di Alexandre Vialatte
Prehistorica Editore, marzo 2023
Traduzione di René Corona
pp. 196€ 16 (cartaceo)
Berger, il soldato fedele di Alexandre Vialatte è un libro stratificato, svelato al lettore poco alla volta. La vicenda narrata può sembrare,
nella sua drammaticità, molto semplice: un soldato francese è arrestato dai
nazisti e costretto dai tedeschi a durissime marce. Sebbene sia il motore
principale della narrazione, soffermarci esclusivamente su questo sarebbe una
visione semplicistica del romanzo perché quello che racconta Alexandre
Vialatte, tratto dalla sua esperienza personale, è un uomo distrutto dalla
fatica, dalla mancanza di cibo, da una guerra che logora quanto nel fisico
quanto nella mente.
Berger è un brigadiere francese, catturato durante
l’occupazione nazista nel 1940; dopo il suo arresto, i cui i contorni rimangono
sempre molto nebulosi, è costretto, insieme con altri compagni, a marciare in
condizioni disumane per lunghissimo tempo. La marcia sarà la causa scatenante
per la progressiva alienazione del soldato, nella quale il passato si
mischierà con il presente e con le speranze per un futuro che sembra
irraggiungibile perché il presagio della morte è sempre dietro all’angolo.
Sentiva che la ragione gli sfuggiva. L’aveva persa per strada, a pezzettini, come una lettera strappata, come i sassolini di Pollicino. (p. 64)
L’alienazione del brigadiere non è semplice malattia
mentale perché, nelle sue allucinazioni, Berger torna al passato, quando non
era un soldato, ma un semplice cittadino che trascorreva serenamente le proprie
giornate. Ed è proprio in quella serenità che si ritrova il senso più profondo
del libro. È un meccanismo umano quello del protagonista: estraniarsi da una
realtà che lo deteriora nel fisico e nella psiche senza una via di ritorno e
soprattutto senza un’apparente via di uscita. E allora il passato diventa un
rifugio, una sorta di protezione dalla vita quotidiana del brigadiere quando «si
sentiva schiacciato dal destino, un destino che era un enigma» (p. 39).
In questi flashback –prima mentali poi narrativi- il soldato ha pochi appigli per «prendere consapevolezza di sé» (p. 98) ed è proprio nei simboli più “tradizionali” di tutte le guerre che trova la sua àncora: la piastrina. Può sembrare incongruo, ma la piastrina, quel pezzo di metallo, è un segno di riconoscimento e d’identità che permette di comprendere ancora chi è quel soldato ed è in virtù di questo che il brigadiere ci si attacca con tutte le sue forze, diventando quasi pazzo quando, rinchiuso in cella, gliela porteranno via. La cercherà ossessivamente perché ritrovarla, sarebbe un segno tangibile e concreto della sua persona e della sua identità, cancellata dalla guerra.
Allo scopo di organizzare quella felicità nel proprio cervello e di puntellarla con una prova materiale, in quel nuovo mondo dove tutto lo ingannava, diede un’occhiata al braccio per controllare la piastrina di riconoscimento e avere conferma che […] fosse proprio il brigadiere Berger, matricola 2404. Non la vide.
Perché gliel’avevano tolta? Forse avevano avuto il timore che potesse utilizzarla per suicidarsi? Che ne spezzasse il metallo e ne tirasse fuori una lama? (p. 79)
Berger, il soldato fedele è un libro che attraversa trasversalmente gli
effetti della guerra sulla psiche dei soldati e lo fa nel modo meno
convenzionale; le visioni o frammenti di memoria del protagonista riescono bene
a mostrare il suo stato psichico. Non importa se non sono trasmessi tutti i
dettagli dell’arresto, delle marce o della prigionia, perché basteranno le
immaginazioni di Berger a far intendere, senza mai fraintendere, il suo quasi
totale crollo, evitato perché riesce (e questa è la sua grande fortuna nella
drammaticità) a rifugiarsi in una realtà parallela. Il romanzo, con tratti
profondamente autobiografici, è un viaggio nelle ferite psichiche dei soldati,
in quei traumi che li accompagneranno per tutta la vita e non è sempre facile
seguire i meandri dell’immaginazione di Berger perché anche solo un dettaglio
può far scattare la sua mente e riportarla indietro di anni. Ed è per questo
che il primo effetto è quello straniante, perché seguire i suoi sogni non è
sempre facile, ma una volta accettato questa sorta di “flusso di
coscienza”, che travalica ogni tempo, non si potrà che accompagnare Berger in
ogni suo viaggio, sperando che gli diano almeno un po’ di conforto.
Alexandre Vialatte, autore già noto per le Cronache
dalla Montagna e Battling il tenebroso, dimostra la sua
innata capacità di raccontare le atrocità con uno stile che, in alcuni tratti,
ricorda la poesia. Senza mai cadere nella retorica, riesce a trasportare il
lettore negli anni della guerra e non ha l’obiettivo di raccontare una storia
universale, ma la sua personale esperienza, chiedendosi quale peso abbia il
destino e se mai riuscirà a ritrovare se stesso. Sebbene questi siano
interrogativi personali, non possiamo non notare l’attualità di queste domande
ed è forse questa una delle grandi eredità dello scrittore francese: raccontare
il passato, spiegandoci il presente.
Vinto o no, pensò, malato oppure sano, io sono il brigadiere Berger dell’esercito francese, matricola 2404. E questo onore resta comunque, agli uomini che hanno fatto il loro mestiere! E questo nessuno me lo potrà togliere! (p. 21)
Giada Marzocchi