L’isola
di Ragnar Jónasson
Marsilio, 2023
Titolo originale: Drungi
Traduzione di Valeria Raimondi
pp. 249
€ 18,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Secondo volume della Trilogia di Hulda, L’isola
conferma le qualità che portano molti lettori ad apprezzare Ragnar Jónasson:
una prosa estremamente asciutta, un
occhio attento e un po’ innamorato ai paesaggi
nordici, e un intreccio serrato,
con continui salti temporali e di prospettiva.
Benché non sia fondamentale alla comprensione del
romanzo la lettura di quello che lo ha preceduto (trovate qui la recensione),
chi abbia seguito l’ordine previsto dall’autore non può prescindere dal
richiamare alla mente le informazioni già acquisite. Finirà quindi per leggere
sempre tra le righe, per vedere le ambiguità e gli indizi disseminati volutamente da Jónasson nel testo a uso e
consumo del lettore, che sa già molto più di quanto sanno i personaggi su ciò
che avverrà.
Non risulta ancora del tutto convincente, se non
in un’ottica commerciale, la scelta di comporre una trilogia che procede a ritroso, partendo dalla (amara)
conclusione per risalire sempre più indietro nel tempo, a identificarne le
radici profonde, cercando di districarle dall’agire di un destino impietoso. Se
infatti da un lato la soluzione proposta pare certamente anticonvenzionale,
dall’altro il conoscere già il finale – e che finale! – può smorzare quella tensione teleologica che gioca un ruolo
determinante nella passione per le saghe.
La figura di Hulda, la protagonista, qui
cinquantenne, per buona parte del romanzo viene mostrata in un ruolo
secondario: la vediamo infatti impegnata ad affrontare i suoi fantasmi, presenti e passati, non direttamente
coinvolta nelle indagini. La prima metà dell’opera, infatti, è funzionale alla
preparazione dello scenario in cui le indagini si svolgeranno: dapprima il caso
di una ragazza assassinata sul finire degli anni ‘80 nei Fiordi occidentali e
un processo che ha portato a una condanna che lascia molti dubbi; poi, esattamente
dieci anni dopo, la morte di uno dei partecipanti a un’uscita di gruppo, un
ritrovo di vecchi amici che trascorrono alcuni giorni su un’isola deserta nel
sud dell’Islanda, nel piccolo arcipelago delle Vestmann.
Quasi subito si inizia a configurare un legame tra i due episodi, ma servirà
il resto del volume per metterlo a fuoco. Una focalizzazione interna variabile sui quattro partecipanti alla gita
a Elliðaey consente all’autore di accelerare
il ritmo della narrazione e di mantenere fino all’ultimo la suspense su chi sia la vittima. Benedikt,
che ha amato la ragazza uccisa ed è stato l’ultimo a vederla viva? Il fragile
Dagur, la cui esistenza è stata distrutta dalla catena di eventi che ha seguito
la morte di Katla? Alexandra, ora madre di famiglia, impaurita da tutto e
desiderosa di lasciare i segreti sepolti, o Klara, che non ha ancora trovato il
suo posto nel mondo ed è perseguitata dai ricordi?
Quando viene chiamata a investigare su quello che
potrebbe sembrare un suicidio o un tragico incidente, Hulda non ci mette molto
a capire che qualcosa non torna. Nel parlare con i sopravvissuti, percepisce
subito l’equilibrio instabile tra
innocenza e colpa, tra cose dette e taciute. Il forte legame personale che
avverte nei confronti delle vittime (“il
suo istinto l’aveva tradita, e lei aveva tradito quella povera ragazza”, p.
165), ma anche talora dei sospettati (“le
faceva pena e lo capiva bene. Sapeva che certi crimini sono così infami da
giustificare la vendetta”, p. 235), le dà la motivazione necessaria a lavorare senza sosta nelle lunghe
serate estive islandesi, e affrontare le resistenze dei colleghi maschi, che si
sentono minacciati da lei e faticano a lasciarle i suoi spazi nel processo
investigativo.
Come anche ne La
signora di Reykjavik, Jónasson dedica molto spazio alla costruzione dell’impalcatura narrativa,
poi il ritmo accelera vertiginosamente e gli eventi si comprimono in poche
pagine nel finale.
Oltre ai continui ammiccamenti lanciati al lettore in merito a quello che verrà
spiegato, o avverrà in seguito nella vita di Hulda e che il lettore già conosce
per aver letto il primo volume della trilogia, nuovi avvenimenti contribuiscono
ad accrescere la solitudine della
poliziotta e la percezione che ha di lei chi legge. Tanto più Jónasson
accatasta sfortune e ingiustizie a
danno di Hulda, tanto più cresce
l’empatia nei suoi confronti. E sapendo che l’autore non avrà modo di
venire fuori dalla cornice che lui stesso ha creato, l’accanimento della vita
contro il personaggio inizia ad apparire un po’ eccessivo. Ecco perché si esce
dalla lettura un po’ contrariati: convinti, ancora una volta, dall’abilità autoriale
che rende il romanzo avvincente e la soluzione non scontata, ma con
l’impressione sottile che il patto narrativo non sia stato del tutto
rispettato.
Carolina
Pernigo