L’ombra che mi
cammina accanto
di Barroux
Clichy, 2023
Traduzione di Francesca Ciuffi
pp. 136
€ 22,00
Conoscevo Barroux solo per le sue storie per l’infanzia. Resto
quindi folgorata dalla maturità,
tematica ed espressiva, di questo graphic
novel fortemente autobiografico. L’ombra
che mi cammina accanto è, per l’autore, quella di un fratello morto anzitempo, in circostanze poco chiare e molto
lontano da casa. Solo dopo la sua scomparsa arriva alla famiglia una cartolina:
una serie di nomi di località brasiliane segnalano le ultime tappe del suo
viaggio, o forse solo delle chimere. Sono queste ultime a mettere in movimento,
a spingere in un viaggio che è allo stesso tempo di ricerca, di formazione, di
elaborazione del proprio lutto.
Il Brasile che accoglie
il protagonista è rarefatto,
contraddittorio. La dimensione esasperata della festa lascia spazio a una violenza serpeggiante e sotterranea,
che emerge nel grottesco di alcuni dettagli (un folle che balla da solo nel
deserto, le viscere di un cavallo morto, carcasse d’auto abbandonate sul ciglio
della strada). Il carnevale rivela la sua valenza inquietante, le maschere
appaiono teschi nel baluginare dei falò e il rollio dei tamburi. Non si capisce
mai, del resto, se tutto ciò sia reale, o non piuttosto il frutto dell’angoscia
del protagonista. Tutto si fa riflesso, correlativo
oggettivo, del dolore che grava su di lui, che lo lascia a volte stordito,
a volte impantanato come nelle sabbie mobili.
Il cromatismo scelto da
Barroux asseconda e alimenta questa percezione: i colori della giornata, i
gialli e gli azzurri tenui, si contrappongono violentemente alle notti blu e
nere, in cui trionfa la solitudine, i pensieri cupi e opprimenti come un cielo
che sembra sempre più pesante. Il rosso, l’arancio sono le tinte del ricordo e
della disperazione, della rabbia che divampa come un incendio, del dramma che
si trascina nel presente e non si attutisce nonostante il tempo trascorso,
dell’estraneità che porta a muoversi
nel mondo come gli spettri di se stessi.
Turbano i giorni del cammino frammenti di ricordi condivisi, di una vita trascorsa senza scossoni dall’intera
famiglia, fino alla telefonata che avrebbe cambiato tutto. Due caratteri
opposti: più quieto, razionale, quello dell’autore, più impulsivo quello del
fratello (“come un tossico, per il surf
rischiavi tutto”). Il rimpianto
di non essere partito con lui, di non aver contribuito a tracciare una via
diversa. Il Brasile è pieno di fantasmi,
gli ricorda un uomo incontrato lungo la via. Barroux li sente sussurrare nella
brezza della sera. Non gli dovrebbe essere difficile ritrovare il proprio. Solo
a tratti riemerge il dubbio: nel
sentire il tono preoccupato della madre al telefono, nel vedere la labilità
delle tracce lasciate dal defunto. A tratti, nella solitudine del proprio
pensiero irrequieto, è inevitabile per lui scivolare verso la seconda persona
singolare.
“Che ci faccio qui?” si chiede. “Cammino sulle orme di un fratello morto. Mi aggrappo come posso ai ricordi che ho di te”.
Calcare le sue orme, immaginare i suoi ultimi passi, le sue ultime
ore, è un modo per sentirlo più vicino,
ma anche per capire meglio se stesso, per ritrovarsi in mezzo alla sofferenza. A tratti i loro destini sembrano sovrapporsi, per poi tornare ad
allontanarsi: a São Luis un’aggressione viene sventata per una casualità: “la storia si ripete, tranne che io non sono
mio fratello. Non sono morto”. È forse l’essere
vivo il fardello più complesso da portare, ma è anche il dono più grande. I
vivi devono riappacificarsi con la memoria di chi è mancato, trovare il
coraggio di lasciarli andare, di
seppellirli, di fare di loro delle ombre
che accompagnano, invece che dei pesi che affondano.
Barroux riesce nell’intento non scontato di comporre un’opera intimista e universale,
concreta e metaforica, di grande bellezza visiva. Il coraggio della narrazione,
dell’esplorazione del proprio intimo, che emerge nitido dalle tavole porta con
sé, dal peso iniziale, la leggerezza imprevista dei fiocchi di neve nelle lande
che circondano Belém. Il momento del congedo avviene a bordo d’acqua, sul
Rio delle Amazzoni, alla fine del viaggio. La distesa quieta e celeste può
allora diventare preludio alla pace agognata.
Carolina
Pernigo