Ho consegnato al mio libro ciò che all’epoca, così come ancora oggi, ritengo sia la verità. Misi per iscritto solo ciò su cui avevo meditato attentamente, solo ciò che io stesso avevo provato e patito. Il mio non è un libro politico. Facendo del mio meglio con le mie limitate capacità, scrissi sulle persone comuni, il loro dolore, le loro gioie, i loro errori e le loro morti. Scrissi del mio amore per gli esseri umani e della mia solidarietà con il loro dolore. (Dalla lettera di Vasilij Grossman a Nikita Chruščev pubblicata in John e Carol Garrard, “Le ossa di Berdičev. La vita e il destino di Vasilij Grossman”, Marietti 2020).
Vasilij Grossman era un ebreo russo nato in Ucraina, una radice triplice che gli costerà cara e non solo quella. Il suo monumentale Vita e destino, che si annovera a buon diritto tra i più grandi romanzi del Novecento è giunto a noi quasi per miracolo, in seguito alla censura e al sequestro da parte del regime sovietico che trovò l’opera non allineata. Dobbiamo la salvezza del romanzo a più persone, a partire dagli amici più cari che custodirono in casa il manoscritto a loro rischio e pericolo, allo scrittore Vojnovič e allo scienziato dissidente Sacharov che realizzarono due microfilm i quali, giunti in Europa, vennero pubblicati prima in Svizzera e poi anche in Italia nel 1984. L’edizione Adelphi del 2008 e la nuova edizione del 2022 tradotta sempre da Claudia Zonghetti, è fedele all’opera concepita da Grossman in seguito alle correzioni che l’autore stesso riuscì ad apportare poco prima di morire. Il successo dell’opera purtroppo giunse postumo, lo scrittore dopo aver pregato anche Nikita Chruščev che la sua opera “venisse scarcerata”, non riuscì mai a vederne la pubblicazione.
Scrittore molto amato da Grossman era Tolstoj, ma in questo poderoso romanzo forse c’è molta più vicinanza all’altro grande russo, Dostoevskij. Vita e destino è un romanzo vertiginoso dove l’autore sembra raggiungere il fondo di sé stesso e i temi, le vicende sono state ispirate a ciò che ha visto, vissuto, meditato mentre era corrispondente di guerra a Stalingrado, per il giornale sovietico “Stella rossa”. In quell’occasione lo scrittore, che aspirava alle vette letterarie del realismo socialista, di fronte alla brutalità e alla violenza degli avvenimenti e all’incrudelirsi del regime staliniano, mise in discussione i vecchi ideali socialisti e cominciò a porre sullo stesso piano nazifascimo e totalitarismo sovietico. Intense le pagine riportanti il dialogo tra il bolscevico Mostovskoj e lo Sturmbannführer, cioè maggiore dell’esercito tedesco, Liss, uomo di Himmler alla direzione del lager. Quest’ultimo cerca di far riflettere il russo facendogli capire, usando un linguaggio talvolta filosofico, che nazismo e socialismo hanno nella sostanza la stessa anima, sono praticamente due ideologie gemelle: si basano entrambi sulla sovranità del partito, uno “stato di partito” e di un unico capo carismatico che utilizza strumenti repressivi particolarmente violenti contro gli avversari che ostacolano il percorso verso la sua “rivoluzione”:
“Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? Il mondo non è forse pura volontà anche per voi? Vi si può forse indurre a esitare? Vi si può fermare? (…) Voi credete di odiarci, ma è solo un’impressione: odiando noi odiate voi stessi. Tremendo, vero? (p. 343)
Dopo aver letto simili considerazioni, non desta meraviglia il fatto che l’opera risultasse particolarmente “eretica” dal regime sovietico e venne pubblicata in Russia solo nel 1988, durante l’età del disgelo di Michail Gorbačëv . Le parole di Grossman/Liss sono frutto di una lunga riflessione che lo scrittore ha avuto modo di portare avanti mentre scriveva come corrispondente di guerra sul fronte di Stalingrado e rappresentano l’esito delle riflessioni e degli studi cui gli intellettuali europei giunsero molto più tardi.
