Omero, il vecchio aedo, ha dato voce al nostro popolo o, per meglio dire, agli uomini del nostro popolo e al loro modo di intendere l’esistenza, contesta di violenza e gloria, di donne e altri averi da contendersi prima di morire e dissolversi in ombre. Si è nascosto dietro i suoi personaggi, anche dietro di me. Soprattutto dietro di me. Ha fatto di me lo snodo del desiderio di tutti, il centro a cui si mira. […] Mi guarda e mi canta, incredulo, ammirato, mentre me ne vado di casa, lasciando i genitori, il marito, la figlia, mentre parto a guadagnarmi la mia reputazione. Salpo una volta, due volte, o forse non mi muovo mai; semplicemente gli altri non mi trovano più. Provoco sempre scandalo. (pp. 12-13)
Una dichiarazione di intenti ben chiara e definita: Elena, la bella Elena, causa della guerra di Troia, delle sciagure di popoli e intere nazioni, ora si rivolge agli uomini e alle donne di oggi, orgogliosa di avere «una stanza tutta per sé» (p.13), un luogo che lei ha scelto, fuori dal tempo del mito, per poter depositare la sua versione dei fatti, o meglio, la sua «trama». Sì, proprio una trama: un intreccio di racconti, di versioni diverse di alcuni miti, raccontati non da un uomo, ma, finalmente da una donna, da lei stessa! L’alternativa giusta ad una versione tramandata da voci maschili che domina da oltre tremila anni.
Ed ecco che Elena intesse, con pazienza ed eleganza, attraverso la delicata penna di Francesca Sensini, il suo «romanzo genetico», da quando era dentro a un uovo color glicine, passando attraverso le sue storie d’amore per arrivare all’ultimo ricamo del suo arazzo: il ritorno a Sparta, al fianco del marito Menelao. Non viene dimenticata dall’eroina la variante del mito che, alla sua morte, la vuole insieme ad Achille sull’isola di Leuca, ossia l’isola «bianca splendente».
I rapimenti cominciano presto, sembrano proprio una costante della sua vita da “donna più bella del mondo”: Teseo se ne invaghisce quando lei era poco più di una bambina e la porta ad Atene, nel suo regno. Elena resta lontana dalla famiglia per due anni e quando vi fa ritorno da sola, alla morte del re ateniese, il padre Tindaro, freddamente le chiede di trovarsi un marito tra i vari contendenti che provenivano da ogni zona della Grecia, giovani ricchi, belli e nobili. Emblematica la figura del padre di Elena: Tindaro è una sorta di vittima del fato. Dopo l’accoppiamento di sua moglie Leda con Zeus apparso sotto forma di cigno, non ha più potere su di lei, non può toccarla; stessa sorte gli è toccata con Elena, frutto del “tradimento”, dell’unione ieratica della consorte con un dio. Due donne che non gli appartengono, che stanno sotto il suo stesso tetto, ma non sotto la sua giurisdizione. Tranne Clitemnestra, avuta da Leda e sorella gelosa di Elena. La bellezza di quest’ultima per un padre è una grossa responsabilità, un peso troppo grande da portare: lui avrebbe desiderato per sé una vita familiare normale, e quindi non vede l’ora di affidarla ad un uomo che sappia fronteggiare la catastrofe che sembra aleggiare nel cielo quando lei si mostra agli umani, in tutta la sua divina e luminosa bellezza. Una bellezza che scatena disgrazie, tradimenti e gelosie, di cui lei vuole assumersi le responsabilità solo in parte, soprattutto per quanto riguarda la guerra di Troia, che ha chiuso un’epoca: l’età degli eroi.
