Un'educazione paperopolese
di Valentina De Poli
ilSaggiatore, 2022
pp. 262
€ 19,00 (cartaceo)
€ 8,99 (e-book)
Non mi sono mai divertita tanto leggendo un saggio. Che poi, a dirla tutta, Un'educazione paperopolese, di Valentina De Poli non è propriamente un saggio o forse è ancor più di un saggio... è un romanzo di formazione, come del resto esplicitato dal titolo stesso, è un'autobiografia, è una biografia di paperi e topi, è un racconto d'amore, è un «dizionario sentimentale della nostra infanzia» (come recita il sottotitolo), un'epopea editoriale. Tutto condensato in queste 262 pagine che volano via tra un sorriso, un ricordo improvvisamente riemerso dalla nebbia del tempo, una nostalgia di fondo che ci fa rimpiangere quei pomeriggi assolati a leggere «Topolino» come se non ci fosse un domani. E sì che di domani ce ne sarebbero stati dalla nostra infanzia in poi, ma noi eravamo talmente immersi nella lettura che non ce ne preoccupavamo di certo.
Il fumetto è una cosa seria, scherziamo? Umberto Eco, scrittore, semiologo, filosofo, docente, medievista e tanto altro ancora, era un grande cultore della nona arte che, con lui, trovò dignità universitaria. Io, che ho avuto la fortuna di essere invitata, per CriticaLetteraria, a visitare la sua casa-biblioteca (qui l'articolo), i suoi fumetti, tra cui «Topolino», li ho visti con i miei occhi, esposti in bella vista, accanto a tomi seriosissimi di storia, filosofia, arte e linguistica.
Ma partiamo dall'inizio. Chi è Valentina De Poli? Innanzitutto, una lettrice di «Topolino» e già questo basterebbe a definirla. Ma c'è di più, è colei che ha lavorato nella macchina redazionale del fumetto più famoso del mondo per trent'anni, scalando tutta la piramide gerarchica fino a diventarne il direttore (o la direttrice, come preferisce lei), ruolo che ha tenuto per 11 anni, dal 2007 al 2018. Dei paperi e dei topi, nella loro versione italiana, Valentina è dunque la massima esperta. Ecco perché il "saggio" che ha scritto, chiamiamolo così per brevità, è oggettivamente autorevole. Mai però inutilmente autoreferenziale.
La vicenda personale dell'autrice, nel suo rapporto con il "Topo", come lo chiama affettuosamente stante la lunghissima frequentazione, diventa il punto di vista attraverso il quale ricostruire la vicenda del settimanale più amato da bimbe e bimbi di tante generazioni. Di questi tempi Topolino, Paperino & company se la devono vedere con manga, anime, cartoni animati on demand a tutte l'ore, videogames con grafiche da paura, comics e web comics, serie tv, webtoon, graphic novel e via di questo passo. Ma «Topolino», che in Italia esce dal 1932, considerando anche la prima versione a giornale, e che è arrivato al numero 3.506 (surclassato forse soltanto da «La settimana enigmistica»), ha davvero fatto la storia del fumetto in Italia.
Alla frase "alzi la mano chi non ha mai letto un «Topolino» in vita sua"... sono convinta che sarebbero ben poche le braccia a levarsi. Soprattutto per chi bambino lo è stato negli anni '60-70-80 e '90 del secolo scorso (che, fa impressione a dirlo, ma quei bimbi ora siamo noi). E vengo al punto: questo è un libro la cui fruizione (passatemi un parolone) dipende dal grado di "topolinitudine" del lettore. Più questa è alta più l'immersione totale, la corrispondenza sentimentale e l'affiorare del ricordo della propria personale sospensione dell'incredulità si faranno sentire. Il mio personale "Topo level", se posso chiamarlo così, inventando sui due piedi una categoria, è ai massimi livelli. Ho alle spalle un'infanzia felicemente segnata da topi e paperi di cui ero un'instancabile (proprio nel senso etimologico del termine) lettrice: macinavo ogni numero decine e decine di volte e, anche se conoscevo il finale, ogni volta lo stupore incantato rimaneva lo stesso. Magia di «Topolino»...