Esiste un concetto di bene che sia universale? Grossman prosegue a riflettere, stavolta la sua coscienza veste i panni di Mostovskoj che, dopo il dialogo avuto con Liss, torna in cella profondamente turbato e legge alcuni fogli scarabocchiati lasciati dal suo compagno Ikonnikov, impazzito per le torture del lager, e si rende conto che
(…) il bene ha perso universalità - il bene di una setta, di una classe, di una nazione e di uno Stato - si veste di un’universalità mendace per giustificare la propria battaglia contro ciò che considera male. Persino il sangue versato da Erode non fu versato in nome del male, ma di ciò che per Erode era il bene. Perché la nuova forza che era nata minacciava di morte lui, la sua famiglia, i suoi amici e favoriti, il suo regno, il suo esercito. (p. 352)
Anche queste pagine, di cui si è dato un piccolissimo assaggio, sono tra le più intense, emozionanti e commoventi di Vita e destino, un romanzo che veramente ha fatto impallidire dinanzi a sé gran parte delle opere del Novecento. Un libro, giova dirlo, che andrebbe letto da più persone e, opportunamente antologizzato, inserito all’interno dei programmi scolastici per la bellezza che contiene e per l’importanza delle tematiche affrontate (l’amicizia tra soldati, l’antisemitismo e l’orrore della Shoah, il potere della musica, l’amore, la vita, la compassione…) : è un romanzo di un uomo che parla dell’uomo, dei suoi errori, delle sue angosce, ma anche dell’uomo quando è capace di grande bontà.
Il poderoso libro è composto di tante storie e tantissimi nomi ed è arduo provare a ricordarli tutti, ma il lettore consapevole e ben disposto, una volta superate le prime difficoltà, non potrà non amare e affezionarsi ad alcuni di loro ed alle loro storie, in barba alle difficoltà dei patronimici e alla mole del romanzo stesso!
Come non lasciarsi coinvolgere dalla storia di Ljudmila Nikolaevna, moglie del fisico nucleare Viktor Štrum e madre di Tolja, avuto dal precedente marito? Quello tra Ljudmila e Viktor è un matrimonio già giunto al capolinea, fatto di abitudini e di gesti noti e per questo rassicuranti, una relazione rovinata da dissapori dovuti a incomprensioni e gelosia verso i familiari a loro più prossimi: secondo Ljudmila, nessuno vuol bene veramente al figlio Tolja, partito come soldato al fronte, perché tutti, suocera e marito stravedono per la ribelle e, talvolta, impertinente Nadja, avuta dal matrimonio con Viktor. Quest’ultimo sembra essere il personaggio più positivo della famiglia: è un uomo stimato tra i colleghi scienziati, va d’accordo con tutti, anche con la suocera, ama teneramente la figlia Nadja, alla quale perdona quasi tutto. Anche lui, però, ha il suo lato oscuro. Brucia d’amore, infatti, per la moglie di un suo collega, ed è ricambiato da lei, ma deciderà, - a differenza di quanto avviene alle coppie che incontriamo in questo romanzo - di restare fedele a Ljudmila. Tolja morirà per le ferite inferte dal nemico in battaglia nelle prime pagine del libro e troveremo la donna che era partita da sola per raggiungere il figlio, trafitta dal dolore, perché non è riuscita a vedere il figlio vivo per l’ultima volta. Nell’ospedale militare tutti ammirano la sua compostezza, il suo atteggiamento dignitoso di fronte al dolore, ma…che momento straziante quello della sepoltura!
Tutti sono colpevoli di fronte a una madre che ha perso il figlio in guerra, e da che mondo è mondo tutti cercano- invano - di giustificarsi. (p. 124)
E come non commuoversi di fronte a quelle lettere accorate di mogli e di madri, scritte ai loro figli, ai loro mariti, di cui non conosceremo quasi nulla, saranno dei nomi che si perderanno in mezzo a tanti altri nomi? Queste storie sono tutte testimonianze, perché Grossman - come scrisse nella lettera a Chruščev - si è limitato a descrivere la verità e la realtà.
Strazianti le pagine ambientate nella camera a gas, dove il piccolo David trova la morte, stretto nelle braccia di Sof’ja Osipovna, una donna che aveva scoperto in un attimo, guardando i suoi occhioni, il bruciante desiderio di maternità che non aveva mai provato prima. Pochi secondi, pochi attimi, e la vita di entrambi si spegne.
Respirava; ma anche respirare era diventato un lavoro, una fatica, e per respirare Sof’ja Osipovna impiegava ogni forza rimasta. Avrebbe voluto concentrarsi su un ultimo pensiero, mentre le campane suonavano a stormo. Ma non veniva, quel pensiero. Restava in piedi, muta, senza chiudere gli occhi ormai ciechi.
