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«Che facciamo, Comandante? Che facciamo? Che facciamo?»: saliamo a bordo di una storia di eroismo e di umanità firmata da Veronesi e De Angelis

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Comandante
di Sandro Veronesi ed Edoardo De Angelis
Bompiani, gennaio 2023

pp. 160
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Quanto si può stare in apprensione leggendo della vita su un sommergibile? Pare incredibile, ma quando gli uomini si imbarcano all'alba del 28 settembre 1940 sul Cappellini, partiamo anche noi lettori: sentiamo i desideri e le paure di ognuno; l'intenzione di combattere da eroi, a costo di sacrificare la propria vita; la nostalgia per gli affetti lasciati a terra e la forza dei legami che si vanno a stringere con i propri compagni. Ognuno ha il suo passato, una lingua o un dialetto che porta con sé, storie che gli fanno coraggio e altre che invece gli fanno venire dubbi. E lì sul Cappellini, fianco a fianco, gli uomini condividono spazio vitale e sudore, storie di chi sono e di chi vogliono essere: non si capiscono sempre, anche per via di accenti e lingue, ma si rispettano. Ed è proprio attraverso brevi capitoli intitolati col nome di un personaggio, che i singoli si fanno di volta in volta narratori; così osserviamo dal loro punto di vista cosa sta avvenendo e ci lasciamo trasportare dalla vicenda. 

La storia, tratta da un evento realmente accaduto, è a dir poco colma di eroismo e di umanità: dapprima vi sono giorni di navigazione in estenuante attesa, che ci fanno percepire il desiderio di incappare finalmente in un nemico in quella «guerra che non vediamo l'ora di combattere, perché così, in guerra, senza la guerra, ci sentiamo persi in mezzo al mare, e Radio Andorra non basta a farci ritrovare» (p. 33). Questi momenti di attesa, in cui la tensione è solo qualche volta smorzata dalla musica, dalle chiacchiere e da scampoli del proprio passato, sono quelli in cui impariamo a conoscere il comandante, Salvatore Todaro, esperto e abile stratega, mai incline alla disperazione o al cinismo. Da subito emerge il suo eroismo: Todaro avrebbe potuto rifiutare la missione e restare a terra, visto che alcune ferite riportate in guerra lo costringono a vivere con un busto di ferro che gli divora la carne. Invece, il comandante è lì, tiene ben chiusa la fiala di morfina che ha con sé, e non ci vuole molto perché i suoi uomini inizino a fidarsi di lui e a stimarlo immensamente. Sono i suoi piccoli grandi gesti di umanità, ma anche i sacrifici continuamente smorzati e la dedizione alla fatica a conquistare tutti. 

