In occasione del centenario della scomparsa di Katherine Mansfield (9 gennaio 1923), torna in libreria per l'Universale Economica Feltrinelli il romanzo che le ha dedicato Nadia Fusini, insegnante di Critica shakespeariana alla Sapienza e di Letterature comparate alla Normale di Pisa.
Io narrante della vicenda è Francis, un aspirante scrittore, malato nel corpo e nello spirito, a dir poco stanziale, che trascorre il suo tempo in grande solitudine, leggendo e provando a scrivere un romanzo che non prende forma. Sua sorella Zoe, invece, è vitale e viaggia per il mondo, anche per il suo lavoro come interprete. In comune, hanno anzitutto la passione per la letteratura (Zoe ama in particolare Virginia Woolf), quindi il desiderio enorme che Francis scriva e pubblichi, ragion per cui Zoe ha deciso di mantenere lei il fratello durante il periodo di scrittura.
Durante una delle loro conversazioni letterarie, si imbattono nella figura di Katherine Mansfield, autrice amatissima da Francis, e così fratello e sorella diventano con le loro parole il tramite di un'appassionata ricostruzione biografica. Dopo un inizio disordinato, sulla scia dell'entusiasmo, Zoe invita Francis a ricominciare daccapo per raccontare meglio di Mansfield, chiamata per brevità "KM", ma va detto che la conversazione, proprio come accade nella realtà, non può mai essere lineare. Vi si infiltrano osservazioni brillanti sulla letteratura, pareri metaletterari sull'opera che Francis vorrebbe scrivere e tessere della vita dei personaggi. Tantissimi, inoltre, sono gli spunti offerti dalla vita di Katherine Mansfield: dopo l'infanzia e i primi anni dell'adolescenza in Nuova Zelanda, la ragazza parte per Londra, dove continuerà a tornare, considerandola la sua patria putativa. Grande «trasformista» (p. 25), indecisa se dedicarsi alla musica, all'arte o alla scrittura, mostra fin da subito un talento invidiabile («L'ammirazione è una buona terapia dell'invidia, non credi?», p. 31) e un fascino che le permette di avere numerosi e numerose amanti, tra cui Murry, l'uomo da cui torna più e più volte, pur non riuscendo mai a costruire con lui una relazione stabile. «Murry non sa aprirle le braccia. Come sempre è passivo, la sua acquiescenza è fatale» (p. 113), persino quando KM è malata di tisi e le restano ormai pochi momenti da vivere insieme.
La malattia, infatti, ha colto l'autrice già da giovanissima (nel 1917) ed è un punto fermo della sua vita, argomento su cui Francis si sofferma a lungo nella sua conversazione con Zoe. Coglie i tentativi disperati di Mansfield di farsi curare, anche quando sono dei cialtroni a proporle terapie strampalate e balzane. Se, come sostiene Francis, KM «più scrive, più scopre di potersela inventare scrivendo, la vita» (p. 24), alla sua vita di enormi spostamenti e di scelte sregolate rinuncia solo quando non ha proprio più le forze per alzarsi. La tubercolosi, semmai, diventa ennesima esperienza che si infiltra nei racconti di KM, mai impermeabile a ciò che le accade intorno e dentro.
«Ci vuole una mano leggera, molto leggera per raccontare certe cose» (p. 140), suggerisce Francis verso la fine del romanzo. E in effetti questa biografia romanzata sotto forma di dialogo, corredata da foto d'epoca di KM e del suo contesto familiare e di amici, è un omaggio estremamente devoto alla grandezza di un'artista scomparsa troppo presto e al potere delle parole in sé. Lasciamo pertanto che sia Francis a chiudere questo pezzo, con una citazione che vogliamo condividere:
Credo che con le parole si possa fare l'esperienza di una mutazione spirituale. La letteratura è questo, o non è nulla. Per me non è intrattenimento, non è evasione; io non leggo per distrarmi, ma per concentrarmi. E quando si legge come leggo io, allora davvero la pelle muta, gli organi della percezione si trasformano, la coscienza muore e rinasce. Dalle parole che leggo io mi lascio coinvolgere, assorbire, sono passivo e poi attivo, prima nuoto, poi annego... (p. 136)
GMGhioni