David, i suoi gesti: che pena provava! Era talmente semplice, ciò che sentiva per lui, che non aveva più bisogno di parole, né di occhi. Respirava ancora, quel ragazzino più morto che vivo, ma l’aria che riceveva non gli allungava la vita, la allontanava da lui. Continuava a voltare la testa, David, aveva ancora voglia di guardare. E vedeva chi già si accasciava, vedeva bocche spalancate e senza denti, bocche con denti bianchi e denti d’oro, vedeva rivoli di sangue uscire dalle narici. (…) Braccia forti e calde lo tennero stretto tutto il tempo, e David non si rese conto che i suoi occhi cominciavano a non vedere, che il suo cuore si svuotava e non sentiva più nulla, che il suo cervello era cieco e vuoto anch’esso. Lo avevano ammazzato, aveva smesso di esistere.
Sof’ja Osipovna sentì il corpo del ragazzo spegnersi tra le sue braccia. Li avevano separati di nuovo. Nelle miniere, in presenza di gas velenosi, i rilevatori - topi e uccelli - muoiono subito perché sono piccoli, e anche quel ragazzino dal corpo d’uccello se n’era andato prima di lei.
Sono diventata madre, pensò.
Fu il suo ultimo pensiero.
Ma il suo cuore era ancora vivo: una stretta dolorosa, pietà per voi, per i vivi e per i morti; poi un conato: Sof’ja Osipovna strinse a sé David, bambola senza vita, e morì, bambola senza vita anche lei. (pp. 480-481)
Vita e destino narra le brutalità, le violenze, gli stupri, le bassezze umane, l’orrore storico della Shoah e delle purghe staliniane, ma soprattutto narra i legami tra gli esseri umani, che quelli che si instaurano nel pericolo estremo, nella convivenza nel campo di concentramento e sul fronte di guerra, narrano di occhi pietosi di uomini e donne, dei dubbi laceranti degli scienziati come Štrum, di uomini orgogliosi. Vita e destino parla di amicizia, di solidarietà, è un romanzo pieno d’amore. Nella pausa dei bombardamenti
Un altro vecchio coi capelli neri seguiva serio e accigliato quella canzone d’amore e di pene all’amore legate. Era davvero bella, quella canzone, come bello era il momento meraviglioso e tremendo che legava il direttore della Centrale al carrettiere del forno da campo, alla guardia notturna e alla sentinella, che creava un legame fra un calmucco, dei russi e un georgiano. (p. 453)
Vita e destino di Grossman andrebbe letto dopo Stalingrado, poiché narra gli eventi accaduti dopo la celebre battaglia vinta dall’Armata Rossa, che ha segnato il corso degli eventi della seconda guerra mondiale, tuttavia non è una regola ferrea. La grandezza di questo romanzo si apprezza pienamente anche se letto stand alone: non bisogna lasciarsi intimorire dalla corposità del libro e dall’elevato numero di nomi e personaggi, poiché essi tornano nel corso della narrazione. È un intreccio complesso di tanti fili, dove la narrazione si alterna a dialoghi, a riflessioni dalla lucidità e dall’attualità disarmanti.
Le emozioni campeggiano su tutte le pagine del libro. Senza retorica.
Il romanzo di Grossman ci ricorda che la vita è vita, anche se difficile, complicata e il destino è la libertà che ognuno di noi ha di scegliere se morire da essere umano, oppure lasciarsi schiacciare dalla repressione del totalitarismo che priva l’uomo della sua stessa umanità facendolo diventare strumento di forze di sterminio.
Quando l’uomo muore passa dal mondo della libertà al regno della schiavitù. La vita è libertà, e la morte la cancella progressivamente, la libertà. La prima ad offuscarsi è la coscienza, che poi si spegne del tutto; (…) L’Universo dentro l’uomo ha smesso di esistere. Un Universo che somiglia incredibilmente all’Universo che sta al di fuori dell’uomo. E che somiglia incredibilmente all’Universo che continua a riflettersi in milioni di intelletti vivi. Un Universo incredibile soprattutto per il fatto che in esso esisteva qualcosa capace di distinguere il rombo del suo oceano, l’odore dei suoi fiori, il fruscio delle sue foglie, le venature dei suoi graniti, la tristezza dei suoi campi in autunno da ogni altro Universo fra quanti sono esistiti ed esistono in ogni uomo, e dall’Universo eterno che sta al di fuori dell’uomo. Nella sua irripetibilità, nella sua unicità risiede l’anima di ogni singola vita - la libertà. (pp. 481-482)
Marianna Inserra