1889
di Régis Jauffret
Edizioni Clichy, gennaio 2023
Traduzione di Tommaso Guerrieri
pp. 240
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Le madri saranno responsabili dei peccati commessi in seguito dal figlio che hanno portato dentro di loro. Verremo accusate di aver allevato per nove mesi un assassino, un mostro, un essere che farà rimpiangere a Dio di aver creato Adamo. Ci verrà rimproverato di aver generato infanti asfittici, le cui ceneri concimeranno la terra di frutteti la cui raccolta servirà a nutrire i figli dei carnefici. (p. 5)
Klara è sposata con quello che lei chiama Zio. Non è solo una questione di rispetto: sono effettivamente imparentati tanto da aver avuto necessità di dispensa speciale per matrimonio tra consanguinei. Lei è la terza moglie dello Zio, un funzionario delle Dogane nell'impero austro-ungarico di fine Ottocento. Lo Zio è un uomo ottuso, a volerlo guardare sotto una luce comprensiva, violento, a volerlo vedere sotto una luce più onesta. Hanno già avuto due figli, entrambi morti di croup da piccoli, e Klara vive ora questa gravidanza con ansia e aspettativa. Lo Zio vuole un maschio, qualcuno che porti il suo cognome ed estenda la dinastia. Lui è infatti molto fiero del suo cognome, frutto di un aggiustamento recente.
Non cambiò la lettera maiuscola fiera e solida come una fortezza, conservò la «i» che la seguiva, tolse una «e», ne conservò un'altra insieme alla «r» finale ma bandì la quarta lettera – una grossolana «d» – a vantaggio di una snella «t», che conferiva alla sua nuova firma un'apparenza più cittadina. (p. 14)
Klara ancora non sa il nome del bambino o bambina che nascerà il 20 aprile 1889: sa solo che dovrà portare avanti il cognome Hitler.
Una delle incarnazioni del Male non solo del secolo scorso, ma di tutti i tempi, è quella di Adolf Hitler che non necessita di presentazioni. Nella conoscenza comune, al di là dell'ascesa politica e di tutto quello che ne è conseguito, si sa della sua frustrata ambizione come pittore e delle onorificenze ottenute durante la Prima Guerra Mondiale: non si risale mai più indietro, non si esplora la sua infanzia e, meno che mai, si pensa a come potesse essere il contesto familiare prima ancora della sua nascita. Per fare questa operazione narrativa serviva un autore come Régis Jauffret che mai si è tirato indietro nel raccontare e sprofondare negli angoli più bui dell'animo umano, come le sue Microfictions ci hanno sempre mostrato (potete trovare qui la recensione). 1889 racconta i nove mesi di gestazione del futuro dittatore e lo fa tramite la voce tormentata e delirante di Klara Pölzl, maritata Hitler, e madre di Adolf. Non si tratta di una scelta narrativa fatta solo per il piacere della raffinatezza letteraria e per il gusto di sorprendere, ma funzionale nel ricostruire ciò che c'è intorno al male e capire se qualche correttivo è possibile.
Klara affida a un quadernino, prima, e a una lavagna, poi, un torrente di riflessioni. Ci sono parti coerenti in cui scopriamo la composizione della famiglia, le precedenti mogli dello Zio a cui lei ha fatto da domestica, il suo matrimonio avvenuto perché, a seguito degli abusi dell'uomo, lei rimane incinta e la straziante perdita di Gustav e Ida, i figli avuti prima di Adolf. Ci sono poi passaggi di soffocante delirio in cui Klara è del tutto persa nella sua ossessione religiosa, in parte alimentata anche dalle immagini di orrore che sembrano essere trasmesse direttamente dal feto.
Treni pieni di gente, di merci, di cavalli schiacciati in vagoni piombati. Migliaia di vagoni pieni di esseri umani portati al massacro. E i paesi senza stazione, collegati al mondo da una strada sterrata. I soldati appaiono all'orizzonte come un miraggio. Le case esplose. La processione degli abitanti verso il bosco. Scaveranno una trincea con le vanghe che i soldati distribuiranno loro. E quando sarà abbastanza profonda li allineeranno davanti per risparmiarsi la fatica di spingere dentro i loro cadaveri. (p. 172)
Lo Zio, per cui Klara nutre rispetto e ammirazione e che, tramite i suoi occhi, non sembra nemmeno così colpevole delle violenze domestiche e sessuali, ha dalla sua l'ossessione per un nuovo figlio e il terrore per i microbi e qualunque tipo di deformità. Dice a Johanna, la sorella gobba di Klara, che sarebbe meglio fosse morta alla nascita in quanto deforme e ordina costanti pulizie e fumigazioni della casa per combattere i microbi. Arroccato nella sua presunta dignità di funzionario delle Dogane, avrebbe preferito una moglie bionda, ed esorta Klara a non coprirsi di ridicolo, a non urlare durante il parto e di smetterla di ricorrere al dottor Bloch, ebreo, per ogni minima cosa.
Cenere e gas ritornano continuamente anche quando non sono pensieri del feto in formazione, così come la violenza, il terrore verso chi non è fisicamente perfetto: le basi per il genocidio e per Aktion T4 ci sono tutte, ma l'autore, con la grandezza narrativa che lo contraddistingue, non scade nel cercare di costruire una trauma story per dare un senso all'orrore che ne sarebbe seguito.
Non c'è giustificazione alcuna. Non sono le violenze, l'ambiente soffocante, i deliri dei genitori o la grettezza della società di fine Ottocento a fare di Adolf Hitler quello che è.
Eppure è fragile, questo mostro della storia che allo stesso tempo è già ma non ancora. In ogni istante sua madre potrebbe perderlo, morire lei stessa prima di partorirlo in un tempo in cui la speranza di vita era magra, senza contare che se fosse stato concepito un altro giorno sarebbe stato un altro. (p. 236)
Così ragiona Jauffret nella postfazione. Adolf Hitler era destinato a essere ciò che è diventato per una serie di fattori casuali in cui né l'educazione né l'ambiente avrebbero potuto fare qualcosa, nel bene e nel male. Non l'hanno reso mostro, ma non l'avrebbero neanche redento. Non si vuole cercare una spiegazione, uno sgravio di colpe, un colpevole da additare nonostante Klara dica che le madri sono sempre quelle da biasimare per aver partorito un mostro. Ci sono momenti di esaltazione in cui pensa di poterlo rendere buono e caritatevole con i suoi insegnamenti in seno alla Chiesa, altri in cui vorrebbe nascesse femmina e altri in cui ritiene che la cosa migliore sarebbe soffocarlo alla nascita per non dargli la possibilità di peccare e giocarsi così la salvezza eterna. Ma sia lei che chi legge sa che non potrà cambiare il destino e non lo sa per come è andata la storia: il flusso di immagini di morte che le arrivano dal feto sono, certo, frutto dei suoi deliri, ma anche intima ammissione che non potrà fare niente per cambiare ciò che c'è in serbo per il frutto del suo ventre.
1889 è una storia violenta. Non solo per quello che viene raccontato perché, anche se smorzati dallo sguardo di Klara, gli abusi continui (familiari e religiosi) sono nauseanti, ma anche per la consapevolezza che nulla potrà cambiare ciò che dovrà essere. O meglio, forse qualcosa potrà essere determinante nello svolgimento degli eventi futuri: il ricordo costante. E mentre i sopravvissuti ai campi vanno diminuendo, è sempre più essenziale avere narrazioni che non permettano di dimenticare. 1889 si propone anche questo: essere uno dei mattoni che manterranno il ricordo vivo e presente.
Giulia Pretta