€ 17 (cartaceo)
Così vivevamo, mio padre e io, in quel quartiere grigio, a volte color fumo, a volte nero, non del tutto tranquilli per via della nostra ciclica penuria: ogni volta che la dispensa cominciava a svuotarsi (mangiavamo soprattutto uova); ogni volta che le banconote diventavano monete e le monete, meno monete; ogni volta che impegnavamo un mobile, abiti, utensili, mio padre smetteva di dormire e restava così, notte dopo notte, finché ideava un piano per recuperare le nostre cose, trasformare le monete in banconote e riempire la dispensa. (p. 25)
Quando litigavamo, mio padre baciava una foto della mia infanzia; senza guardarmi, diceva: "Voglio bene a lui, non a te" ed era doloroso, anche, provare gelosia per me stesso. (p. 54)
CONTINUATE A BALLARE, FARFALLE, avevano scritto col sangue. (p. 47)
Tanto la dolcezza del loro legame è intensa, tanto la descrizione delle esperienze del giovane sono crude: una contrapposizione, questa, assolutamente necessaria in un testo in cui l'autore descrive le sperimentazioni sessuali in modo clinico, risoluto, senza rifuggire il dettaglio più realistico. Seguiamo allora il nostro giovane protagonista nei locali gay del quartiere, in edifici misteriosi pieni di corpi, di nudità, di promiscuità senza colpa; lo vediamo davanti al pc, online su un sito di "incontri" virtuali, su cui scorrono centinaia, migliaia di uomini in cerca di sesso facile o di qualche secondo di piacere; lo osserviamo ballare in una discoteca, circondato da sudore, da droghe, da mani e labbra che si perdono sul suo corpo.
Cercai di nuovo le docce. In uno dei corridoi, arrivando all'ultima porta, vidi un uomo: era controluce e mi piacque la sua figura. Andai verso di lui, deciso a parargli, o forse a guardarlo di fronte, sperando che succedesse qualcosa. Anche lui venne verso di me, cauto, all'inizio, come scollando i piedi dal pavimenti. E tuttavia, quando affrettai il passo, anche lui lo affrettò, sempre più vicino, tutti e due, più vicino, vicino, finché...Uno specchio. (p. 81)
La narrazione alterna allora due mondi: quello reale che il giovane vive col padre, colmo di preoccupazioni, di fame, di ingegnosità, e quello intimo, col quale scopriamo, insieme a lui, un mondo "altro", quello sopravvissuto ai margini di una città che attrae e respinge.
Non tutto però è tristezza: i buoni propositi di Papi, verso la fine del romanzo, troveranno soddisfazione.
Che forse la ruota sia finalmente girata nel vero giusto? Che la fame sia finalmente finita?
Il "mondo orfano" del titolo non si riferisce né alla fame né all'intimità: è un pianeta perso nell'universo, una stella di speranza a cui i due protagonisti guardano con nostalgia e un ottimismo fanciullesco.
Lo stile di Giuseppe Caputo è divisivo: tanto commovente e straziante nella descrizione vellutata del rapporto tra padre e figlio, tanto bestiale e violenta nell'immaginario di quel misterioso evento luttuoso e nell'esplorazione intima dell'omosessualità. Forse la copertina del libro riassume proprio queste due facce della stessa medaglia: laddove la farfalla, la mariposa in spagnolo, rappresenta sì la leggerezza, la frivolezza della vita breve, ma anche il sinonimo per definire gli omosessuali, il toro (o il bue) ci lascia intuire un qualcosa di sacrificale, di ferino e però fecondo.
Questo è un libro intenso: ho provato commozione, disgusto, ansia, ribrezzo, attrazione.
La scrittura è fiorita, lirica, ma spietata.
Lo consiglio a chi ama i racconti senza filtri, a chi non ha paura di inorridire e, al tempo stesso, di commuoversi sino alle lacrime pensando alle persone care.
Deborah D'Addetta