Il 29 febbraio 1960 ad Agadir il mondo sprofondò. Senza di me, però, e senza Mademoiselle Mottier, arrivata anche lei troppo tardi. Per la verità noi arriviamo per lo più quando tutto è finito. Noi corriamo sopra i campi di battaglia, sopra le rovine della storia, io con il microfono, Mademoiselle Mottier con la cassettina del pronto soccorso. Discreti, modesti, e con la carta di credito della Société des Banques Suisses. Io come reporter della televisione, Mademoiselle Mottier come infermiera della Croce Rossa. Due pietosi samaritani, le inevitabili comparse di tutte le grandi catastrofi del nostro tempo. (p. 149)
Quella di André Kaminski è una penna davvero interessante: asciutta, a volte dal ritmo spezzato, altre volte capace di volute descrittive, evocative e mai pompose, ma sicuramente efficaci. Lo scrittore, ebreo polacco-ucraino, direttore di programmi artistici per la televisione polacca e svizzera, ha vissuto nei paesi dell’Africa settentrionale girando documentari tra gli anni ‘50 e ‘60.
Portava il velo. Allah solo sa perché. Io non indovinerò mai quel che accadeva dietro quel velo. Le donne di Algeri cominciavano a liberarsi. Non volevano più ubbidire ai mariti, cominciavano a camminare a testa alta, a viso nudo. La lunga notte era finita. La signora Zaui la pensava diversamente. Pensava molto, suppongo, e parlava poco. Solo di tanto in tanto faceva un’osservazione, breve e tagliente, ma ogni volta colpiva nel segno. Un giorno guardò fuori della finestra e di punto in bianco dichiarò: «Chi si toglie il velo non ha niente da nascondere». (p. 38)
Una donna forte e misteriosa, sola. La signora Zaiu porta con sé un inquietante segreto.
Il libro si apre ad un ventaglio di tematiche, profondamente umane, e sullo sfondo campeggiano un’Algeria e un Marocco che cambiano, che si aprono arrancando al vento della modernizzazione e della tecnologia. Il nostro narratore è in cerca di attori e di nuovi aiuto-regista. Da quando sono andati via i francesi, gli studi di registrazione sono deserti e non c’è nessuno in grado di trasmettere programmi televisivi, ma, ad un certo punto accade l’impossibile.
Bertholet era sicuro che quella sera non ci sarebbe stato alcun programma. Dei seicento impiegati, ne erano rimasti soltanto una dozzina: due funzionari subalterni, un cassiere sordo, il gobbo Mersug, sette fattorini e Moaki. Ma Moaki non conta perché è scemo. In realtà Moaki era il più furbo buono a nulla che avessero mai avuto tra di loro. (…) Erano le cinque del pomeriggio quando entrò nella sala dei bottoni e, nel buio più completo, cominciò febbrilmente a premere tutti i tasti, uno dopo l’altro, fino a quando all’improvviso un lampo squarciò l’oscurità. Si accesero lampadine verdi. I ventilatori cominciarono a ronzare. Luci al neon tremolarono. Era incredibile. Moaki aveva rimesso in funzione la televisione. (pp. 22-23)
Marianna Inserra