Ma ancora divago... e probabilmente a chi sta leggendo questa recensione importa poco della mia infanzia, torno dunque al libro di Valentina De Poli, tenendo a freno la mia passione e cercando di essere oggettiva, come anche i più bravi recensori dovrebbero imparare a fare.
Un'educazione paperopolese è una biografia, dicevamo, e lo è su tre livelli. Innanzitutto, è il racconto della storia del settimanale «Topolino», in particolare dal 1988, quando De Poli entra come collaboratrice della segreteria di redazione e le viene affidato il compito di rispondere alle lettere dei lettori. Da qui assistiamo alla trasformazione del giornale, dalle firme storiche dei fumetti, i disegnatori Romano Scarpa, Giovan Battista Carpi, Guido Martina, Giorgio Cavazzano, alle nuove leve, come Silvia Ziche, Alessandro Gottardo o Casty, Andrea Castellan. Ognuno con un proprio stile, pienamente riconoscibile dagli appassionati. Come per gli sceneggiatori, peraltro, categoria ingiustamente meno citata quando si parla di storie a fumetti. Si apre qui anche il capitolo sull'importanza dei testi e sulla battaglia ideale per conservare al "Topo" il suo ruolo di eroe contro l'impoverimento linguistico dei ragazzi. Avete mai pensato a quante parole strane, difficili, nuove da bambini avete imparato grazie a «Topolino»?
Il lessico dei ragazzi si sta impoverendo? (al tempo dei social, ndr) Giammai, non possiamo permetterlo! I fumetti devono garantire un'attenzione costante al rinnovarsi della lingua e Topolino ha il dovere di proporre , come da tradizione, elementi lessicali desueti (p. 32)
E torna alla mia mente di lettrice bambina un florilegio di parole che ho imparato proprio su quelle pagine di carta un po' ruvida dei «Topolini» anni '70-80: filibustiere, turlupinato (solitamente Paperino), parsimonia (quella di Zio Paperone ovviamente), fedifrago (l'urlo dello Zione), ciurma, maniero, pusillanime, sanguisuga, bisca, bollori, spingarda, ma l'elenco è potenzialmente infinito. Per non parlare delle onomatopee che ci hanno insegnato che si può essere tristi, arrabbiati, felici, sorpresi secondo vari gradi.
Il libro racconta anche come il settimanale abbia attraversato i cambiamenti dei tempi e le fasi storiche cercando di essere sempre fedele al proprio compito, quello di divertire e di rappresentare storie a lieto fine. Senza lasciarsi graffiare dalle vicende terrene. Esemplare a questo proposito la storia della copertina mancata a favore dei fumettisti al tempo dell'attentato terroristico alla sede di Charlie Hebdo a Parigi. Un episodio che l'allora direttrice De Poli racconta con oggettività. Ma se «Topolino» non può mescolarsi troppo brutalmente con le vicende storiche che affliggono il mondo, è tutt'altro che lontano dalla realtà. Ne è prova il fatto che sono molti i vip ad aver preso la cittadinanza temporanea di Paperopoli o Topolinia: da Papertotti a Vasco Duck, da Liga Duck (Ligabue) a Gerri Biscotti, da Maria De Anatrilli (De Filippi) a Vesponi, dal Mago Papernova (Casanova) a Paperumma (il Gigio nazionale), dallo chef Paperacciuolo fino a Vincenzo Paperica (Mollica) del quale, sull'ultimo numero in edicola, si festeggiano i 70 anni, solo per citarne alcuni. Per non parlare del festival di Sanromolo, condotto da Amaduck e Rosario Paperello. Perché «Topolino» fa parte della nostra storia. È in mezzo a noi. È "nazionalpopolare", per usare una definizione forse fin troppo abusata.
