Bestiale e struggente: "Un mondo orfano" di Giuseppe Caputo per Polidoro Editore


Un mondo orfano
di Giuseppe Caputo
Alessandro Polidoro Editore, gennaio 2023

Traduzione di Francesca Lazzarato

pp. 250
€ 17 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)

Così vivevamo, mio padre e io, in quel quartiere grigio, a volte color fumo, a volte nero, non del tutto tranquilli per via della nostra ciclica penuria: ogni volta che la dispensa cominciava a svuotarsi (mangiavamo soprattutto uova); ogni volta che le banconote diventavano monete e le monete, meno monete; ogni volta che impegnavamo un mobile, abiti, utensili, mio padre smetteva di dormire e restava così, notte dopo notte, finché ideava un piano per recuperare le nostre cose, trasformare le monete in banconote e riempire la dispensa. (p. 25)
Giuseppe Caputo, scrittore colombiano, con Un mundo huérfano (2016) entra nella lista Bogotà 39 dei migliori scrittori latinoamericani sotto i quarant'anni. Polidoro Editore pubblica il libro questo gennaio 2023 con il titolo Un mondo orfano e la traduzione di Francesca Lazzarato.
Ci troviamo nella periferia di una città senza nome - "il bosco elettrico" - che, per certi versi, mi ha ricordato un po' la metropoli cangiante di Blade Runner, un po' le atmosfere oscure che Julian Rios descrive nella sua Tamoga in Corteo di ombre: le tentazioni della città sfavillante da un lato, l'orrore e la familiarità della periferia buia ma vicina al mare dall'altro.
I due protagonisti, anch'essi senza nome, sono un padre e un figlio, il primo chiamato teneramente Papi dal secondo, il secondo chiamato nei modi più zuccherosi dal primo: "amore mio", "figlio mio", "luce mia". Sono poveri, poverissimi, eppure Papi ha quel tipo di carattere propenso a non abbattersi, all'escogitare decine di espedienti, dal più sciocco al più fantasioso, per sopravvivere. Espedienti che, davvero, fanno quasi sorridere, ma che sono metafora straziante di quanto la fame possa condurre un uomo sull'orlo della follia.
Nonostante le difficoltà però, loro due saranno uniti da un amore infinito: non importa il buio, il freddo, la corrente staccata, i debiti, la mancanza di lavoro; fin tanto che staranno insieme, che si prenderanno per mano e si sosterranno a vicenda, tutto andrà sempre bene.
Quando litigavamo, mio padre baciava una foto della mia infanzia; senza guardarmi, diceva: "Voglio bene a lui, non a te" ed era doloroso, anche, provare gelosia per me stesso. (p. 54)
Tuttavia, d'improvviso, arriva l'orrore. Un pugnale nello stomaco, nauseante, imprevisto.
CONTINUATE A BALLARE, FARFALLE, avevano scritto col sangue. (p. 47)
Un evento terribile ai danni della comunità di uomini omosessuali di quella periferia ai bordi di Via delle Luci. Il nostro ragazzo, omosessuale anch'egli, vivrà l'accadimento con angoscia, ma non tanto per lui, quanto per suo padre, preoccupato che la brutalità di ciò che è accaduto possa colpirlo allo spirito. 
Tanto la dolcezza del loro legame è intensa, tanto la descrizione delle esperienze del giovane sono crude: una contrapposizione, questa, assolutamente necessaria in un testo in cui l'autore descrive le sperimentazioni sessuali in modo clinico, risoluto, senza rifuggire il dettaglio più realistico. Seguiamo allora il nostro giovane protagonista nei locali gay del quartiere, in edifici misteriosi pieni di corpi, di nudità, di promiscuità senza colpa; lo vediamo davanti al pc, online su un sito di "incontri" virtuali, su cui scorrono centinaia, migliaia di uomini in cerca di sesso facile o di qualche secondo di piacere; lo osserviamo ballare in una discoteca, circondato da sudore, da droghe, da mani e labbra che si perdono sul suo corpo.
Lui non disdegna nulla: ciò che conta è osservarsi, dentro e fuori, compiacersi di ciò che sente, senza nascondersi o vergognarsi.
Cercai di nuovo le docce. In uno dei corridoi, arrivando all'ultima porta, vidi un uomo: era controluce e mi piacque la sua figura. Andai verso di lui, deciso a parargli, o forse a guardarlo di fronte, sperando che succedesse qualcosa. Anche lui venne verso di me, cauto, all'inizio, come scollando i piedi dal pavimenti. E tuttavia, quando affrettai il passo, anche lui lo affrettò, sempre più vicino, tutti e due, più vicino, vicino, finché...Uno specchio. (p. 81)

La narrazione alterna allora due mondi: quello reale che il giovane vive col padre, colmo di preoccupazioni, di fame, di ingegnosità, e quello intimo, col quale scopriamo, insieme a lui, un mondo "altro", quello sopravvissuto ai margini di una città che attrae e respinge.
Non tutto però è tristezza: i buoni propositi di Papi, verso la fine del romanzo, troveranno soddisfazione.
Che forse la ruota sia finalmente girata nel vero giusto? Che la fame sia finalmente finita?
Il "mondo orfano" del titolo non si riferisce né alla fame né all'intimità: è un pianeta perso nell'universo, una stella di speranza a cui i due protagonisti guardano con nostalgia e un ottimismo fanciullesco.
Lo stile di Giuseppe Caputo è divisivo: tanto commovente e straziante nella descrizione vellutata del rapporto tra padre e figlio, tanto bestiale e violenta nell'immaginario di quel misterioso evento luttuoso e nell'esplorazione intima dell'omosessualità. Forse la copertina del libro riassume proprio queste due facce della stessa medaglia: laddove la farfalla, la mariposa in spagnolo, rappresenta sì la leggerezza, la frivolezza della vita breve, ma anche il sinonimo per definire gli omosessuali, il toro (o il bue) ci lascia intuire un qualcosa di sacrificale, di ferino e però fecondo.
Questo è un libro intenso: ho provato commozione, disgusto, ansia, ribrezzo, attrazione.
La scrittura è fiorita, lirica, ma spietata.
Lo consiglio a chi ama i racconti senza filtri, a chi non ha paura di inorridire e, al tempo stesso, di commuoversi sino alle lacrime pensando alle persone care.

Deborah D'Addetta