fungono da contrappunto cronachistico: il massacro delle Fosse Ardeatine, i continui rastrellamenti nei ghetti ebraici, la crescente violenza mostrata dai nazisti nei confronti dei partigiani, degli antifascisti o di chi semplicemente dava asilo agli ebrei, il silenzio mostrato dal Vaticano che non si schierò mai apertamente contro i tedeschi, pur promuovendo una rete clandestina di aiuti in favore dei perseguitati, aiutano il lettore a comprendere le difficoltà incontrate dalle sorelle. 

«Sono confusa,» scrive la Madre superiora nel suo diario, «cerco una chiarezza che non riesco a trovare. Forse il sacrificio che mi viene richiesto è proprio questo: agire con prudenza, preservare il convento, difendere i perseguitati, assumendomene tutta la responsabilità, senza chiedere, senza pretendere certezze e protezioni.» (p. 110)

Ad Armeni non interessano i grandi eroi, le eroine, al contrario indaga storie vere di vita vissuta, storie che non possono e non debbono essere ideologizzate, ma che mostrino e facciano capire al lettore i sentimenti che la gente comune provava in quegli anni: la fame, la sensazione di essere braccati, l’assenza di libertà. I tanti piccoli drammi della vita quotidiana nel convento, ed è proprio l’attenzione alla quotidianità a caratterizzare la scrittura della Armeni, si intrecciano alla grande storia.

La situazione si complica quando viene imposto alla sorelle di ospitare un rifugio per i soldati tedeschi feriti; il convento diviene così un teatro dell’assurdo, dove coesistono sotto lo stesso tetto ebrei e nazisti, persecutori e perseguitati; una coesistenza mirabolante che evita un tragico epilogo grazie ad ingegnosi espedienti e sotterfugi degni di una pièce teatrale. Ed sono l’astuzia e la ferma, pacata risolutezza mostrata dalle sorelle ad avermi colpita, e in parte, lo ammetto, anche sorpresa; le protagoniste de Il secondo piano sono donne con paure, debolezze e virtù, donne che portarono avanti, nonostante il loro abito, una resistenza attiva ai tedeschi, ben diversa dalle azioni compiute dai partigiani, ma non meno eroica. 

Il secondo piano è una lettura che muove guerra ai luoghi comuni, ai pregiudizi, agli stereotipi culturali, costringerà il lettore a calzare dei panni insoliti e a riflettere sul concetto di eroismo, resistenza e umanità.

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In occasione di un incontro online con Ritanna Armeni, persona squisita mi permetto di aggiungere, animata da un’autentica passione per la materia di cui parla, ho avuto la possibilità di rivolgerle alcune domande. 
È stato l’aspetto linguistico, il lessico inusuale presente nel romanzo, ad aver calamitato la mia attenzione. Per scrivere un romanzo storico c’è indubbiamente un lungo lavoro di ricerca dietro. Nella postfazione hai confessato che per te la sfida maggiore è stata calarti nella mentalità delle suore, comprendere il loro linguaggio: concetti come pietà, umiltà, devozione, modestia non sono facilmente accessibili alla sensibilità laica. Tu non sei credente, com’è stato quindi per te immergerti in un mondo lontano dalla tua sensibilità?   
«È stata una sorpresa, userei l’aggettivo sorprendente. Tutte le parole che avrei normalmente utilizzato in un periodo come quello della Roma del 43, parole come eroi, bombe, sconfitte, vittorie non mi servivano, ma al contrario dovetti attingere a un lessico che non mi apparteneva: modestia, dedizione, carità. La parola carità ad esempio ha una forte carica eversiva. Oggi tutti usano parole come libertà, uguaglianza, tutti si vantano di essere liberi, nessuno invece si vanta di essere caritatevole. Questa parola mi è molto piaciuta perché mi ha aperto un orizzonte completamente diverso». 
Nel tuo libro si fronteggiano personaggi molto diversi, da una parte ci sono le sorelle, che confessano dubbi, inquietudini, che mettono spesso in discussione loro stesse, dall’altra parte vi è il sagrestano Remo, nostalgico del Duce, che manifesta una sorta di obbedienza acritica, di acritica acquiescenza agli ideali fascisti. Come spieghi questa diversità di atteggiamenti? 
«Sì, Remo è un uomo che aderisce al fascismo in maniera molto acritica. Una parte notevole degli italiani pensava ancora che Mussolini potesse tornare, che i tedeschi fossero effettivamente degli alleati. Remo è una persona che ha vissuto quegli anni senza riuscire ad elaborare un pensiero critico. Ma perché invece le suore sì? Ancora una volta la risposta risiede nella parola carità. Le suore sono caritatevoli. Accolgono i perseguitati, ma lo fanno per scelta. Non ci fu una direttiva ufficiale della Chiesa, del Pontefice. Le suore potevano respingere gli ebrei, ma decisero di non farlo. Ci furono naturalmente diversi livelli di consapevolezza: la consapevolezza colta, critica, riflessiva della madre Ignazia che vuole comprendere la realtà in cui vive e la carità più istintiva della novizia, suor Lina, che si affeziona a Lele, perché sente un afflato istantaneo nei confronti del bambino. Ma tutte le sorelle, sebbene con gradi e modalità diverse, cercarono di mettere in pratica un principio di carità». 
Ne Il secondo piano Ritanna Armeni racconto un tipo di resistenza diversa dalla resistenza armata dei partigiani ma non per questo passiva. Le suore romane nascosero e salvarono tra i quattromila e cinquemila ebrei, ci dicono i dati. Quella delle suore fu una resistenza caritatevole. Ma per Ritanna Armeni la parola carità continua ad avere un valore anche nella società di oggi. 
«Perché le suore in un mondo in cui si dice sempre io, riescono ancora dire noi».
  

Guendalina Middei