L'adeguarsi al passaggio del tempo e delle generazioni è raccontato nella storia della nascita di «PK», una versione rivisitata del personaggio di Paperinik alle prese con nemici provenienti dal futuro, dallo spazio, da mondi paralleli. Un successo tutto italiano, forse non tutti lo sanno, perché «PK» nacque nel 1996, con una lunghissima serie di riunioni segrete, proprio negli edifici della Disney italiana, in via Sandri a Milano al tempo di Paolo Cavaglione direttore di «Topolino». Per poi arrivare negli States, dieci anni dopo, con il nome di Duck Avenger. Raro, e forse unico, caso di emigrazione di un successo al contrario, da una sede satellite alla casa madre.
Un'educazione paperopolese è anche la biografia dei paperi e dei topi, ma anche dei personaggi minori come Eta Beta, Archimede, Dinamite Bla, di cui ci racconta alcune curiosità che ne accompagnarono la nascita e la crescita fino alla loro reincarnazione in tutte le più famose storie che da sempre sono archetipi per la nostra fantasia, le famose parodie, a partire da L'Inferno di Topolino del 1949, con il topo nelle vesti di Dante e Pippo in quelle di Virgilio, I Promessi Paperi, La vera storia di Novecento, con Pippo a vestire i panni del pianista di Alessandro Baricco, Topolino e Minni in Casablanca, La Paperopoli liberata, fino ai personaggi tv come la serie di Twin Pipps o Paperina di Rivondosa.
E in fondo, ma mica tanto in fondo, il libro è la storia, professionale, di Valentina De Poli, il suo personalissimo romanzo di formazione, in quel percorso trentennale che da collaboratrice la porta a ricoprire il ruolo del direttore. Fin dal primo capitolo, che dà conto del suo incontro a sei anni con il "Topo", tutta la narrazione è condotta dal punto di vista dell'autrice, che si fa personaggio fra i personaggi e ci racconta tutta la sua carriera fra le pagine dei fumetti. Personalmente ho trovato questo filone molto stimolante perché offre uno spaccato interessante del lavoro giornalistico di quegli anni. Il passaggio dai disegnatori che arrivavano in redazione con le proprie tavole sotto il braccio ai pony express che sfrecciavano per Milano con il prezioso carico fino ai moderni sistemi di "viaggio" digitali. Quel 1993 che portò «Topolino» a vendere oltre un milione di copie, certificazione di un grande successo editoriale. L'avvicendarsi dei direttori, ognuno con la propria personalità e la propria idea del "Topo", i riti aziendali, le iniziative con le scuole e i bambini, i cosiddetti Toporeporter, il passaggio da una casa editrice all'altra (da Mondadori a The Walt Disney Company Italia fino all'attuale Panini Comics), il declino inevitabile dei numeri che coincide con il cambiamento dei lettori. Fino a quel giorno del 2018 in cui De Poli viene sollevata dall'incarico di direttore. Un'epopea editoriale che merita di essere conosciuta.
Infine, vuoi mettere che soddisfazione, per un lettore di «Topolino», scoprire come nasce ogni numero, come si sviluppano le storie, qual è il rapporto tra disegnatori e sceneggiatori, il perché delle scelte editoriali? Entrare dietro le quinte del magico mondo Disney che non ha mai smesso di ammaliare i bambini di tutte le età (compresa la mia...).
Il tutto impreziosito da un linguaggio volutamente semplice, non professorale, che tradisce anni e anni di giornalismo a favore dei piccoli e che dona al libro quella freschezza e quella levità che invogliano la lettura. Con l'aria scanzonata della bambina che ti dice "vieni a giocare?" Valentina De Poli prende per mano il lettore e lo accompagna nel fantastico mondo di Paperopoli e Topolinia dove anche gli adulti si scordano della propria data di nascita e per il tempo della lettura tornano bambini.
Perché, è bene ricordarlo...
Se qualche volta, da adulti, vi siete scoperti particolarmente sagaci be', sappiate che è perché siete stati lettori di Topolino! (p. 50)
Sabrina Miglio