Tre modi per non morire - Baudelaire, Dante, i Greci
di Giuseppe Montesano
Bompiani Editore, gennaio 2023
pp. 160
€ 12 (cartaceo)
€ 12 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)
Giuseppe Montesano, scrittore e intellettuale napoletano, ci aveva già punti nel cuore con il suo libro "Come diventare vivi", pubblicato sempre da Bompiani nel 2017 e poi in una nuova edizione nel 2022, con la copertina ugualmente arricchita da un acquerello del pittore Tullio Pericoli.
Già in quel libro, l'autore si (e ci) interrogava sull'efficacia del progresso e sui pericoli derivati da un'immersione intellettuale e da un'accettazione senza ribellione della dittatura digitale. Lì, proponeva come ancora di salvezza la lettura, il ritorno al piacere semplice e puro di un buon libro.
Con questo nuovo testo, "Tre modi per non morire", scritto appositamente per essere recitato a teatro da Toni Servillo, Montesano ci prende per mano e ci suggerisce un ritorno alle origini, ai tempi in cui l'arte e la cultura erano nutrimenti veri del corpo e della mente. (p. 140) attraverso l'analisi in tre parti di Baudelaire, di Dante e degli antichi Greci.
Monsieur Baudelaire, le vite degli altri mi attirano, perché nello specchio delle vite altrui - uno specchio deformato, trasparente, rivelatore - spero sempre di trovare una risposta alla mia vita, un riflesso di conoscenza, un barlume di chiarezza, un invito al coraggio. (p. 21)
La prima parte del libro si apre come una conversazione intima e dolorosa dello scrittore che si rivolge direttamente al poeta. Lo interroga su ciò che siamo diventati, su come la poesia si sia persa nella corrosione del tempo, gli chiede: "Dove mi trovo, Charles? Questo tempo in cui gli ignoranti esaltano il potere e un feudalesimo digitale affascina le masse è il tuo, è il mio?" (p. 32) costruendo parallelismi pericolosi in cui solo la vera poesia può trasformare la depressione più oscura in conoscenza. (p. 41)
Di qui, la prima soluzione alla paralisi del pensiero: ripristinare il governo dell'immaginazione.
La notte finisce? Finisce quando il vecchio mondo muore e nasce un nuovo mondo, finisce quando la poesia non cambia più la vita di uno solo ma la vita di tutti. (p. 54)
La seconda parte ci porta invece dal Dante della Divina Commedia. Sulla scia della critica agli "schiavi" dei social e del progresso a tutti i costi, Montesano prende spunto dalla descrizione e dalla repulsione di Dante per gli ignavi che abitano il suo Inferno. Come gli ignavi danteschi rifiutavano di prendere posizione, di schierarsi da una parte o dall'altra, quelli che pensano i pensieri che pensano tutti, quelli che per difendere la propria miseria invocano la rovina del prossimo (p. 71), così gli ignavi contemporanei si lasciano sedurre dalla paura di vivere, dalla mancanza di coraggio o dalla sua becera e sterile esternazione solo dietro a uno schermo luminoso. Diventano massa, ché l'ignavo, da solo, non esiste.
E nonostante l'inferno dantesco sia popolato da ogni sorta di feccia, Montesano ci ricorda che vi sono anche dei miracoli: Paolo e Francesca caddero innamorati grazie a una storia d'amore e sì, hanno peccato, hanno tradito, ma in nome della poesia e dell'Eros - non dell'amore verso Dio, ma dell'amore verso l'amore.
La seconda soluzione dunque: abbandonarsi ai sentimenti e al puro piacere.
La seconda soluzione dunque: abbandonarsi ai sentimenti e al puro piacere.
[...] un amore che non è solo la Carità dei Vangeli, ma è l'Eros che distrugge e fa rinascere - Dio è un abisso, ma quell'abisso può essere evocato da una parola che tutti quanti conosciamo, la sola parola che contiene il potere della vita - l'abisso è amore, che fa vivere ogni cosa nel gran mare dell'essere [...] (p. 89)
La terza e ultima parte ci conduce dai saggi antichi Greci, quel popolo che si nutriva di bellezza e di teatro come si nutriva di pane, quel popolo che inventò l'Europa della ragione, quella ragione che i greci inventarono per vivere e che noi usiamo per morire. (p. 101)
Montesano qui riprende i due temi precedenti, l'immaginazione e la poesia. Un'immaginazione attiva, che vede con gli occhi della mente, che nel teatro si sublimava per diventare vita e verità. Per i Greci frequentare il teatro era un compito: attraverso di esso, riuscivano a rappresentare la realtà, i loro sogni e i loro incubi, imparavano a conoscere il mondo, ma soprattutto se stessi, acquisivano la libertà di pensiero e il lusso di discuterne con i propri pari. Noi lo facciamo ancora? Ci interroghiamo sulla nostra vita, sui nostri mostri interiori, per uscirne poi purificati, puliti?
La terza soluzione proposta da Montesano è la metamorfosi:
In ogni occasione in cui la vita si trasforma, in cui c'è una metamorfosi che può essere vitale o mortale, là compare la poesia, un rito di parole suadente, urlato, cantato, vivente. (p. 113)
E non manca di riprendere le tematiche già lanciate in "Come diventare vivi": la critica a ciò che ci rende automi, all'ostentazione fine a se stessa, alle istituzioni e ai centri del potere che ci vogliono addormentati, sedati, cosicché non riusciamo più a cogliere la bellezza delle nostre vite e la comunione con gli altri che sarebbe possibile abbracciare se solo staccassimo gli occhi "dalle ombre della caverna":
[...] non abbiamo più catene ai piedi e alle mani, non servono per tenerci in schiavitù - non servono più: le catene siamo noi stessi. (p. 127)
Montesano ha la capacità di scuotere gli animi, leggendo le sue parole ci si può ritrovare in uno stato di confusione e di straniamento, sentimenti necessari al risveglio intellettuale però: siamo davvero diventati così estranei alla verità? Siamo diventati così ottusi da non capire che non viviamo, ma sopravviviamo?
Sono queste le domande emerse anche a teatro: ho avuto la fortuna di assistere dal vivo allo spettacolo teatrale presso il Teatro Bellini di Napoli di Toni Servillo, in cui l'attore e performer ha letto e recitato l'intero testo. Inutile discutere in questa sede del talento di Servillo, ma attraverso la sua voce, Baudelaire, Dante e i Greci hanno preso vita, attraverso la modulazione del tono e gli intermezzi musicali, il narratore e Baudelaire hanno dialogato realmente, Dante ci ha ricordato quanto siano gravi i peccati degli ignavi, e con una sapientissima interpretazione dell'ultima parte del testo, quella dedicata ai Greci, arricchita da incursioni dialettali napoletane, anche l'antico sapiente popolo è rinato.
Certo, leggere il testo mi aveva già conquistata, ma lo spettacolo non ha fatto altro che elevarlo, renderlo tangibile, chiarire passaggi e concetti che, grazie alla magia del teatro, quel mondo tanto importante e vitale per i Greci, è arrivato al cuore di tutti.
Un testo che, va da sé, consiglio a occhi chiusi a chiunque, come pure lo spettacolo.
Deborah D'Addetta