Gli umani avevano bisogno di una forza che modificasse lo stato di quiete della loro esistenza, altrimenti arresa al destino insensato della loro specie. Era necessario un piacere che facesse balenare nelle cose comuni il riflesso d’oro e di turchese della serenità divina. Quella forza e quel piacere sono io, fantasia umana in cerca di un vivificante antidoto contro lo squallore e la noia. (p. 32)
«Elena ha voglia di raccontarsi ed essere capita: ha voglia di uscire dal discorso vittimario, improntato ad un rigidissimo patriarcato. È la storia di una donna, la più desiderata dagli uomini, come un oggetto, un bene di proprietà e attraverso la sua storia, una lunga storia che dura da tremila anni, noi contemporanei possiamo capire molto di più su noi stessi. La trama di Elena tocca tanti aspetti della vita: l’amore, l’amicizia, il rapporto di fratellanza, le scelte difficili, il dolore, la morte, la vita» queste sono le parole della scrittrice, che ho avuto la fortuna di incontrare da remoto su invito della casa editrice insieme a un gruppo di blogger. In questa occasione Sensini ha anche confessato che la parte più difficile di tutto il suo lavoro su questo libro è stato non soltanto quello di «cercare e ordinare cronologicamente gli svariati eventi della vita di Elena, ma anche quello di sintetizzarli armoniosamente con la voce di lei, ora eterna ragazzina ora donna che ha visto su di sé lo scorrere degli eventi» che hanno fatto la storia del mondo antico. Lei ora è qui e ce li vuole raccontare, uscendo dal calcatissimo percorso binario innocente/ colpevole: semplicemente ad Elena non interessa questo discorso.
Elena vuol dire “fiaccola”, la sua bellezza è eterna, divina e diventa l’unica arma contro la noia e la monotonia del vivere, anche se è costata vite umane. Nella sua trama Elena tiene a raccontare la verità, spesso più versioni di verità come diverse facce dello stesso prisma, dal momento che sia lei che le Muse «non sanno che farsene del vero umano, un feticcio cavo, solo razionale […]» (p. 9). Elena è una semidea, figlia di Zeus e di una donna, anzi “della donna” - il nome Leda in antico lidio significa «la donna» (p. 32) - e quindi
Posso essere ogni donna e nello stesso tempo nessuna. Tendo per vocazione a riprodurre, nel mio agire, la moltitudine e l’instabilità del reale. Non fingo né metto in scena alcunché. E anche se mento, non intendo ingannare. Le mie sono verità successive. Non c’è dolo. […] Destinata a rappresentare la bellezza assoluta in figura di donna, dovevo portare dentro di me, e sulle spalle, l’avventura intera del mondo. Sono stata chiamata a ripetere, in piccolo, il momento in cui l’uovo si rompe, scompare, e appare colui che fa apparire le cose, Fanéte il primogenito, che dà avvio alla storia. Lo fa in virtù del terzo nome che gli orfici, i primi poeti, gli hanno attribuito, Eros. E chi dice Eros, dice Elena. (pp. 22-24)
Dal canto mio, preferisco mi si attribuisca una parte importante di responsabilità nello sconvolgimento seguito alla mia sparizione da Sparta. Nello stesso tempo, però, desidero essere considerata innocente, almeno, tanto quanto ne ho l’apparenza. D’altronde l’amore non è un crimine. È, tutt’al più, una sventura; la sola, forse, di cui faremmo a meno malvolentieri. Certo la postura della vittima mi sollevava dalle responsabilità riducendomi a mero oggetto del contendere. Gli uomini fanno la guerra per le donne, perché esistono e battono sul nerbo del desiderio. […] Io, invece, potevo scegliere e ho scelto, costretta, di seguire Paride. (p. 104-105)
Elena si ribella, non vuole ridursi ad un mero oggetto del desiderio, ma vuole anche esprimere quali siano stati i suoi desideri, quali siano ancora oggi. Elena è l’ideale di bellezza assoluta e come tale non ha volto, lei è tutte le donne, quelle che scelgono l’amore, sempre.
Io aspetto Paride, un Paride, sempre. Aspetto un nuovo momento felice, un vento nuovo che è l’attesa per la vita ancora da venire, il mio famelico desiderio di vivere ancora. ( p. 157)