Come non perdersi in un bicchiere d'acqua
di Angie Cruz
2022, Solferino Libri
Traduzione di Lucia Fochi
pp. 192
€ 17,50 (cartaceo)
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La voce è una cosa davvero potente. È diversa per ciascuno di noi, si forma con gli anni e con l’esperienza, e fa sì che ogni storia, ogni prospettiva, sia unica e irripetibile: nessuno potrà mai raccontare la stessa storia allo stesso modo di chiunque altro. Figuriamoci quando questa storia è il racconto di una vita.
Il secondo
romanzo di Angie Cruz, già conosciuta in Italia con il suo Dominicana,
mette in campo proprio questa estrema soggettività, incorniciando la storia della
vita della protagonista in dodici monologhi – che in realtà dovrebbero essere
dialoghi, giacché questi dodici capitoli sono in realtà corrispondenti a
sessioni di counseling presso l’ufficio di collocamento che la protagonista
Cara Romero sta seguendo allo scopo di ottenere il sussidio di disoccupazione,
a seguito della chiusura della fabbrica dove lavorava. La posta in gioco è
alta: capire se, grazie a quei soldi, Cara potrà o no tenere la sua
piccola casa a Washington Heights, un quartiere di appartamenti popolari in cui
la maggior parte degli abitanti, come Cara, sono di origine dominicana, e che
fatica a restare uguale a se stesso in una Manhattan sempre più gentrificata.
Ma Cara non si
contiene, e di fronte alla muta impiegata che deciderà il suo destino, lei
racconta tutto ciò che, dalla sua gioventù, l’ha portata fin lì. Dal matrimonio
violento da cui è fuggita per recarsi a New York, fino alla difficoltà dei primi
periodi negli Stati Uniti, dal rapporto con la sorella e il fratello fino al trauma
della perdita del figlio, senza mai dimenticarsi delle numerosissime persone
che ogni giorno popolano la quotidianità di Cara, in quel condominio che è il
centro della sua vita. Un condominio pieno di donne forti e di voci, di traumi
e di bellezza. Di storie.
E pian piano,
dalla voce piena di forza e sagacia di Cara, cominciamo a capire che la storia
che lei ci racconta non è quella di un eroina. Non è il racconto di chi migra da
un Paese all’altro per poter dire di “avercela fatta”. La storia di Cara è
risolutamente una storia come tante, e questo si intuisce quando, dietro al suo
discorso incentrato su di sé e sulla propria prospettiva, cominciano a vedersi
in controluce tutte le altre vicende: quella di Angela, di Lulu, di Tita. Voci
che non sentiamo direttamente – e chissà come sarebbe la loro prospettiva,
chissà cosa ci direbbero, riguardo Cara, riguardo loro stesse, riguardo il quartiere
dove abitano e il Paese dove vivono. In questa continua tensione tra l’unica
voce di Cara e l’infinita molteplicità di voci possibili – una tensione a cui
Angie Cruz ammicca anche con la scelta di intervallare a questi capitoli così
personalistici tutta una serie di freddi e spersonalizzanti documenti
burocratici – il romanzo ci lascia con un affetto sconsiderato verso questo
personaggio così tragicomico, questa signora di mezza età che ci avvince a sé,
pagina dopo pagina, con il racconto della sua storia. Una storia come tante, ma
impossibile da dimenticare.
Marta Olivi
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