Accanto a Todaro, operano tanti uomini che impariamo a conoscere e poi a riconoscere: bastano poche righe agli autori del romanzo per farci ammirare la delicata presenza di Marcon, amico di Todaro dai tempi in cui si sono conosciuti in ospedale, dopo aver riportato entrambi gravi ferite di guerra. O per farci divertire con la dedizione del cuoco, Giggino, sempre pronto a enumerare piatti, quasi i loro suoni evocassero sapori e speranze, o a imparare nuove ricette, persino dai nemici. Incontriamo la sapienza del motorista-corollaro Stumpo, che sa leggere i segreti del mare e lo fa con una vocazione a dir poco commovente. E ammiriamo il tenente triestino Stiepovich, che ha portato con sé il violino, nonostante gli spazi ristrettissimi a bordo. 
Loro e altri animano le prime pagine, finché si giunge all'evento tanto atteso: un giorno, viene avvistato un mercantile che naviga a luci spente. Non si capisce quale bandiera sventoli, né perché stia navigando in incognito: bisogna abbatterlo, perché molto probabilmente appartiene ai nemici. 
Ecco allora che la narrazione si anima, i colpi di scena di avvicendano in pochissime righe, in cui dovremo anche dire addio ad alcuni personaggi che ormai avremo imparato ad amare. Non c'è però spazio per il lamento, perché bisogna prendere altre decisioni in fretta, e il comandante Todaro non si sottrae al suo dovere. Poi, però, quando la nave del nemico affonda, si pone un terribile dilemma: cosa fare dei naufraghi, quelli che stanno nuotando verso il loro sommergibile o stanno remando sulle loro scialuppe? Qualsiasi marinaio dovrebbe soccorrere i naufraghi, ma Todaro ha ricevuto un ordine ben preciso dai suoi superiori... 
Naufraghi, Rina mia. Uomini vinti che nuotavano a fatica e puntavano tutte le loro forze residue sul nero sommergibile che li aveva appena ridotti in quello stato. Uomini che fino a mezz'ora prima avevano le stesse cose che abbiamo tutti noi, e bada, Rina, che non parlo di denaro, non parlo di ricchezze, parlo delle povere cose che ogni uomo si porta sempre dietro, anche in guerra: le foto dei propri cari, il rasoio, il pennello e il sapone per radersi, le sigarette, gli zolfanelli, il pettine, la brillantina, le forbicine, il portachiavi, la roba di ricambio, un maglione di lana fatto ai ferri dalla mamma, le scarpe da riposo, un orologio da taschino appartenuto a un antenato, un mazzo di carte da gioco, una penna stilografica con l'inchiostro raggrumato nel pennino. Tutte quelle loro povere cose in quel momento stavano per toccare il fondo dell'oceano insieme alla nave che le conteneva. Quegli uomini non avevano più nulla. Avevano solo un corpo, sempre più pesante, sempre più vicino alla fine, un corpo ancora caldo che l'acqua gelata avrebbe assiderato in pochi minuti. Anzi, Rina cara, non è giusto che io dica "avevano": loro "erano" quel corpo, ormai erano soltanto quello. Non erano superstiti, come li chiama l'ordine 154 di Dönitz, erano naufraghi. (p. 88) 
La scelta di aiutarli dà atto a una serie di conseguenze altrettanto difficili, a cui il comandante deve fare fronte con ancor più sangue freddo, perché i dilemmi etici si susseguono e i rischi si fanno sempre più alti. 

Commovente, delicato ed estremamente ricco di empatia verso il prossimo, Comandante è un romanzo corale che non vibrerebbe così senza la polifonia, testimoniata dalle diverse tessere linguistiche dei personaggi. C'è una rude dolcezza in molte delle pagine, che vive di ossimori e di buonsenso, di coraggio e di slanci verso il prossimo. 
Dietro questo recupero di un episodio bellico realmente accaduto, romanzato sì, ma con grande ricerca di verosimiglianza, vi sono anche scelte etiche e politiche ben nette: non a caso Sandro Veronesi ed Edoardo De Angelis hanno pensato di scrivere quest'opera nel 2018, dopo l'estate in cui tanti profughi, in fuga dai lager libici, hanno trovato la morte durante la traversata del Mediterraneo. In particolare, 
«ciò che rese quell'estate così difficile da sopportare fu il fatto che, anziché un potente moto di solidarietà, in Italia si produsse una violenta onda xenofoba che si accanì in particolare su [...] coloro che una volta finiti in acqua, anche ammettendo che disponessero di qualche relitto cui aggrapparsi, non avevano che poche ore di sopravvivenza. Su di loro, gli ultimi degli ultimi, venivano convogliate le più basse deiezioni morali sotto forma di slogan ripetuti sui social media». (pp. 9-10)

Oltre ad aver deciso di fondare un movimento, "Corpi", lo scrittore Sandro Veronesi incontra e condivide le sue idee con il regista e sceneggiatore Edoardo De Angelis. Non ci vuole molto perché nasca l'idea per un film storico «in cui un ufficiale della Regia Marina Italiana, in piena guerra, disobbedisce agli ordini dei tedeschi e salva ventisei nemici appena affondati con il suo sommergibile» (p. 13). Ma qualcosa di veramente “magico” accade a questo punto, una di quelle coincidenze straordinarie che incontrerete nella prefazione autoriale e che vi farà capire che Comandante è davvero la storia giusta al momento (storico) giusto. 

GMGhioni