La bambina che non doveva piangere
di Giuseppe Culicchia
Mondadori, febbraio 2023
pp. 228
€18,00 (cartaceo)
€9,99 (ebook)
Giuseppe Culicchia aveva già trasformato in un libro una parte inedita della propria storia, raccontando in Il tempo di vivere con te la dolorosa vicenda del cugino Walter Alasia, giovane entrato nelle Brigate Rosse e rimasto ucciso in uno scontro con la polizia, durante il quale persero la vita anche due agenti. Degna continuazione di quella storia, La bambina che non doveva piangere rende omaggio alla madre di Walter, Ada Tibaldi. Con un tono narrativo che mescola dolcezza e dolore, speranza e ineluttabilità, Culicchia dà vita a un’opera unica nel suo genere, mostrando l’incedere della Storia e le sue conseguenze funeste su una famiglia e soprattutto su una madre.
Ada Tibaldi nasce nel 1933 a Nole Canavese ed è la terza di sei fratelli e sorelle. Mentre il mondo intorno a lei si trasforma in un teatro di guerra e violenza, Ada cresce alimentando il buon carattere che le è stato dato in dono e risponde alle difficoltà del suo tempo facendosi bastare quel poco che ha. L’adolescenza di Ada si svolge fra i telai dove inizia a lavorare fin da ragazzina e le feste di paese dove può dar sfogo alla propria gioia di vivere. L’incontro con Guido Alasia è destinato a cambiare la sua vita. Ada va a vivere a Sesto San Giovanni e inizia a lavorare come operaia, in un momento storico in cui sulla scena politica italiana cominciano a irrompere termini come rivoluzione e lotta di classe: la Storia raccoglie le conseguenze di quella guerra fratricida che l’Italia ha condotto dal 1943 al 1945 e modella nuovi scenari, nuovi pericoli che sconvolgeranno le vite di migliaia di famiglie. Ada, che ha una naturale propensione nei confronti del giusto, partecipa con fervore alle manifestazioni per i diritti dei lavoratori, sfruttando la sua inclinazione da trascinatrice per coinvolgere colleghe e amiche nella lotta e diventare una vera e propria attivista del sindacato. Walter, il suo secondo figlio, eredita questo fervore, e gli sarà fatale.
Fin da piccolo Walter ascolta affascinato i discorsi della madre, che non ha paura di dire quello che realmente pensa su quanto avviene nel Paese:
«Cos’è questa, una democrazia? No caro mio: questa è una messinscena. La si dovrebbe chiamare col suo nome: un’oligarchia a delinquere, altro che. Si riempiono la bocca di parole vuote, dicono che siamo una repubblica fondata sul lavoro quando il lavoro di fatto è sfruttamento, e mica solo quando è in nero. Se protesti, sono manganellate con la scusa di difendere i valori della Costituzione. Tutte balle. Danno uno stipendio misero ad altri proletari in divisa perché difendano il potere che lorsignori detengono e incarnano.» (p. 120)
La tensione in Italia cresce, le stragi aumentano, i conflitti assumono le forme della lotta armata e si trasformano in un’autentica guerra civile: la Storia si ripete, anche ora si vive e si muore per degli ideali, o servendo chi questi ideali dovrebbe incarnare. Walter cresce in questo contesto politico-culturale infiammato. Impiega poco a diventare uno dei punti di riferimento per gli scioperi e le manifestazioni a scuola, dove mette piede soltanto per fare politica: ha la passione ingenua ma nobile che contraddistingue i giovani convinti di poter scegliere da sé come acquisire la cultura, e così trascorre il tempo leggendo Marx fra una contestazione e l’altra. Ma a un certo punto la sua passione va oltre l’impegno politico manifestato tra le mura scolastiche. Siamo nel 1975, Walter entra nelle Brigate Rosse. Ada pensa alla scia di morti che insanguina l’Italia da una decina d’anni, si dispera, ma sa di non poter fermare quel figlio così ostinato dal carattere uguale al suo. Lei è l’unica a sapere: Walter ha sempre avuto un rapporto speciale con la madre, l’unica persona alla quale sente di confessare ogni cosa. Nel 1976 la Storia fa il suo corso e mette nel mirino anche la famiglia Alasia: la polizia è da tempo sulle tracce di Walter, e una mattina fa irruzione in casa. Walter spara al maresciallo Sergio Bazzega e al vicequestore Vittorio Padovani, poi viene ucciso con un colpo al cuore. Ada morirà otto anni dopo di infarto.
Culicchia racconta la storia della sua famiglia con grande trasparenza, sfuggendo alla tentazione di dipingere Walter come un eroe morto per i propri ideali, tranello nel quale sarebbe stato facile cadere considerando il filtro dell’affetto familiare che scandisce la narrazione. Al contrario, come prima cosa l’autore racconta la disgrazia della sua famiglia intervallando la storia degli Alasia con continui riferimenti agli altri delitti avvenuti in quegli anni: il sacrificio di Walter ha ben poco di autoreferenziale, ma acquista senso nella misura in cui il giovane si è battuto in nome di una lotta collettiva. Una lotta nella quale non ci sono eroi: Walter per primo, un momento prima di morire, ha tolto la vita a due persone, e così avviene da sempre in guerra dove anche gli ideali più alti si sporcano di sangue. Questo libro non è la celebrazione di un giovane combattente pronto a morire per stare dalla parte del giusto o di quello che riteneva tale. È piuttosto una dolorosa presa di coscienza dell’enorme strage di vite provocata dalla Storia negli anni di piombo, ma soprattutto è un invito ad andare oltre la sterile narrativa del fascismo contro il comunismo, così in voga nel nostro Paese. La scelta di dedicare il libro a Ada trova la sua ragion d’essere nel desiderio di onorare l’amore di una madre, che trascenderà sempre il sentire politico: ce lo ricorda la protagonista stessa, che in un’occasione ha affermato che se il figlio si fosse fatto prete, lei sarebbe andata a messa tutte le domeniche.
Alessia Martoni