di AA.VV.
Nel 1986, Tondelli pubblicava Giovani Blues, prima antologia di undici autori under 25 con cui si proponeva di esplorare i giovani degli anni '80, capire cosa vivessero e cosa scrivessero. Oggi, la casa editrice Accento pubblica Quasi di nascosto, quasi a voler ricalcare le orme dell'ottimo esperimento tondelliano: 12 autori, stessa forbice anagrafica. La caccia alle nuove voci è stata capitanata da Matteo B. Bianchi, autore ed editore della rivista 'tina, e da Eleonora Daniel, caporedattrice di Accento. Scrive Bianchi nell'introduzione che trovare questi giovanissimi autori è stato al limite dell'impossibile: dall'appello alle scuole di scrittura e alle riviste letterarie ha ricavato solo autori più vicini ala trentina, e anche dopo la diffusione della call su più canali, chi inviava il proprio racconto sembrava non sapersi relazionare col mondo editoriale. Da qui forse il titolo: "quasi di nascosto" scrive questa generazione, produce testi sulla realtà che conosce ma non riesce poi a trovare un canale di diffusione e un pubblico.
Alla fine il campione è stato di circa quattrocento testi: i dodici confluiti nel volume sono sembrati i più promettenti. Il risultato è ottimo: non solo per la qualità dei singoli racconti, o per l'attualità delle tematiche affrontate, ma perché sembrano dialogare tutti tra loro a intessere il mandala della società odierna. Alcuni testi riguardano l'esperienza di crescita, di maturazione e differenziazione sessuale – non sempre gradita, come nel racconto di Martino Giordano –, di iniziazione all'altro e all'amore: di amore, ma straniato e sempre in qualche modo destinato all'infelicità, parlano i racconti di Emma Cori e Nicolò Bellon. Altri sono più orientati su uno sguardo sociologico: lo è il racconto di Riccardo Casella, che utilizza il dialetto per rappresentare un'amicizia maschile in territorio casertano, o quello di Giovanni Venturi, che problematizza i muri che si alzano tra i giovani che abitano i due lati di una spiaggia, le villette sul lungomare e le tende sulla sabbia. L'amicizia femminile, oggetto del racconto di Teresa Fraioli, è minacciata dalle rivalità reciproche, dalle attenzioni dell'elemento maschile e soprattutto dall'ansia di mostrarsi più disinvolta delle altre:
Beh, ora ti diverti! Vedrai che figo, cazzo, quando non ti frega più niente. Te li rigiri come ti pare! Te lo giuro Nene, te-lo-giu-ro». Agnese sorride. «Mah, vediamo». «Vediamo cosa? È questo il femminismo. Stare bene da sole! Certo, mo’ perché io sto sempre a parlare di sesso, però guarda che è proprio così. Loro fanno sempre così, se ci pensi». (p. 14)
Un racconto è frutto della stretta attualità, ma la mostra dall'interno, da una prospettiva insolita: è il testo di Ruben Rossi, che mette in scena l'incontro – vissuto personalmente dall'autore – con una ragazza fuggita dalla guerra in Ucraina, che reagisce alla miseria e alla precarietà della vita in maniera caotica. La penna di Rossi va oltre i pietismi, e si pone dubbi e problematicità:
Cosa bisogna dire in questi casi? «Mi dispiace»? «Brutto» forse? Una lezione del genere non ci è mai stata impartita, non abbiamo fatto esercizio: si imparano solo cortesie in tempi di pace. E qual è allora la cosa più gentile da dire a qualcuno che fugge dalla guerra? Ammesso che sia il suo caso, mi chiedo; magari stava qui in Italia già da prima. Che ne so. (p. 38)
Ci sono poi alcuni testi che si distinguono, per stile e ambientazione: in primis il racconto di struggimento erotico di Michelangelo Innocenti, che ha un po' di Bukowski, un po' di Raymond Carver. Poi ci sono i due racconti di Michela Panichi e Micol Maraglino: se la prima rappresenta la curiosità di alcune allieve di fronte a un'istitutrice carismatica, in un collegio di un secolo fa, la seconda crea una narrazione quasi biblica, ancestrale, in cui un sacerdote si trova a dover difendere la vita di un neonato dalla natura selvaggia e superstiziosa della comunità cui appartiene.
Il confronto con una società razzista e la ricerca di una propria identità da parte una ragazza nera in Italia è invece il tema del racconto di Aminata Sow: divisa tra gli insulti dei più intolleranti, gli incoraggiamenti di chi vuole denunciare e la rappresentazione di sé sui social, la protagonista cerca di dire qualcosa di autentico e non precostituito su di sé:
Il motivo per cui era salita sul palco era perché tutti – o meglio, tutti tranne i suoi genitori – avevano insistito che lei raccontasse della volta che era stata chiamata negra dal suo compagno di corso. Ti farà bene, sarà un’esperienza catartica, dicevano. Raky era confusa: era stata chiamata troia così tante volte, eppure nessuno le aveva mai chiesto di raccontarlo come strumento di liberazione, una sorta di passaggio obbligato per purificarsi. Per zittirli, Raky aveva preso il microfono e osservato quel mare di facce bianche, in silenzio, pendenti dalle sue labbra. Aveva improvvisato un discorso breve ma incisivo, le era stato detto, aveva trasmesso una rabbia rivoluzionaria. (p. 107)
Infine, Isabella de Silvestro racconta la realtà dell'impegno sociale, tramite una volontaria che quotidianamente si occupa della cura e dell'istruzione di un detenuto, un «cattivo», con il quale, durante le sessioni tra le mura della cella, avviene un rimescolamento di panni tra «vittima e carnefice»:
La violenza della gabbia lo rende docile, è una docilità che compatisco. Lo rende arrabbiato, è una rabbia che conosco. Lo rende malinconico, e sono affine alla malinconia. [...] Lo rende vittima e carnefice: io mi infilo nella piega angusta dove tutto resta sospeso, un attimo prima che la prima sentenza sia mai stata pronunciata. Prima di Caino e Abele, prima ancora di Adamo ed Eva, mi siedo sull’albero insieme alla mela e attendo che qualcosa accada. Che la galera acquisti senso, o lo perda per sempre. Che si affermi per la sua utilità, o che si disintegri insieme al suo insopportabile grigiore. (p. 141)
Quasi di nascosto è frutto di un'operazione preziosa, volta, più che al talent scouting, all'ascolto di una nuova generazione di scrittori. Ci uniamo all'augurio formulato da Matteo B. Bianchi che tra i nomi qui compresi ci siano importanti romanzieri del domani: ma ne formuliamo anche un altro, che esperimenti del genere siano replicati, in modo da sanare quel divario di incomprensione che sembra essere tra i giovanissimi e l'editoria, e dare a queste voci nascenti la possibilità di farsi ascoltare.
Michela La Grotteria
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