di Beatrice Del Bo
Il Mulino, gennaio 2023
pp. 290
€ 20 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)
Da sempre siamo abituati a
immaginare il Medioevo come l’epoca dei “secoli bui”, in cui malattie, carestie
e superstizioni dominavano la mente e le vite degli uomini; eppure, soprattutto
negli ultimi anni, storici e studiosi stanno provando a scardinare questo
pregiudizio, mostrandoci come il Medioevo non sia solo quell’età di barbarie
e di concezioni retrograde e violente. Sembra, però, che questa tardiva
riscoperta non faccia breccia nella concezione collettiva, poiché «oggi si sente
ancora spesso impiegare l’espressione “secoli bui” per definire il
Medioevo» (p. 7).
Riprova quindi nell’ardua ma non
impossibile impresa, Beatrice del Bo con L’età del
lume, un saggio illuminante in tutti i sensi, perché l’autrice, ripercorrendo le
funzioni pratiche e filosofiche del lumen, ci racconta un Medioevo
molto meno buio di quanto ognuno di noi si sia immaginato fino
a ora. Lumen e tenebră sono due facce della
stessa medaglia, ovvero rappresentano luoghi fisici, morali e religiosi che hanno accompagnato la
vita degli uomini medievali. Se nell’immaginario comune medievale il buio è il
luogo dell’inferno e della dannazione, nella vita quotidiana, questo è il luogo dei segreti,
degli affari illeciti e dei peccati. La luce, il suo complementare inverso, è
quello dell’onestà, della religione cristiana e della pace. Se ci fermiamo a
questa dualità, la concezione che ne deriverebbe sarebbe sicuramente molto
superficiale, perché luce e buio raccontano la vita quotidiana e forse una Storia,
non sconosciuta, ma sicuramente poco esplorata.
È già a partire dell’oggetto in
sé che possiamo farci un’idea più approfondita: la candela con la sua cera era
uno strumento che in pochi potevano permettersi. Il costo per la
produzione e per la sua realizzazione era molto elevato (basti pensare alla
delicatezza della materia prima), e quindi solo i più abbienti ne potevano
usufruire. Era talmente costosa che divenne una merce rara e preziosa per gli
scambi commerciali, arrivò a valere quanto, se non di più, il valore della
moneta: «La
cera è considerata vera e propria moneta dai mercanti […] perché molto
richiesta su tutte le piazze commerciali» (p. 58).
E d’altronde non è un caso che il detto «il
gioco non vale la candela» abbia come oggetto proprio lo strumento d’illuminazione:
più accurata era la sua manifattura, più preziosi erano il cero e la candela.
Il fascino della luce, come la
candela o il lume, è corollato da significati ben più metafisici, religiosi e
sociali. È forse però della sua declinazione sociale e politica che mi sono
sorpresa maggiormente: sì, perché la lux era anche strumento
di affermazione del proprio status. Beatrice del Bo ci tramanda numerosi esempi
di funerali o visite di Reali, nei quali l’illuminazione aveva un posto in
prima fila. Il fuoco era la fonte di luce prediletta, ad esempio, per le visite politiche: le
vie e le strade diventano dei palcoscenici pubblici per le personalità storiche
dell’epoca e, anche qui, non è un caso che le vesti di principi e re fossero
sempre, come le stoviglie durante i banchetti, dorati o ornati in oro, perché,
solo in questo modo, riuscivano ad ampliare l’effetto luminoso della sala. Ciò
dimostra quanto il ruolo dell’illuminazione sia essenziale per i Reali
dell’epoca, rimanendo quest'ultima pur sempre legata a una concezione cristiana, dove la luce
è Dio. La proporzione dunque era abbastanza semplice ma non del tutto evidente:
più l’illuminazione era accentuata e manifesta, più influente era il ceto
sociale. Se consideriamo poi che per molti era proibitivo acquistare candele o
ceri, questo rende ancora più esplicita «la gerarchia dell’illuminazione» (p. 112):
un sistema di potere sociale, politico e militare dove un segno evidente era
appunto l’illuminazione.
Il contributo all’illuminazione dei culti descrive una grammatica della luce che riflette una gerarchia. La stessa che possiamo notare nella celebrazione dei defunti, laici o ecclesiastici che siano. (p. 118)
La luce in tutte le sue
accezioni è stata quindi sfruttata simbolicamente nella società
medievale. Ed è nel glossario finale al volume che si percepiscono tutte queste
sfumature perché la sua ricchezza semantica è lo specchio anche di quest’epoca
che, nonostante la prestigiosa definizione di Petrarca di “secoli bui”, sembra
che abbia ben poco di buio e oscuro.
L’età del lume è al
contempo un viaggio nell’oggetto materiale e nel Medioevo, inteso come periodo
storico, perché sembra proprio che la Storia medievale si sia svolta intorno
alla fievole luce di una candela. Quello di Beatrice del Bo è un testo che
cerca sicuramente di ridare lustro a un’epoca altrimenti troppo maltrattata
dal pregiudizio comune. L’autrice, attraverso un ricco apparato di esempi e di
fonti, porta il lettore nelle case e negli scriptoria delle
personalità storiche e letterarie medievali, raccontandoci quanto dettagli
apparentemente così insignificanti, come una candela, possono mostrarci
un’epoca molto diversa da quella studiata sui libri di scuola.