Non c’è niente in questo mondo che danneggi le donne tanto quanto imitare gli uomini. Una donna perde metà della sua femminilità quando, invece di forbici ed aghi, si mette una penna tra le dita e sulle ginocchia tiene un libro al posto del telaio da ricamo o di un gomitolo di lana. A poco a poco comincia a fare la voce grossa e a cambiare atteggiamento nei confronti del marito dopo essersi riempita la testa di inutile cultura, e inizia a opporsi a lui e a fare la prepotente. È raro che una di queste donne resti sposata a lungo. Di solito oltrepassa i limiti, perciò viene ripudiata in modo definitivo dopo pochi mesi, oppure confinata nella casa coniugale, trascurata dal consorte che non la degna di nessuna attenzione, non la sopporta, e infine la sostituisce con una giovane dalla piena femminilità che non sa né leggere né scrivere. (pp. 268-269)
Viene dalla Tunisia, il romanzo pubblicato questo mese dalla casa editrice E/O. La scrittrice, Amira Ghenim, insegna Linguistica e Traduzioni presso l’università di Tunisi e questo è, dopo una serie di fortunati saggi, il suo secondo romanzo con il quale ha vinto il prestigioso premio nazionale dalla giuria del Comar d’Or.
In mezzo ai profumi e il sapori della sua terra, si ambienta una storia intrigante, un dramma familiare, narrato a più voci, attraverso delle lettere/testimonianze che i vari personaggi lasciano ad un interlocutore che il più delle volte è un proprio familiare.Focus del romanzo è uno scandalo che è avvenuto in una famiglia di notabili, ossia persone ben in vista nella Tunisia degli anni Trenta del Novecento: la bella Zubaida, giovane moglie di Mohsen en-Neifer, riceve una lettera - il contenuto della quale verrà rivelato al lettore verso la fine del libro - scritta per lei da un giovane intellettuale, Taher al-Haddad, considerato, dagli esponenti del mondo politico e culturale, un miscredente.
La lettera era stata consegnata da un garzone della panetteria a Luiza, serva fedele di Zubaida, affinché venisse poi letta dalla giovane signora. Purtroppo qualcosa va storto. Il fratello del marito, Mhammed en-Neifer, attirato dal modo in cui la serva teneva stretto l’involucro per consegnarlo a Zubaida, glielo strappa via e legge il biglietto nascosto. Non sapremo mai se quello era il primo -ma sicuramente sappiamo che è l’ultimo- biglietto che la ragazza aveva ricevuto da Taher…
Quando il biglietto verrà consegnato, infatti, il giovane mittente sarà già passato a miglior vita. Nell’introduzione all’opera, leggiamo che Taher al-Haddad era veramente esistito nell’epoca in cui si ambientano i fatti e che aveva scritto, in una Tunisia ancora restia a parlare di diritti umani e di diritti delle donne, alcuni libri nei quali promuoveva l’emancipazione delle tunisine. Le sue idee erano troppo all’avanguardia, i tempi non erano maturi per abbattere il pesante muro della sharia e Taher morì per le sofferenze subite dopo essere caduto in disgrazia, in seguito alla radiazione dalla pubblica amministrazione.
Le storie dei personaggi delle due famiglie, servitù compresa, ar-Rassà, da cui proviene Zubaida e en-Neifer, quella di suo marito, si innestano sullo sfondo dei principali eventi della storia della Tunisia, in particolare la lotta per l’indipendenza dalla Francia: alcuni degli esponenti più giovani delle due famiglie erano militanti, infatti, nel partito di liberazione nazionale Destūr.
Il padre di Zubaida, si Ali, pur non essendo un rivoluzionario, aveva però scelto, fatto più unico che raro a quei tempi,
per le sue figlie una scuola francese privata frequentata da giovani ebree, francesi, italiane e maltesi benestanti. Il difetto di questa scuola, però, stando alle parole di sidi Ali, era che si studiava solo la lingua francese, e non l’arabo, e così lui aveva deciso di colmare questa lacuna nella formazione delle sue figlie assumendo uno studente dell’università al-Zaytuna cui pagava un salario settimanale per fare in modo che le sue figlie imparassero a memoria il corano e studiassero a casa i princìpi della lingua araba. Fu così che si Taher entrò a casa di sidi Ali. (pp. 41-42)
Lì conobbe la bella Zubaida, che rispetto alle sorelle, era più intelligente, vivace, lettrice dei grandi autori francesi e poco rispettosa delle tradizioni. Taher chiederà la sua mano al padre, ma costui aveva già deciso che la figlia andasse in sposa a Mohsen en-Neifer, giovane che aveva studiato in Germania, quindi in grado di apprezzare la cultura e l’intelligenza di Zubaida. Lo scandalo scoppia inaspettatamente come un fulmine a ciel sereno nel quinto anno di matrimonio dei due, quando ormai Taher non aveva più occasione di vedere Zubaida, preso com’era dalla sua attività volta al riconoscimento dei diritti della donna e della persona, una attività che lo farà morire con l’amaro in bocca. Proferisce le seguenti parole - racconta un amico nella sua testimonianza - mentre gettava nel fuoco tutti i suoi scritti:
La vostra donna nella sharia…La vostra donna nella società…Il libro che volevo fosse un faro nella notte dell’oscurantismo e dell’arretratezza e che invece è stato come suonare una sinfonia a un sordo o a far vedere un mosaico a un cieco. (p. 309)
È un dramma a tutti gli effetti: un matrimonio distrutto dai sospetti, liti tra fratelli, violenze inaudite. Il romanzo non risparmia le discriminazioni razziali, il disprezzo per le serve di colore regolarmente picchiate per una distrazione, odi segreti, vergogna per le tendenze omosessuali di uno dei personaggi principali. È presente tuttavia un’ironia di fondo, un delicato humor che alleggerisce storie di schiavitù, di ingiustizie e di cieca sottomissione.
Ma Zubaida, aveva veramente tradito Mohsen? Tutti i personaggi raccontano gli episodi dal loro punto di vista, ma non abbiamo mai la testimonianza di Zubaida, che conosceremo bene dai racconti della fedele Luiza e dal marito. La storia è intrigante, si fa leggere avidamente e scorre veloce. Ci sono salti temporali , ma non appesantiscono la narrazione e anche se i personaggi sono tanti e raccontano le loro storie, come tanti affluenti si gettano sempre tutti nel fiume della vicenda principale. Tantissimi i proverbi, utilizzati soprattutto dalle donne, custodi della saggezza popolare, che danno colore particolare ai discorsi.
Alla fine del romanzo vi è un piccolo dizionario dei termini arabi più ricorrenti.
Marianna Inserra
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